La maggioranza dei senatori sembra determinata ad approvare le modifiche della Costituzione incurante dei danni che questa manomissione degli equilibri istituzionali del nostro paese, insieme alla nuova legge elettorale, provocherà nel già malandato funzionamento della nostra democrazia.
Parto da un episodio minore accaduto pochi giorni fa. La Camera ha approvato quello che molti definiscono un tentativo di mettere un bavaglio alle intercettazioni e un limite alle indagini della magistratura. Non è un provvedimento di cui il governo possa andare fiero, tuttavia l’aspetto che mi interessa sottolineare è che il Ministro Orlando, per cercare di ammorbidire le dure critiche, provenienti soprattutto dalla magistratura, ha promesso che in seconda lettura il Senato potrà cambiarne alcuni aspetti. E’ un comportamento molto frequente. Governo e parlamento perfezionano spesso in seconda lettura testi altrimenti inaccettabili o quanto meno imperfetti.
E’ uno dei modi in cui hanno funzionato le garanzie democratiche nel nostro paese: una prima lettura di massima delle leggi e il loro perfezionamento nella seconda. In futuro le leggi verranno approvate senza la doppia lettura che resterà solo per casi rarissimi e fermo restando che la Camera potrà sempre confermare in conclusione la sua versione della legge. Naturalmente si possono scegliere altri sistemi di garanzia e cercare un nuovo equilibrio, a partire dalla possibilità che fiducia e sfiducia verso il governo siano attribuite alla sola Camera dei deputati. Quindi la questione non è difendere la situazione attuale ad ogni costo, in particolare il ruolo attuale del Senato, ma sostituire ad un sistema di garanzie altre garanzie, altrimenti è una mera sottrazione. La manomissione della Costituzione che porta le firme di Renzi e Boschi non crea un nuovo equilibrio democratico, basato su pesi e contrappesi, anzi prospetta una Camera sproporzionata rispetto al senato (630 contro 100) che, diventando di fatto l’unico organo di rappresentanza che dà la fiducia o la toglie al governo, per di più viene eletta con un sistema ipermaggioritario che consegna al partito vincitore delle elezioni tutto il potere. Se poi il vincitore è anche in grado di decidere liste ed eletti grazie alla doppia veste di Presidente del Consiglio segretario del Pd il gioco è fatto: la Camera diventa totalmente subalterna al governo, ribaltando i principi della nostra Costituzione. Inoltre il vincitore delle elezioni deciderà di fatto il Presidente della Repubblica e influenzerà pesantemente la composizione della Corte costituzionale e del Csm.
Alla fine di questo percorso decisionale il “capo” del governo diventerà l’unico vero decisore, senza possibilità di essere contraddetto, almeno non prima delle nuove elezioni. Per completare questo disegno autoritario ed accentratore viene modificato in profondità anche il titolo V che attribuisce poteri alle Regioni e ai Comuni. Per fare un esempio, le Regioni hanno promosso un referendum abrogativo della legge del governo che autorizza trivelle a gogò, ma in futuro con la nuova divisione dei poteri questo diventerà pressochè impossibile perché le Regioni perdono sostanziali poteri sul territorio. Inoltre la RenziBoschi, non appagata da questo accentramento, ha pensato bene di imporre tempi prefissati per l’approvazione dei provvedimenti del governo, norme che si aggiungono ai decreti legge che già la fanno da padrone nei lavori parlamentari. Così non solo la Camera sarà subalterna al governo per effetto del sistema elettorale ma dovrà lavorare con i tempi e le modalità decise dal governo.
Sorge un altro serio problema. La Corte costituzionale ha sanzionato pesantemente la legge elettorale (porcellum) con cui è stato eletto questo parlamento. E’ vero che gli atti decisionali adottati fino alla sentenza della Corte sono stati fatti salvi. Tuttavia in seguito alla sentenza della Corte un poco di prudenza nei comportamenti di questo parlamento non avrebbe guastato. Può un parlamento eletto con un premio di maggioranza sotto accusa decidere un nuovo premio di maggioranza che potrebbe perfino essere maggiore di quello del porcellum in caso di ballottaggio? Può modificare la Costituzione introducendo un premierato forte (anzi fortissimo)? Non dovrebbe ma lo sta facendo, dimenticando che modifiche della Costituzione così impegnative dovrebbero avvenire attraverso una rappresentanza effettiva quindi proporzionale delle posizioni politiche e culturali presenti nel paese. Senza dimenticare che queste modifiche contraddicono lo spirito della Costituzione vigente, nata dalla Resistenza.
