La questione clima e le iniziative per evitare il disastro ambientale sono centrali. Purtroppo nella discussione politica e sociale sembra che ci sia ancora tempo, mentre la relazione degli scienziati dell’ONU denuncia il drammatico ritardo nell’adottare le misure necessarie e sottolinea i rischi concreti di aggravamento dell’alterazione del clima. Il clima non è un capitolo come altri, quasi che dopo si potesse passare ad altro argomento. Oggi l’alterazione del clima è il punto centrale che deciderà del futuro stesso dell’umanità e le iniziative per fermare la deriva clima alterante sono la conseguenza indispensabile per rimediare al massimo possibile. Il PNRR ha avuto il merito, riprendendo orientamenti e input della Commissione Europea di dare centralità a questo tema con iniziative importanti e investimenti per 67 miliardi di euro.
Tuttavia la novità PNRR per ora è rimasta sulla carta.
Forse anche per questo Draghi ha colto due occasioni pubbliche per rilanciare l’argomento. Le affermazioni più significative di Draghi sono: stiamo venendo meno alla promessa degli accordi di Parigi; se continuiamo con le politiche attuali raggiungeremo quasi 3 gradi di riscaldamento, il doppio dell’obiettivo di 1,5 gradi; il numero dei disastri legati al cambiamento del clima si è quintuplicato, anche in Italia; dobbiamo raggiungere un’intesa comune sulla necessità di ridurre in modo significativo tutte le emissioni ad effetto serra, incluso il metano, nel prossimo decennio, proponendo un lavoro comune in sede europea. Se Draghi ha fatto queste affermazioni e non vuole correre il rischio che gli si ritorcano contro per non avere realizzato le iniziative sul clima deve porsi un problema molto serio: tradurle in politiche reali nel più breve tempo possibile. Draghi deve trarre le conseguenze delle sue affermazioni e tradurle in concrete politiche di governo, senza trascurarne alcune implicazioni politiche internazionali. Se i paesi debbono essere chiamati a cooperare contro l’alterazione del clima la risposta migliore non è certo promuovere una politica militare muscolare verso la Cina con nuove alleanze militari, come gli Usa hanno promosso in questi giorni.
Comunque il problema è che Draghi fa affermazioni condivisibili ma il governo non attua quelle politiche.
Non solo perché il ministro Cingolani si trastulla con il rilancio del nucleare civile in Italia ignorando il risultato di ben due referendum popolari che lo hanno bocciato, imponendo la chiusura delle centrali in Italia. Nella migliore delle ipotesi il ministro sta creando imbarazzo e confusione. Quanto soprattutto perché ad oggi non abbiamo in Italia un piano per il rilancio delle energie rinnovabili, soprattutto eolico offshore e fotovoltaico, senza trascurare altre fonti e in particolare l’uso dei pompaggi per stabilizzare la rete nei momenti di insufficiente produzione. Eppure è proprio il ministro Cingolani ad affermare che stiamo investendo nelle energie rinnovabili il 10% di quanto dovremmo, ma a queste affermazioni non c’è un seguito degno di questo nome. Da questo dovrebbe derivarne l’elaborazione a tambur battente di nuove ed incisive politiche energetiche ed ambientali, rivedendo drasticamente i precedenti piani, per realizzare i risultati di cui parla Draghi.
In sostanza si manifesta un evidente dualismo tra le affermazioni generali del presidente del Consiglio, che sono condivisibili, e una pratica reale del governo che non si muove nella stessa direzione e tanto meno lo fa con l’efficacia richiesta. Non bastano le semplificazioni, occorrono piani precisi e fondi che sostengano quanti vogliono investire nel settore delle rinnovabili. Probabilmente occorrono altri fondi oltre quelli del PNRR e quindi si può iniziare a togliere gradualmente gli incentivi che aiutano a produrre più CO2, che in Italia sono circa 17 miliardi di euro. Del resto, la crisi delle tariffe dell’energia elettrica che sta spingendo il governo a tentare di limitare i danni esiste per la speculazione sui prodotti di origine fossile ma anche per i ritardi accumulati nel settore delle rinnovabili. Questo perché siamo di nuovo in ritardo con gli investimenti nelle energie rinnovabili, dopo un breve periodo di impegno che faceva ben sperare.
Aggiungo una nota su una notizia che è stata sostanzialmente ignorata: Terna sta costruendo un secondo elettrodotto Nord Sud che affiancherà quello attuale. Solo che il secondo è concepito per portare l’energia dal Sud (rinnovabili) al Nord. Come si concilia questa scelta con la riconversione verso l’elettricità dell’apparato produttivo del Mezzogiorno? Si ritiene a Terna che il Mezzogiorno non avrà bisogno di energia perché le aziende sono desinate a chiudere? Il governo se n’è accorto? Questo è uno dei tanti problemi che Draghi deve risolvere, richiamando ai loro compiti e ad una coerenza tutti i ministri, pretendendo la presentazione di un nuovo piano energetico in tempi brevi, assumendo decisioni che riguardano l’insieme delle politiche ambientali. Altrimenti è concreto il rischio che ci siano due Draghi: uno che parla con efficacia nelle sedi internazionali e dimostra di essere consapevole delle sfide ambientali, l’altro che tollera che il suo governo razzoli male o non razzoli affatto. Per di più questa situazione è chiaramente un vincolo negativo per attuare il PNRR e i fondi che ad esso saranno collegati per una cifra imponente, attorno ai 240 miliardi, da investire entro il 2026.
Non si può sostenere da un lato, come è giusto, che Il PNRR deve essere la spinta fondamentale, insieme agli altri fondi, per cambiare il modello di sviluppo dell’economia, la qualità del lavoro, la sua distribuzione, innovare a fondo, e dall’altra restare ancorati al vecchio, finendo per portare le risorse a sostenere politiche vecchie, tradizionali e contro l’ambiente. Ad esempio, è stato giustamente ricordato che Eni, in barba a tutti gli impegni e alla spinta europea, prevede sostanzialmente di proseguire con le esplorazioni di petrolio e gas non solo in questa fase ma addirittura oltre il 2050, quando dovremmo raggiungere un’economia carbon free. Non ci sono solo i ministri, ci sono anche le aziende, a partire da quelle partecipate in modo significativo dallo Stato, che dovrebbero far parte di un progetto complessivo per il futuro dell’Italia nell’ambito delle scelte europee. Quindi il governo ha molto da fare e molto da dirigere chiamando a rispondere tutti i grandi protagonisti dell’economia nazionale.
Il gattopardo è sempre in agguato e al nostro gattopardo italiano interessa solo avere i finanziamenti, delle politiche ambientali ne fa volentieri a meno. Draghi deve decidere se vuole combattere il gattopardo, nelle sue diverse forme, o se vuole scendere a patti e limitarsi a dichiarazioni condivisibili. Vedremo quale dei due Draghi prevarrà nelle politiche concrete del governo.