Riceviamo e volentieri pubblichiamo un articolo del Prof. Franco Osculati, ordinario di Scienza delle Finanze dell'Università di Pavia, che affronta il tema della tassazione immobiliare e federalismo fiscale e che ritieniamo utile per aprire una discussione sull'argomento in questo blog.
Tassazione immobiliare e federalismo fiscale. In due recenti congressi nazionali di partito di centro sinistra è riemersa l’idea di abolire l’Ici sulla prima casa. Anche durante l’ultima campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento la medesima intenzione fu fatta circolare da esponenti dell’avverso schieramento. Questi fatti lasciano intendere quanto siano ancora poco efficaci, nell’orientare le scelte politiche, il pensiero economico e la sua divulgazione. Infatti, se mediante apposito sondaggio, si chiedesse agli economisti, e specificamente agli studiosi di finanza pubblica, quale sia il tributo che, partendo da una situazione di tabula rasa, si dovrebbe introdurre per finanziare gli enti locali tutti, o quasi tutti, indicherebbero l’imposta immobiliare: comprensiva di abitazioni locate e di abitazioni abitate dal proprietario. Le statistiche internazionali confortano questa opinione. I confronti con altri sistemi, inoltre, indicano che per dotare gli enti locali di un’autonomia di entrata consistente bisogna contare sulla condivisione dell’imposizione dei redditi personali. Le forme di condivisione locale della tassazione del reddito. Lasciando a parte i più che necessari approfondimenti quantitativi, ai Comuni potrebbe essere assegnata una parte del prelievo sul reddito delle persone fisiche attraverso uno di questi tre schemi: A – addizionale e compartecipazione. E’ il sistema in atto ma soltanto formalmente. La compartecipazione, infatti, funziona come un trasferimento. Si dovrebbe invece garantire che sia effettivamente compartecipato il gettito raccolto localmente (come previsto in Costituzione) e che il rischio di variazione congiunturale del medesimo sia assunto dall’ente locale; B – imposta locale sui redditi. Riassorbendo l’addizionale e la compartecipazione, dovrebbe essere definito un imponibile locale, coincidente con quello nazionale soltanto oltre una certa soglia, sul quale i Comuni (e le Regioni) applicherebbero un’aliquota modesta entro un massimo e un minimo; C – specializzare l’imposizione locale sul reddito degli immobili. Congiunta o disgiunta dalla manovra sull’Ici, circola la proposta di aliquota secca al 20% sui redditi da affitto. Il gettito sarebbe girato ai Comuni di competenza. I Comuni diverrebbero monopolisti dell’imposizione immobiliare assommando Ici, Tarsu (o la tariffa equivalente), oneri di urbanizzazione e il reddito degli immobili tassato per l’appunto al 20%. Per i Comuni di maggiori dimensioni, le Unioni comunali e Aree metropolitane, l’elenco potrebbe comprendere anche le imposte di registro (sulle compravendite e i contratti di affitto) e, forse, per tutti i Comuni i gettiti derivanti da immobili non strumentali, tassati in sede Ires, e da immobili delle Siiq (Società di investimento immobiliare quotate), tassati con la neo istituita tassazione sostitutiva (di Ires e Irap) al 20%. Sebbene ciascuno di questi orientamenti presenti aspetti - taluni positivi e altri problematici - non nuovi, l’ipotesi maggiormente innovativa è quella della tassazione al 20%. Perché tassare il reddito del piccolo proprietario di case al 20%? La risposta chiama in causa la similitudine con la tassazione delle attività finanziarie che si avvia ad assumere un analogo regime. Si oppone, però, che mentre l’investimento finanziario (in obbligazioni pubbliche o private) offre incrementi di valore nulli o modestissimi, il risparmio riversato in immobili può riservare guadagni in conto capitale più che significativi. Si può contro replicare