La marcia trionfale dell’Aida rappresentata dall’approvazione (solo preliminare) della proposta Calderoli in Consiglio dei ministri dovrebbe servire alla rielezione di Fontana e a rilanciare la Lega ormai superata da Fratelli d’Italia anche in Lombardia e Veneto.
Non è cambiato granché dalla precedente bozza Calderoli. Il Parlamento continua a essere tenuto di lato, si esprime solo con atti di indirizzo (raccomandazioni) sulle intese tra il governo e la Regione, di cui il governo tiene conto se vuole. Il Parlamento entra veramente in campo solo alla fine del percorso quando deve approvare il testo definitivo o respingerlo. Si intravvede fin d’ora il voto di fiducia. Resta la procedura pattizia tra governo e singola Regione. È un accordo a due, ora se ne saprà un poco di più, ma la procedura sostanziale resta materia che non si potrà sottoporre a referendum, in altre parole è imposta definitivamente.
I Livelli essenziali di prestazione sono definiti con Dpcm in modo che il governo sia certo che un eventuale referendum non possa disturbare il manovratore. I Lep che qualcuno, a torto, si ostina a chiamare “livelli minimi” sono ora necessari per procedere al trasferimento dei poteri, ma con la curiosa situazione che se la Regione ha già a disposizione stanziamenti sufficienti (Lombardia 19.000 euro annui di spesa) sembra potere procedere, mentre quelle che hanno bisogno di fondi di riequilibrio (Calabria 13.700 euro all’anno) per finanziare i servizi e le prestazioni mancanti debbono attendere una legge per avere le risorse. La norma che doveva garantire le stesse prestazioni e gli stessi diritti nel territorio nazionale si incaglia ancora prima di partire, rendendo chiaro chi potrà procedere e chi no.
La scuola è chiaramente fuori posto. Solo il turbo-leghismo può pensare che un pilastro dell’identità nazionale come la scuola possa essere regionalizzata senza conseguenza gravissime. Non a caso il ministro leghista ha subito prospettato diversità di trattamenti per gli insegnanti, dopo si arriverà a pretendere anche programmi regionalizzati. Eppure lo spacchettamento del Servizio sanitario nazionale in 20 versioni regionali ha già dimostrato che è stata una scelta infelice, che ha avuto bisogno dello stato di emergenza per affrontare una pandemia come il Covid inquadrando le scelte regionali, che ancora oggi non risulta abbiano prodotto risultati tali da correggere gli errori precedenti, ad esempio nei servizi di base.
Giorgia Meloni ha dato risalto alle sue visite in Algeria e Libia per nuovi contratti di fornitura di energia, in futuro saranno 20 “paperelle” regionali a fare accordi? Ad affrontare scelte che hanno bisogno dell’Italia e dell’Europa, non dei sogni leghisti? Bonomi ha detto chiaramente che da quando si è iniziato a vagheggiare di regionalismo differenziato a oggi è cambiato il mondo: la sfida energetica e la guerra alla porta di casa pretendono scelte diverse e insistere è pericoloso. Tutto il pacchetto dell’autonomia regionale differenziata vede un cortocircuito leghista (due presidenti e tre ministri compreso quello dell’Economia) che accetta un ridimensionamento delle sue competenze con l’unica garanzia che non ci saranno spese aggiuntive. Così l’autonomia differenziata andrà avanti solo per le Regioni ricche dato che le altre dovranno attendere che vengano trovati i quattrini, decine di miliardi, cosa non facile di questi tempi.
Questo percorso mette a rischio l’unità nazionale. Chi ha lavorato per la Meloni a questo accordo non è riuscito a depotenziare una bomba a tempo, contraria alla Costituzione, che non è la lettura approssimativa di un paio di articoli che ne fatto Calderoli. In ogni caso, meglio modificare il Titolo V del 2001, come propone la legge costituzionale di iniziativa popolare per cambiare gli articoli 116 e 117: si può firmare sul sito www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it