Nei giorni scorsi ci sono stati eventi in direzioni fortemente contrastanti.
Da un lato il parlamento italiano ha approvato a larga maggioranza in via definitiva (8 febbraio) la modifica degli articoli 9 e 41 della Costituzione per inserire tra i suoi principi fondamentali la tutela dell’ambiente, della biodiversità, degli ecosistemi (art. 9) prevedendo che l’iniziativa economica non possa svolgersi in modo da recare danno alla salute e all’ambiente e che la legge ha il compito di determinare programmi e controlli per indirizzare l’attività economica pubblica e privata a fini ambientali (art. 41). Certo, la giurisprudenza della Corte costituzionale aveva già consolidato nella pratica buona parte di questi principi con sentenze che di fatto hanno anticipato quello che ora è scritto nella Costituzione. Anche alcune direttive europee hanno contribuito a mettere al centro salute e ambiente. Dall’altro lato la Commissione europea, sotto la pressione di interessi pubblici e privati, ha contraddetto sé stessa, i suoi stessi coraggiosi obiettivi contenuti nel piano Fit for 55, e ha approvato una proposta di direttiva sulla tassonomia europea che vorrebbe inserire gas e nucleare tra le energie rinnovabili, che in realtà non sono.
Sia chiaro che i paesi che vogliono continuare a investire sul nucleare possono farlo con o senza direttiva. La vera differenza sono i finanziamenti. Ad esempio, il paese capofila dei nuclearisti, la Francia, pensa di utilizzare i 50 miliardi a fondo perduto che gli verranno dal Next Generation Eu per rinnovare le sue vecchie centrali nucleari, sempre più soggette ad incidenti, poco sicure e spesso fuori uso. Se non avesse questo tesoro dall’Europa dovrebbe chiedere ai francesi questi soldi, mentre in questo modo le risorse necessarie vanno a carico del Fondo Europeo e quindi di tutta l’Europa. I paesi che appoggiano la Francia sperano di poter fare altrettanto. Se questa direttiva europea andrà in porto ne risentirà l’obiettivo di accelerare verso le vere energie rinnovabili, che dovrebbe essere l’obiettivo dell’Europa per mantenere l’aumento della temperatura entro 1,5 gradi. Pesano le elezioni in aprile del nuovo Presidente francese e Macron spera con il rilancio del nucleare di essere rieletto. In una prima fase aggiustando l’esistente con i miliardi europei, poi con un piano di nuove centrali nucleari. Ha illustrato il piano in questi giorni. Per questo il Commissario francese Breton ha parlato di investimenti europei nel nucleare per 500 miliardi di euro, che nelle attuali condizioni sarebbe complicato ottenere dal mondo finanziario e non certo a condizioni di favore. Forse Macron si è reso conto di una torsione esagerata delle sue proposte verso il nucleare e quindi ha aggiunto un piano di investimenti nell’eolico off shore.
Altro discorso sarebbe affermare che occorre una fase di transizione per arrivare ad una diffusione adeguata delle energie rinnovabili, perché occorre un poco di tempo. Si può condividere o meno ma sarebbe un discorso di verità e le misure sarebbero transitorie. Ad esempio il nuovo governo tedesco prevede un rapporto diretto tra le centrali a gas di cui pensa di avere bisogno e la loro trasformazione a idrogeno. Ma non si può fingere che siano verdi il nucleare, che non lo è e per di più resta pericoloso, e il gas fossile, il cui uso, anche se fosse indispensabile nella transizione, sarebbe comunque inquinante, creando il problema della compensazione con altre misure. La direttiva europea è sbagliata perché finge che sia verde quello che non lo è, quindi va cambiata o respinta, il parlamento europeo ancora non si è pronunciato e quindi esiste ancora una possibilità. Teoricamente anche i governi europei potrebbero rinsavire e decidere in modo corretto, ma se il governo italiano è una spia di quello che pensano gli altri governi c’è poco da stare allegri, visto che ha inviato a Bruxelles la richiesta, respinta perché estremista sul versante sbagliato, di alzare l’asticella dei limiti di inquinamento delle nuove centrali a gas.
A questo punto i due percorsi: la recente modifica della Costituzione e la tassonomia europea, sono evidentemente contrastanti e occorre decidere cosa prevale, altrimenti la modifica costituzionale rimarrà semplicemente una petizione di principio senza seguito. Questo dovrebbe preoccupare anzitutto quanti hanno insistito per la modifica costituzionale sull’ambiente, che non a caso è un impegno che la maggioranza ha assunto al momento della formazione del governo Draghi. Ciò non può non avere delle conseguenze, al di là che siano state previste o meno.
La modifica della Costituzione entrerà in vigore automaticamente, appena verrà pubblicata in Gazzetta Ufficiale, in quanto è stata approvata con il voto di più dei 2/3 delle Camere e per questo non può essere sottoposta a referendum popolare. In altre parole a differenza di altre modifiche non deve aspettare per entrare in vigore. Un conto sono i principi contenuti nelle modifiche della Costituzione, altro le concrete politiche che il governo sta portando avanti, che a volte vanno nella direzione opposta, come ad esempio il comportamento tenuto sulla tassonomia europea, ma anche sull’attuazione del PNRR ci sarebbe molto da dire.
