Più semplice è giudicare gli impegni presi da Draghi in parlamento durante la fiducia. Ma in questa occasione mi interessa mettere l’accento sui silenzi, che possono avere diverse motivazioni, come concentrare l’attenzione su alcuni punti oppure allontanare problemi complicati che potrebbero aprire ferite nella compagine che lo sostiene.
In attesa di chiarimenti vale la pena di sottolineare alcuni silenzi perché si tratta di argomenti di grande rilievo che prima o poi busseranno alla porta.
Anzitutto la legge elettorale.
Il governo Conte 2 si è occupato della legge elettorale nella fase finale della sua vita, quando il Presidente del Consiglio affermò in parlamento che il governo sceglieva il proporzionale. Troppo tardi perché ormai il destino del governo era imminente. La maggioranza parlamentare si era fatta bloccare dall’interdizione di Italia Viva che ha sabotato (anticipo di un sabotaggio ben più grave come la caduta del governo Conte) la possibilità di prendere decisioni in materia di nuova legge elettorale e di modifiche costituzionali ritenute importanti per recuperare alcuni dei difetti più gravi del taglio del parlamento. Perfino l’abbassamento dell’età per votare per il Senato è stato bloccato da Italia Viva. La maggioranza non ha saputo fare altro che subire lo stop in attesa di tempi migliori.
Così si è arrivati all’assurdo che il governo Conte all’inizio del gennaio 2021 ha approvato il decreto che ridisegna i collegi elettorali e le circoscrizioni previste dal rosatellum sulla base della legge fatta approvare nel maggio 2019 dalla maggioranza Lega – Movimento 5 Stelle che anticipava il taglio dei parlamentari. Andare al voto anticipato quindi voleva dire farlo con il rosatellum reso ancora più maggioritario e incostituzionale. Una legge che consegna a tavolino un vantaggio al centro destra, messa in funzione dalla maggioranza Pd/Leu/M5Stelle solo perché l’insipienza ha lasciato trascorrere il tempo. Quindi in caso di elezioni anticipate il sistema di voto sarebbe stato il peggiore possibile.
Draghi non ha chiarito cosa intende fare e se l’impegno per approvare una nuova legge elettorale preso dal precedente governo andrà avanti.
È vero che la legge elettorale è un tipico compito del parlamento. Anche se la Costituzione non detta regole precise su come deve essere costruita la legge elettorale sono previste regole per la sua approvazione e alcuni principi da rispettare. Tuttavia è normale che il parlamento approvi una nuova legge elettorale alla presenza del governo che dovrebbe evitare di invadere poteri altrui. In passato Renzi da presidente del Consiglio lo ha fatto per l’Italicum, usando più volte il voto di fiducia su un testo approvato dal governo. Per fortuna la vittoria del No al referendum ha sterilizzato anche la legge elettorale, l’Italicum.
Naturalmente sarebbe un errore chiedere al governo Draghi di imitare il governo Renzi, tuttavia il governo può e deve avere una sua opinione sull’argomento e può aiutare il parlamento.
Il nodo di fondo è comprendere che va chiusa l’epoca delle manomissioni della Costituzione, il cui ruolo è fondamentale nella nostra democrazia parlamentare. Per questo la legge elettorale dovrebbe aiutare a impostare la prossima legislatura come un’autentica svolta politica nella capacità di essere effettivamente rappresentativa dei cittadini e composta da parlamentari scelti da loro direttamente e non dai vertici dei partiti. Una sorta di nuova fase politica, quasi una costituente, della capacità di rappresentare i cittadini.
Altrimenti sarà la nostra democrazia parlamentare a correre seri rischi, aprendo la strada al presidenzialismo, all’accentramento delle decisioni e dei poteri, all’uomo/donna forte. Per questo la legge elettorale deve cambiare, il rosatellum va buttato nel cestino della storia, con una scelta di fondo verso il proporzionale, la possibilità di scegliere i propri rappresentanti, il superamento della subalternità del parlamento al governo. In altre parole va rilanciata la nostra democrazia parlamentare. Di questo il governo Draghi deve occuparsi e deve scegliere.
Il secondo silenzio riguarda il rischio che corre l’unità nazionale. Non basta citare Cavour come ha fatto Draghi. L’autonomia regionale differenziata su cui insistono alcune regioni, purtroppo anche di centro sinistra, potrebbe essere il grimaldello per mettere in discussione l’unità nazionale, la solidarietà, i diritti che la Costituzione garantisce a tutti i cittadini.
Anche su questo importante punto silenzio. Eppure la pandemia ha dimostrato che la non chiarezza nella divisione dei poteri tra regioni e stato, disegnata dal titolo V modificato nel 2001, spinge alla confusione che spesso ha prevalso durante questo anno segnato dal Covid 19 e questo ha indebolito la risposta e creato confusione e incertezza tra i cittadini. In realtà è la riforma del 1978 che ha creato il SSN che pian piano è stata modificata dalle singole regioni, che nel caso della Lombardia ha portato alla crisi del sistema sanitario territoriale e ha creato una pressione ingestibile sugli ospedali. In questo modo i diritti dei cittadini non sono stati garantiti allo stesso modo in tutta l’Italia, non solo nelle regioni più deboli ma anche nelle regioni considerate forti come la Lombardia. La differenziazione ha creato problemi a tutti i cittadini.
La sanità è solo l’antipasto. Se dovesse andare avanti l’autonomia differenziata ci troveremmo in settori fondamentali come sanità, scuola, investimenti, ambiente, lavoro di fronte al concreto rischio di non essere più in grado di garantire gli stessi diritti esigibili a tutti i cittadini in ogni parte del nostro paese.
Andrebbe rivisto il titolo V della Costituzione riscritto nel 2001, ma in questa complicata e difficile situazione politica e sociale è difficile immaginare che questo parlamento possa compiere questo miracolo, forse conviene concentrarsi su un punto centrale: rafforzare l’attuale articolo 120 prevedendo in sostanza una norma sulla prevalenza dell’interesse nazionale e l’obbligo per il governo di farlo rispettare alle regioni. In altre parole: no all’autonomia regionale differenziata, si al rispetto dei diritti per tutti i cittadini previsto dalla Costituzione.
Ci sono ragioni di preoccupazione per alcuni Ministri del governo, per il ruolo della Lega nella maggioranza anomala che sostiene il governo Draghi. Per questo la questione dell’autonomia regionale differenziata non deve essere lasciata a sé stessa, anche perché entrerà direttamente nelle scelte sul rapporto Nord/Sud.
Non è un caso che la neo assessore Moratti abbia cercato di gettare sulla bilancia delle vaccinazioni la spada di Brenno, proponendo di tenere conto del Pil nella suddivisione dei vaccini tra le regioni.
La questione Nord/Sud sarà centrale nelle prossime scelte nel PNRR che non solo deve essere indirizzato alla transizione ambientale ma essere caratterizzata da una priorità trasversale in tutte le materie di intervento, a partire dalla mobilità, per affermare che il motore della ripresa sarà la capacità di fare del rilancio del Mezzogiorno una chiave interpretativa fondamentale.
In altre parole ciò di cui Draghi non ha parlato lascia preoccupazioni ed interrogativi a cui occorre dare risposte e anzitutto deve darle il governo.