L'esito del referendum non ha portato ad una situazione stabile, con conseguenze certe.
Le promesse fatte in campagna elettorale si sono rivelate strumentali, al solo fine di vincere il referendum, basta pensare alla legge elettorale, ormai rinviata a primavera/estate del 2021.
Neppure le ulteriori modifiche costituzionali sono state approvate e perfino l'abbassamento dell'età di voto a 18 anni per il Senato - pur perdendo per strada l'abbassamento dell'età per essere eletti - è stato approvato.
Per di più il Pd non ha visto di meglio che proporre ora il monocameralismo, anziché proporre semmai di cambiare il taglio del parlamento, e adombra una nuova Camera proponendo di costituzionalizzare la conferenza stato/regioni.
La legge elettorale ha bisogno del presupposto di un quadro costituzionale stabilizzato, così tutto è più complicato. Per noi è urgente approvare una nuova legge elettorale sulla base di due principi: diritto dei cittadini di scegliere direttamente i loro parlamentari - che non debbono essere nominati dai capi partito - e proporzionalità - tanto più necessaria dopo il taglio del parlamento - per rappresentare le diversità politiche e le aree territoriali.
Non possiamo rassegnarci a votare con il rosatellum, nella versione adattata da Calderoli/Lega, che ha accresciuto il peso del maggioritario. Non approvare una nuova legge elettorale fa correre il rischio che un incidente politico, sempre possibile, possa portare la destra ad essere favorita e perfino a creare le condizioni per eleggere da sola un nuovo presidente della Repubblica.
Veltroni, che pure aveva dichiarato di essere per il No, ha rilanciato la legge maggioritaria, utilizzando il traino dell'elezione di Biden. Non sono d'accordo, una legge elettorale che taglia fuori le diverse posizioni politiche è una riduzione forzosa della capacità del parlamento di rappresentare elettrici ed elettori. Esattamente il contrario di quanto è necessario per rilanciare la nostra democrazia rappresentativa in questa fase difficile.
Non a caso quando era possibile (2006/2008) togliere le liste bloccate decise dall'alto non ci fu alcun tentativo di modificare il porcellum, fino alla vocazione maggioritaria del 2008 che resta una pietra miliare della frantumazione di un'alternativa politica alla destra in Italia.
E' l'insistenza per una rincorsa al centro proprio nel momento in cui è necessario rispondere alla destra con un'alternativa chiara e netta, che dia una speranza, indichi un futuro di cambiamento e la sua base può essere solo un progetto politico ed economico alternativo. Questa alternativa deve porsi l'orizzonte di un cambiamento delle regole economiche europee fondate sull'austerità e per ora solo sospese. Non basta la dichiarazione di Gentiloni che queste regole verranno sospese anche nel 22, vanno cambiate a fondo, anche riscrivendo i trattati europei.
Dopo il referendum il governo non ha trovato di meglio che fare della conferenza stato/regioni un centro di decisione, in anticipo su modifiche normative. Il parlamento, azzoppato dal taglio, è stato così bypassato dal combinato dei Dpcm e dal ruolo decisionale attribuito alle regioni. La leale collaborazione tra livelli istituzionali non è dare vita ad una sede decisionale tra esecutivi che mette il parlamento di fronte a scelte già fatte. Per di più così il governo indebolisce sé stesso e sottovaluta l'esigenza di presentarsi al confronto con le regioni forte di un mandato parlamentare.
I fatti drammatici degli ultimi mesi dimostrano che c'è l'esigenza di riportare le regioni dentro un quadro nazionale, a partire dal contrasto alla pandemia.
Durante la pendemia si sono sviluppate tensioni, scaricabarile e le regioni hanno complicato il quadro, spesso contraddittorio e confuso, di norme e scelte, spesso in contrasto con il governo, amplificando le differenze tra aree territoriali. Al punto che i diritti costituzionali, tra cui anzitutto salute e istruzione, non sono più gli stessi nelle diverse aree del paese. Quanti hanno chiesto un ripensamento del decentramento della sanità alle regioni (particolarmente importanti le voci del mondo dei sanitari in prima linea) non sono state fino ad ora sufficienti a creare un movimento per la revisione dell'attuale decentramento.
Il governo ha dovuto prendere atto che la scelta di affidare alla conferenza stato/regioni le decisioni sulla pandemia era velleitaria e sbagliata. Il governo ha dovuto prendere atto che ha già l'obbligo costituzionale di assumere le misure necessarie per la lotta alla pandemia (ex art 120).
