Andiamo con ordine. Quante volte è stato detto che il Patto europeo di stabilità e crescita aveva di fatto una attuazione unilaterale sulla sola stabilità, senza riguardo alla parte relativa alla crescita, con il risultato inevitabile di scelte restrittive, di tagli ai bilanci pubblici. La Grecia ha pagato cara questa politica europea. Parte importante del risorgente nazionalismo in Europa ha trovato alimento nelle contraddizioni create da una globalizzazione senza controlli e regole e da politiche europee che hanno ignorato l’imperativo della crescita come condizione per risanare il debito pubblico senza fare pesanti tagli alle condizioni di vita e allo stato sociale. Avere ottenuto dalla Commissione europea per un periodo un occhio di favore, ad esempio con l’accettazione delle clausole di salvaguardia (un pagherò) che quest’anno avrebbero portato ad aumentare 24 miliardi di Iva. Flessibilità ottenuta proprio da quando sono state indurite le regole per gli stati e l’Italia ha modificato l’articolo 81 della Costituzione. Questo può avere tratto in inganno dando l’impressione che malgrado regole draconiane la situazione poteva essere gestita senza troppi danni.
Invece la pressione dei rigoristi, promotori della politica di austerità ad ogni costo, è proseguita in questi anni escogitando modalità sempre più vincolanti per passare dai documenti ai fatti, costringendo gli stati “reprobi” ad adottare misure stringenti. La ragione che porta a costruire il Mes come una tecnostruttura, sostanzialmente libera da vincoli politici, è questa. Il richiamo formale ai compiti della Commissione, considerata troppo politica e permeabile, non deve trarre in inganno. È con il board del Mes (una tecnostruttura di fatto autoreferenziale) e in particolare con il suo “capo” che dovranno fare i conti gli Stati in difficoltà per ottenere i prestiti europei. Senza l’ok della tecnostruttura niente salvataggio. È un modo curioso di operare: si costruisce una struttura finanziata dagli stati ma sancendo la loro impossibilità di avere voce in capitolo nelle scelte e lasciando fuori dalla porta il parlamento europeo, oltre che di fatto la Commissione perché l’ultima parola spetta al Mes. Questo risultato dovrebbe anzitutto essere imputato alla Lega, senza farsi distrarre dalle grida, dalle minacce, dal fracasso che coprono solo la conferma che quando era al governo, Salvini vicepresidente del Consiglio, non si è mai occupato di questi problemi, ha lasciato andare avanti le trattative fino a lasciare il cerino in mano ad altri, complice la distrazione – ad essere buoni – del M5Stelle. Un governo debole come il Conte 1, con esponenti troppo occupati a polemizzare aspramente con gli altri stati europei, è risultato del tutto incapace di fare alleanze per ribaltare la linea dell’austerità ad ogni costo.
Non risulta, ad esempio, che sia mai stato sollevato il problema degli stati che come la Germania hanno un surplus storico – eppure è un’infrazione alle regole come il debito eccessivo – ed è anche per questo che l’Europa cresce con fatica. Chi vorrebbe non può e chi potrebbe non fa, da qui la frenata negli investimenti, motivata con il timore di alleviare con soldi propri le sofferenze altrui. Ora il problema non è solo il Mes, come dovrebbe funzionare, ma l’insieme delle regole e delle strutture, compresa l’unione bancaria europea, senza dimenticare il Fiscal Compact e i suoi derivati che costituiscono la bibbia rigorista, a cui inevitabilmente farà riferimento il Mes. Il pericolo concreto per l’Italia è un debito pubblico al 70% detenuto in Italia e titoli del debito detenuti dalle banche per oltre 400 miliardi. Se in presenza di un’emergenza dovesse scattare la pretesa, ad esempio dal Mes, di ristrutturare il debito prima di concedere i prestiti ritenuti necessari, si avrebbe una situazione tremenda: parte importante della ricchezza dei cittadini in fumo, banche in crisi di bilancio con rischio di fallimenti.
Non garantiscono nulla i giudizi da fonti autorevoli che il debito italiano è sostenibile, occorre una clausola precisa di controllo sulle decisioni in caso di necessità di aiuto. Altrimenti il rischio di aprire la strada ad un incubo è concreta e si rischia di avere il Mes in campo non tanto per risolvere una crisi ma per sterilizzarne gli effetti sugli altri paesi. Il problema qui non è la Lega o l’isolamento paventato dell’Italia, semplicemente se non vengono sterilizzati questi pericoli con certezza meglio non farne nulla, costi quel che costi, con buona pace di Centeno. Monti spiegò in un’intervista che pur apprezzando il fondo salvastati, progenitore del Mes, nel 2011 aveva preferito fare una legge finanziaria lacrime e sangue pur di non cedere sovranità nazionale, eppure non era certo un sovranista. Da qui è nata, ad esempio, la vituperata legge Fornero.
Ora il problema di fondo da risolvere è se i titoli pubblici siano o no il problema da affrontare con mezzi draconiani come la ristrutturazione del debito. Va sancito con chiarezza un punto, mentre ha poca importanza la sede purché abbia lo stesso valore giuridico e politico, e cioè che i titoli pubblici costituiscono ricchezza nazionale da tutelare e non una tossicità e quindi vanno tutelati. Semmai il problema sono i titoli finanziari tossici che sono in pancia a banche europee in quantità impressionanti. Problema non solo per alcuni giganti tedeschi ma anche per altre banche dell’austero nord Europa. Il debito pubblico è un problema da affrontare senza uccidere il “paziente”. Su questo punto il Pd e la sinistra al governo hanno una posizione poco comprensibile. Anzitutto non si può dire: è troppo tardi per fare modifiche, per poi scoprire che qualcosina si può ancora fare. Bisogna ribaltare lo schema dicendo con chiarezza cosa è indispensabile per l’Italia e su questo agire con serietà e durezza e la bolla voluta da Salvini si sgonfierebbe.
Regalare argomenti alla Lega non è comprensibile, lasciare incertezza su punti decisivi non è prudente, meglio prendere il tempo necessario per fare le correzioni necessarie.
Alfiero Grandi
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