Se da un lato si scrive nella Costituzione che l’ambiente è una priorità, dall’altro non può esserci una politica concreta che va nella direzione opposta, per di più nella stessa fase politica. La contraddizione è evidente. Quando si doveva approvare il Next Generation Eu, da cui discende il nostro PNRR, la Corte costituzionale tedesca ha tenuto il resto dell’Europa con il fiato sospeso fino a quando ha dichiarato costituzionale (dal punto di vista tedesco) il Piano di ripresa e resilienza europeo. In questo caso il fiato sospeso sarebbe di minore portata ma la Corte costituzionale italiana potrebbe essere chiamata a decidere se la tassonomia europea è accettabile dall’Italia, che ha chiuso la porta al nucleare con ben due referendum e che dovrebbe dire come intende compensare il maggiore inquinamento del gas fossile che si pensa di utilizzare e l’unico modo sarebbe approvare e attuare a tappe forzate un massiccio piano straordinario per le rinnovabili (fotovoltaico ed eolico offshore in primis) tale da compensare la maggiore produzione di CO2 dovuta al maggior uso del gas fossile nel periodo transitorio. I parlamentari possono sollevare il conflitto presso la Corte costituzionale e basterebbe che lo promuovessero alcuni di quelli particolarmente sensibili alle ragioni dell’ambiente e del clima.
Per l’Italia sarebbe una novità, certamente. Ma è stata una novità anche che il governo abbia fatto dichiarazioni in occasione del G20 e poi della Cop 26 di Glasgow impegnandosi ad indirizzare le conclusioni delle due conferenze sul contrasto al cambiamento climatico e in particolare sul limite invalicabile dell’aumento della temperatura entro 1,5 gradi. Ricordiamoci le reazioni dei giovani che avevano concentrato grandi speranze sugli impegni concreti degli stati più inquinatori e che hanno manifestato forte delusione per i ritardi, i rinvii, le omissioni degli impegni concreti per contenere l’aumento della temperatura entro il grado e mezzo su cui pure tutti hanno detto di essere d’accordo.
In sostanza tra parole e fatti reali si è aperta una divaricazione preoccupante.
Se decidi di investire su nucleare e gas le risorse necessarie sono imponenti (più per il nucleare che per il gas) e quindi si ridurrà lo spazio per investire nelle rinnovabili.
La controprova è evidente nelle misure che il governo Draghi ha adottato per contrastare l’aumento dei prezzi del gas, esplosi a livelli ingiustificati. Le risorse sono state prese in parte rilevante dalle rinnovabili. Chi ha investito nelle rinnovabili ha fatto una scelta lungimirante che oggi lo mette in condizioni favorevoli rispetto all’uso del gas, quindi si trova con margini migliori di chi ha fatto altre scelte e può contribuire a mantenere più basso il prezzo dell’energia elettrica. Se si vuole utilizzare il risultato delle rinnovabili come calmiere occorre cambiare la formazione dei prezzi dell’energia elettrica. Nelle bollette elettriche abbiamo le diverse origini dell’energia consumata ma non abbiamo la conseguente diversità dei prezzi, altrimenti si vedrebbe con chiarezza la convenienza a puntare massicciamente sulle energie rinnovabili. Modificando le regole ex post gli operatori del settore avranno un maggiore prelievo dello Stato che finanzierà il contenimento delle tariffe elettriche. Con questa logica si rischia di avere in futuro ulteriori prelievi dalle rinnovabili per finanziare le 48 centrali a gas previste per garantire 20 GigaWatt al fine di mantenere in equilibrio la fornitura elettrica della rete, che tra l’altro potrebbe essere in buona parte garantita dai pompaggi idroelettrici, che valgono 7,6 GW.
C’è una questione più di fondo che riguarda le (non) scelte di politica energetica. Non si sa cosa stia effettivamente facendo il governo in proposito. Non solo non è stato aggiornato il PNIEC come lo stesso ministro aveva garantito ma l’obiettivo di altri 70 GW di rinnovabili entro il 2030 è ancora al caro amico e di fronte all’esplosione immotivata del prezzo del gas e al pericolo inflazionistico, anziché reagire con un rilancio degli investimenti nelle rinnovabili, che danno autonomia dal gas, si è parlato molto di un nucleare sicuro da fissione che non esiste.
Inoltre non si capisce dove sia finito il piano per l’idrogeno verde come fonte alternativa, prodotto con le rinnovabili o importato con le tubazioni esistenti (al posto del gas fossile) che Snam ritiene fattibile.
Quindi usiamo al meglio la nuova formulazione dei valori della Costituzione in materia di ambiente e facciamone discendere una valutazione delle politiche concrete. Perché la Costituzione non può essere una tigre di carta.