E’ un fatto molto grave e serio quanto sta avvenendo e riguarda la democrazia del nostro paese. Purtroppo il Pd sembra non rendersi conto dei guasti che provocheranno queste decisioni. Purtroppo le speranze destate dall’opposizione a queste scelte da parte di esponenti del Pd oggi sembrano rientrate nella logica della prevalenza dell’accordo interno al partito, che su questioni come la Costituzione non dovrebbe prevalere. Si finge di non vedere l’esplicito soccorso al governo (Verdini e c.) a sostegno di queste modifiche da parte di settori del centro destra. La ragione è chiara, in fondo queste scelte del governo sono largamente ispirate ad una logica di accentramento del potere per far passare, piaccia o non piaccia, scelte politiche che hanno visto sempre più nel mirino i sindacati e hanno sposato il punto di vista delle imprese, imponendo sacrifici e rinunce ad alcuni e vezzeggiando altri. Le scelte autoritarie servono a questo. Se si vogliono dare soldi alle imprese occorre tagliare la spesa sociale e l’accentramento decisionale è l’unico modo per imporre le scelte, o almeno per provarci. Del resto nella scuola un grande e forte movimento unitario ha subito l’onta dell’approvazione di una legge che non voleva. Ora che può fare il mondo della scuola, se non vuole subire, se non opporsi con gli strumenti che restano a disposizione? Per questo occorre considerare seriamente il ricorso ai referendum per tentare di bloccare questo disegno di stabilizzazione moderata, di cui purtroppo il Pd di Renzi è protagonista.
Lo spiazzamento in questa situazione è determinato dal fatto che politiche moderate e conservatrici vengono sostenute da chi dovrebbe costituire parte importante del centro sinistra e il Pd sta subendo un’evidente e preoccupante deriva moderata.
Troppi pensano che i problemi del funzionamento istituzionale siano della casta. E’ un errore gravissimo, in parte effetto della propaganda dei gruppi dominanti che sperano in questo modo di allontanare ancora di più i cittadini dalla vita politica e da ogni velleità di partecipazione, in modo da lasciare campo libero alle tecnocrazie e alle classi dominanti del paese, secondo una linea che vuole definire chi governa e chi è governato, punto e basta.
Le forme della rappresentanza parlano della democrazia, delle forme di partecipazione, della vita delle persone. Lungo il sentiero immaginato da Renzi la governabilità è tutto, la partecipazione e la possibilità di contrastare scelte non condivise non ha alcuna importanza. Eppure i padri costituenti avevano immaginato una democrazia com plessa, con contrappesi, tale da favorire la partecipazione delle classi sociali, in particolare di quelle subalterne, alla vita politica e alle decisioni. Qui cambia tutto, l’astensione viene data per scontata, la partecipazione che serve è quella che consente di scegliere all’interno della classi dominanti chi deve governare e basta. Quindi l’astensionismo crescente non è visto come un problema, anzi peggio viene considerato costitutivo di una democrazia matura.