che la bolla immobiliare ad un certo punto si ferma e che, comunque, mentre la tassazione (ai tassi attuali o al futuro 20%) delle attività finanziarie è esclusiva, la tassazione al 20% sul reddito immobiliare sarebbe accompagnata da un’imposizione di tipo reale e patrimoniale non indifferente, costituita da Ici, contributi di urbanizzazione, Iva (sull’acquisto del nuovo con aliquota del 10 o del 20%, essendo il 4% riservato alla prima casa), imposta di registro sulla compravendita (di fabbricati non nuovi, in alternativa all’Iva, con aliquota al 7%), imposta ipotecaria e catastale, e imposta di registro sui contratti di affitto. Il peso di questa tassazione complementare alla tassazione sul reddito è già oggi prevalente. Nel 2005, Iva, registro, ipotecaria e catastale abbiano fruttato 11 miliardi e l’Ici 10 (di cui 2.7 dalla prima casa), mentre il prelievo su fabbricati e terreni (operato in sede Ire e Ires) non ha superato i 7 miliardi . Una fiscalità punitiva sugli appartamenti dati in affitto contribuisce ad aggravare la disparità tra chi abita nel proprio appartamento e chi si trova in veste di locatario. Un’alta fiscalità (anche se in parte non piccola evasa) facilita la crescita dei canoni, mentre la tassazione di favore per la prima casa abbassa il costo opportunità di questo canale di impiego del risparmio, il quale, però, non è ugualmente disponibile a tutti, anche a parità di reddito e di capitale da investire. Infatti, le condizioni di lavoro imposte ad una parte della popolazione, di solito la più giovane e dinamica, comprendono la disponibilità a mutare residenza. Quando la flessibilità del mercato del lavoro rimbalza sulla mobilità delle persone, questa è agevolata più da un ampio comparto dell’affitto che da un tutelato comparto della compravendita di prime case. Insomma, se contribuisce a sviluppare il comparto dell’affitto, che in Italia è limitato, la tassazione al 20% deve essere presa in adeguata considerazione. Aliquota al 20% e Ici prima casa. Se introdotta e assegnata ai Comuni, la tassazione al 20% del reddito immobiliare potrebbe sostituire nell’ambito dei bilanci locali l’Ici prima casa. Potrebbe ma non dovrebbe, perché anche (o forse soprattutto) nel federalismo fiscale contano non solo le quantità di gettito ma anche altri aspetti dei tributi. Dato che nel nostro paese circa l’80% della famiglie è proprietaria dell’immobile di residenza, l’Ici prima casa presenta il vantaggio di chiamare la grande maggioranza della popolazione a contribuire ai costi dei servizi locali direttamente utilizzati. Lo stesso vantaggio in termini di responsabilità non è riscontrabile nell’Ici sulle abitazioni diverse dallaa prima casa e in un’eventuale tassazione al 20% del reddito. Per esempio, il Comune di Peschiera del Garda ha da poco abolito l’Ici prima casa a carico dei suoi 9.200 residenti, incrementando l’aliquota, in particolare, sugli immobili utilizzati soprattutto durante i weekend da circa 15.000 residenti in altri Comuni. E’ stato così creato un meccanismo di “esportazione dell’imposta” da riprovare secondo le regole del federalismo fiscale. Anche recentemente, in letteratura è stato riscontrato che se un governo locale può manovrare imposte che saranno pagate da elettori di altre giurisdizioni la spesa pubblica locale tenderà ad aumentare . Invece, salvaguardando la coincidenza tra utenti, contribuenti ed elettori (coincidenza che nel caso dell’Ici prima casa è assai probabile) si favorisce una finanza pubblica maggiormente responsabile. In definitiva, fatta salva l’esigenza di tutelare i redditi incapienti o più modesti sebbene accompagnati dalla proprietà di un immobile, l’abolizione dell’Ici prima casa non dovrebbe comparire tra le priorità di impiego del noto “tesoretto”.
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