Per questo il governo ha portato in parlamento una discussione preventiva sull'ultimo Dpcm, senza per questo riuscire a correggere in modo sufficiente la situazione. Resta una situazione instabile nelle decisioni che dovrebbero essere affidate all'automatismo dell'algoritmo per collocare le regioni nelle diverse aree, ma resta l'impressione che le decisioni siano troppo esposte alle pressioni.
Avere inserito il disegno di legge sull'autonomia differenziata tra i collegati alla sessione di bilancio è un grave errore. Una legge di recepimento di eventuali accordi tra governo e regioni potrebbe sempre modificare ex post la legge quadro, che quindi non offre alcuna garanzia mentre apre all'affidamento di nuovi poteri alle regioni, che può diventare un percorso irreversibile di sfrangiamento dell'unità nazionale.
Per questo chiediamo che il disegno di legge venga scollegato e abbia un normale iter parlamentare e che governo e parlamento ascoltino tutte le posizioni in campo, compresa la nostra, dichiarandosi disponibile a ripensamenti.
Meglio nessun ulteriore decentramento piuttosto che un'autonomia differenziata sbagliata, che la destra vede come ghiotta occasione per rilanciare il presidenzialismo, presente nel suo programma comune e rilanciato con forza da FdI. Il Presidenzialismo non sarebbe una modifica della Costituzione ma un suo stravolgimento. Il superamento del carattere parlamentare della nostra democrazia.
Non vanno sottovalutate le pressioni tecnocratiche e dei poteri economici e finanziari non solo nazionali che da tempo premono per cambiare la nostra Costituzione, che invece noi vogliamo resti l'architrave della democrazia in Italia, nata dalla Resistenza.
Abbiamo aperto con il documento del direttivo una riflessione seria sulle ragioni della vittoria del Si al referendum e sul risultato importante del No.
Dalla Lombardia è venuta una proposta di integrazione del documento che proponiamo di trasformare in un ordine del giorno al termine dei nostri lavori. Così potrebbe avvenire per altre proposte venute dai territori. Questo non è un congresso, il documento doveva aprire la discussione, che c'è stata, e quindi va integrato con le nuove proposte di iniziativa.
Il referendum ha dimostrato che il populismo è ancora forte e influenza fortemente posizioni che pure hanno altro orientamento. Ha prevalso una concezione emergenziale che pur di bloccare la destra ha messo la sordina alle conseguenze del taglio del parlamento, ma non ci interessa tanto ragionare sul passato quanto individuare i punti di intervento attuali.
Nessuna sordina alle ragioni che ci hanno portato a schierarci per il No nel referendum ma ricordo che abbiamo costituito il Comitato per il No per dare visibilità alla scelta politica, dopo le firme raccolte dai senatori, e per consentire a quanti non condividevano la scelta del No di restare nel coordinamento con le loro opinioni. Non siamo un partito, né vecchio né nuovo, ma un'associazione di persone, dobbiamo accettare che la maggioranza si esprima e nello stesso tempo vengono rispettate altre posizioni. La maggioranza ha condiviso la scelta del No ma ha considerato opinioni diverse con rispetto. Ci unisce la Costituzione, la sua attuazione, che per tutti noi è un riferimento fondamentale.
Due sono stati gli ostacoli più seri nella campagna per il referendum.
Il primo è che abbiamo difeso il ruolo del parlamento ma il parlamento è stato il peggior nemico di sé stesso, a partire dal voto favorevole così ampio al taglio del 36,5%, che era una tappa verso un suo ridimensionamento. Questo parlamento ha dimostrato di essere figlio di un meccanismo di nomina dall'alto che ne ha annichilito la capacità di svolgere un ruolo autonomo di rappresentanza dei cittadini. Non siamo pentiti ma avremmo avuto bisogno di un colpo di reni che non c'è stato, se non l'autonomia di 71 senatori che ha evitato almeno di ripetere il pessimo episodio dell'articolo 81 e ha obbligato la maggioranza che ha approvato il taglio a non rifuggire da un confronto politico, per quanto insufficiente, sulla scelta politica del taglio del parlamento.
Il secondo è che tra istituzioni e paese reale c'è una frattura profonda, pericolosa, che riguarda anzitutto il parlamento, contro il quale è già partita una nuova campagna di delegittimazione. Il taglio del 36,5 % non ha chiuso il capitolo. La pandemia ha drammatizzato i problemi. Di fronte al pericolo per la vita si è manifestato un dissenso contro le misure di controllo della diffusione della pandemia. Al di là di strumentalizzazioni la sostanza è che una parte del paese corre il pericolo di cadere nella povertà, di essere emarginata. Così si rischiano nuove fratture tra generazioni, tra territori, nuove emarginazioni, quindi nuove proteste, rivolte.