L’assetto istituzionale che Renzi disegna serve alla stabilizzazione dei poteri dominanti, quindi ritenere che sia un problema di altri vuol dire lasciare campo libero a questa manovra e subirne gli effetti futuri. Purtroppo il Pd si è ricompattato su queste scelte istituzionali. La minoranza ha accettato un terreno di compromesso che non ha risolto alcunché e di fatto si è consegnata alla maggioranza renziana. Non c’è affatto la certezza che i senatori verranno eletti dai cittadini perché il pasticcio linguistico dell’emendamento condiviso anche dalla minoranza del Pd non garantisce il diritto dei cittadini di eleggere i senatori perché questo potere è a mezzadria con i consigli regionali e rinviato ad una futura legge di cui nulla è dato sapere. Inoltre resta la sostanza di un Senato ridotto a dopolavoro, tranne che per l’immunità, con troppo pochi componenti rispetto alla Camera e con una drastica riduzione dei poteri. Non si tratta di difendere acriticamente il ruolo attuale del Senato quanto della pretesa di conoscere quali garanzie sostituiranno quelle esistenti, in corso di smantellamento. Questa risposta non c’è ed è per questo che al referendum confermativo sulle modifiche costituzionali occorre organizzare il no, sia per contrastare il tentativo di ottenere un plebiscito da parte di Renzi sia per inserire il no nel contesto di un contrasto del disegno renziano, che non comprende solo le modifiche costituzionali. Questo referendum obbligherà tutti a scegliere e non impegnarsi in questa battaglia sarebbe un errore storico. Quindi occorre mettere in discussione insieme le modifiche che stravolgono la Costituzione attuale che la legge elettorale promuovendo referendum abrogativi e, se possibile, mettendo in discussione alcuni dei provvedimenti più odiosi come la legge sulla scuola e il jobs act, la legge che autorizza trivellazioni in barba alla difesa dell’ambiente.
La via referendaria è a questo punto inevitabile, non tentarla vorrebbe dire consegnare a Renzi la vittoria senza nemmeno combattere. Sulle modifiche della Costituzione il referendum ci sarà perché difficilmente, malgrado tutto, il governo otterrà i 2/3 dei voti necessari per evitarlo. Sulla legge elettorale e su altri argomenti di grande peso sociale perché è necessario che i cittadini italiani sappiano cosa accadrà per effetto della combinazione di queste leggi con le modifiche costituzionali. La modifica dei meccanismi decisionali trova infatti delle illuminanti anticipazioni in leggi che sono un’autentica forzatura della Costituzione vigente e un’anticipazione di quello che verrà, se le modifiche andranno in porto. C’è stato un tentativo di anticipare i tempi dei referendum che non ha avuto il consenso necessario. Per condurre questa sfida occorre costruire uno schieramento ampio e unitario, perché la raccolta delle firme per arrivare ai referendum che pure è impegnativa è solo il problema iniziale in quanto i referendum si promuovono per vincerli, non per fare testimonianza e quindi occorre convincere la maggioranza degli elettori che vale la pena di andare a votare, cosa non facile di questi tempi. Fin dall’inizio occorre cercare di costruire un fronte largo, unitario ed includente con l’obiettivo di convincere a votare almeno il 50% più uno degli elettori. Se i referendum vincessero arriverebbe al governo un segnale forte che ne bloccherebbe la deriva moderata. La vera questione e’ se i referendum riusciranno a diventare occasione per ridare fiducia e per promuovere una mobilitazione di massa, del resto questo e’ il carattere proprio dei referendum.
Naturalmente sarebbe importante avere anche in contemporanea lo sviluppo di una parte più costruttiva, di proposte, come la presentazione connessa alla campagna referendaria di leggi di iniziativa popolare sugli argomenti più importanti.
La proposta avanzata dal coordinamento per la democrazia costituzionale che si occupa in particolare di modifiche costituzionali e legge elettorale è di costruire per la prossima primavera una campagna per il ‘no’ al referendum sulle modifiche della Costituzione e per abrogare 2 aspetti fondamentali della legge elettorale. Anzitutto per togliere il premio di maggioranza al primo e al secondo turno e poi per ridare ai cittadini il diritto di scegliere i deputati che di fatto verranno nominati anche in futuro dai capi partito. Se a questi impegni si aggiungeranno altri obiettivi, come la promozione di referendum su lavoro e scuola, si profilerà una campagna referendaria importante e in questo ambito non va dimenticato che su proposta di un movimento Notriv e per il ricorso di 10 regioni nella prossima primavera potrebbe esserci un fronte sufficientemente ampio da costringere il governo per la prima volta a rivedere le sue scelte di merito e questo non potrebbe che essere positivo. ■