Guai a ignorare l'allargamento della disuguaglianza, il crescere di rabbia e frustrazione. Alla fine della pandemia il potere di decisione potrebbe essere concentrato in poche mani e la subalternità sempre più ampia e disperata.
La pandemia non è una drammatica avventura prima di tornare alla vita precedente, concezione che è all'origine dell'allentamento che ha rilanciato l'epidemia. Non ci sarà un ritorno a prima. Per questo è importante chiarire che la sanità, l'istruzione, le strutture necessarie per la vita e la mobilità, il risanamento del territorio e uno sviluppo compatibile con l'ambiente sono aspetti di un progetto di futuro sociale ed economico e comportano scelte pubbliche tali da guidare verso nuovi obiettivi, a partire dall'occupazione. E' il momento di lanciare un progetto per costruire un'Italia nuova, diversa, con un uso attento dei fondi europei e continuiamo a sperare che il parlamento non si faccia estromettere ancora una volta e cerchi di rappresentare il paese reale.
Non possiamo accettare oltre che la produzione e l'erogazione di servizi indispensabili per la vita di tutti noi siano collocati fuori dall'area di controllo del nostro paese. Priorità e obiettivi debbono cambiare radicalmente.
Per questo non siamo riusciti a coinvolgere e a convincere settori della società che avevano ed hanno gravissimi problemi. E' una forma forte e preoccupante di contrapposizione tra istituzioni e paese. Un paese che rischia di non avere interesse ed attenzione - a torto - verso le istituzioni, a partire dal parlamento, visto come sede di privilegi e non come indispensabile sede di rappresentazione delle istanze del nostro paese.
Una parte del paese è scesa in campo, come noi, per questa battaglia democratica ma la profondità dei drammi sociali che sono sotto i nostri occhi ha impedito, certo anche per nostri limiti, di allargare lo schieramento.
Il risultato del referendum ne ha risentito. Ne sta risentendo, ne risentirà, la qualità della democrazia, la tenuta sociale del paese, il progetto della sua unità, unica alternativa alla disgregazione. Pericolo che purtroppo esiste.
La discussione nei Comitati territoriali si è soffermata sulla proposta di definire meglio le forme di adesione all'iniziativa del Coordinamento. La sintesi possibile mi sembra questa. Siamo un'associazione di persone, anche chi ha responsabilità in altre organizzazioni partecipa a titolo personale. Non intendiamo trasformarci in partito. Semmai ci interessa ridefinire cosa deve essere un partito, dobbiamo parlarne ma non riguarda il Coordinamento. Abbiamo già dato in passato garanzie di autonomia e le confermiamo. Dobbiamo invece riflettere sul fatto che nel 2016 abbiamo potuto contare su oltre 400.000 euro per la campagna elettorale, mentre nel 2020 su poco più di 12.000, con risultati comunque non disprezzabili centrati sul volontariato. Dobbiamo attrezzarci meglio. Chiediamo a quanti si sono impegnati in questa campagna referendaria di continuare tutti insieme nel Coordinamento. Il Cdc è un coordinamento nazionale che non pretende di essere sovraordinato ad alcuno. Partecipa chi è convinto che sia utile farlo, ma questa forma di adesione deve avere un riscontro tangibile. Se il tesseramento non piace a tutti possiamo risolvere il problema con tre elementi: adesione esplicita, mail a disposizione per i contatti, versamento di non meno di 20 euro per fare partire la nuova fase della nostra esperienza. Senza questo impegno avremmo risorse solo per qualche mese e non riusciremmo a regtranscripts.gotomeeting.com/?utm_source=recordingReadyNotification&utm_medium=email#/s/2f263d7d882e19ef058513792e5bdf2fced1b581ce3e1ddabeaeagere neppure i costi all'osso del sito e della pagina facebook, la cui continuità è stata chiesta da tanti. Per farlo occorre avere un minimo di risorse e questa proposta può tentare di realizzare l'obiettivo.
Proponiamo di organizzare a breve un confronto con esponenti politici che oggi non potevamo invitare a parlare pena il silenzio dei Comitati. Inoltre pensiamo di convocare il direttivo del Cdc per riassestare gli organi dirigenti, con nuove immissioni, confermando la volontà di proseguire la nostra esperienza, mentre, come sapete, il Comitato per il No ha esaurito la sua funzione dopo il referendum come avevamo previsto nel suo statuto.
Oltre le iniziative già dette proponiamo di svolgere seminari di approfondimento sui grandi temi, dal futuro della sanità alle scelte per un rilancio dell'occupazione e di un'economia con al centro sostenibilità e ambiente.
Inoltre proporremo iniziative comuni con le altre associazioni sull'autonomia differenziata partendo da una proposta di Mauro Sentimenti del coordinamento dell'Emilia Romagna.
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