Convegno del 30 Ottobre "Riforme istituzionali e legge elettorale, innovazione o restaurazione?"Introduzione di Alfiero Grandi Purtroppo l’attenzione dell’opinione pubblica su argomenti decisivi come la modifica della Costituzione della nostra Repubblica e la nuova legge elettorale resta a livelli troppo bassi. Il nostro paese, colpito da una crisi grave e lunga, tuttora in recessione, è concentrato su disoccupazione, perdita di reddito, assenza di prospettive per i giovani, per ricordare solo alcuni dei punti che erano al centro della manifestazione della Cgil di sabato scorso.
Per questo sarebbe un errore imperdonabile non reagire a scelte politiche sbagliate su Costituzione e legge elettorale, criticando, facendo controinformazione e chiarendo che la scelta non è tra cambiamento e conservazione, ma tra due possibili scelte, di cui quella del governo avrebbe certamente come risultato il rattrappimento ulteriore del ruolo del parlamento e della rappresentanza e l’accentramento delle decisioni nelle mani del governo, per di più togliendo poteri alle regioni.
Semmai è questa scelta accentratrice che sa di ritorno al passato.
Il Governo aveva dettato tempi strettissimi per le modifiche a Costituzione e legge elettorale, addirittura entro lo scorso maggio, in realtà tra le dichiarazioni, quasi intimidatorie e con tempi prefissati, del Governo e la realtà c’è una bella differenza se nessuno di questi provvedimenti è ancora stato approvato definitivamente a fine ottobre, come dimostra anche il fatto che ancora oggi il servizio studi del Senato, sempre puntuale nel preparare i dossier sulle leggi per i parlamentari, non ha concluso il suo lavoro sulla legge elettorale, evidentemente ha capito che non c’era una vera urgenza.
Anche l’approvazione a tambur battente delle modifiche costituzionali al Senato avvenuta l’8 agosto è servita a poco visto che la Camera ne ha appena iniziato l’esame in commissione e per di più sui lavori parlamentari preme l’ingorgo della conversione dei numerosi decreti legge, approvati con il rullo compressore del voto di fiducia, e con l’incombente iter obbligato della legge di stabilità che deve tassativamente essere approvata entro l’anno. Questo malgrado alla Camera la maggioranza abbia un ampio margine.
Va ricordato che se la Camera cambierà il testo delle modifiche costituzionali uscito dal Senato, come ha previsto Calderoli, il risultato sarà che le 4 letture sullo stesso testo inizieranno da quel momento e i tempi saranno ancora più lunghi. Il Ministro Boschi ha parlato in questi giorni di una approvazione conclusiva delle modifiche costituzionali a fine 2015/inizio 2016, confermando che la fretta imposta ai provvedimenti era del tutto propagandistica e che il tentativo di spacciare all’opinione pubblica l’avvenuta approvazione dei provvedimenti fa parte di questa propaganda.
I tempi reali di approvazione dei provvedimenti quindi saranno diversi e più lunghi di quelli sbandierati con grande enfasi da Renzi, anche perchè probabilmente il Governo si è reso conto che alla Bce e alla Commissione Europea interessavano ben poco le modifiche istituzionali italiane, mentre interessavano molto di più l’introduzione di flessibilità ulteriore nel mercato del lavoro, ad esempio estendendo il tempo determinato senza vincoli, e l’attacco all’articolo 18 e ad altri presidi dello Statuto a favore della dignità dei lavoratori come il divieto della videosorveglianza e del demansionamento.
Modifiche costituzionali e nuova legge elettorale restano comunque obiettivi di Renzi e, al di là dei tempi di approvazione più lunghi, occorre che si sviluppi una forte iniziativa in grado di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle modifiche che si vogliono introdurre, per fare pesare una consapevolezza critica che oggi è troppo debole e che deve durare per tutto il tempo necessario.
Ad esempio sulla legge elettorale vengono annunciati cambiamenti di orientamento del Governo di non poco conto ma non risulta che ci siano state nel merito discussioni nelle sedi politiche collettive del Pd. La prima versione della nuova legge elettorale presentata dal Governo riguardava anche il Senato, poi la decisione di non fare eleggere i senatori ha portato a cancellare quella parte, ora se ne riparla, forse in previsione di elezioni che potrebbero esserci prima della definitiva approvazione delle modifiche costituzionali. Vedremo. Sembra invece certo che il Governo voglia modificare la natura del soggetto beneficiario del premio di maggioranza passando dalla coalizione al partito. Il condizionale è d’obbligo perché per ora non ci sono atti parlamentari che lo confermano, ma la convergenza di Berlusconi porta a ritenere che abbia un fondamento il passaggio da coalizione a partito. Questa modifica avrebbe implicazioni enormi perché andrebbe oltre il tentativo di forzare verso il bipolarismo, imponendo di fatto un bipartitismo che in Italia non esiste, infatti lo spareggio tra i 2 partiti finalisti spingerebbe prepotentemente in questa direzione. In altre parole questa è la pietra tombale sulla stagione dell’Ulivo e su tutta l’esperienza del centro sinistra italiano iniziata da Prodi, non a caso è stata lanciata una campagna contro i piccoli partiti messi all’indice come i responsabili del mancato funzionamento del sistema, come del resto ha sempre affermato Berlusconi: non mi hanno lasciato lavorare. Argomento che oggi non è più appannaggio solo di Berlusconi.
Le elezioni anticipate vengono minacciate ad ogni tornante impegnativo come ricatto sul parlamento, per ricondurlo all’obbedienza.
Le modifiche costituzionali e in genere quelle istituzionali dovrebbero essere prerogativa del parlamento, mentre ora è il Governo ad esercitare un ruolo preponderante non solo di proposta, ma di accettazione o ripulsa delle proposte dei parlamentari, con un vero e proprio rovesciamento dei ruoli, salvo poi rimproverare al parlamento di non esercitare il suo potere legislativo e di controllo.
Non si possono giudicare le modifiche costituzionali senza tenere conto della legge elettorale, le 2 questioni debbono essere viste insieme perché hanno una reciproca influenza.
Sulla proposta di legge elettorale approvata dalla Camera le osservazioni si possono concentrare su alcuni punti:
1)non sono accettabili forzature allo scopo di obbligare le forze minori ad aggregarsi
2)il premio di maggioranza per la governabilità, se proprio è ritenuto necessario, deve scattare a una soglia molto più alta dell’attuale. Anche il 40 % è un livello troppo basso, tanto più in presenza di una crescita vertiginosa dell’astensionismo (non va dimenticato che il 40,8 % di Renzi alle europee vale comunque un milione di voti in meno di quelli presi da Veltroni nel 2008)
3)il premio di maggioranza, che potrebbe essere ridotto a ben poco visto che dovrebbe essere di norma il risultato di uno spareggio, deve comunque avere un contrappeso in una soglia di sbarramento molto più bassa di quella oggi prevista per i partiti minori, coalizzati o meno, al fine di consentire la loro rappresentanza in parlamento; in ogni caso deve sparire la donazione di sangue gratuita al partito più grande da parte dei piccoli partiti coalizzati, che nell’attuale versione della legge elettorale non avrebbero diritto a rappresentanza ma vedrebbero conteggiati i loro voti a favore del partito dominante
4)i parlamentari debbono tassativamente essere eletti dai cittadini e non più nominati, come con il porcellum e con l’italicum, nemmeno parzialmente attraverso i capilista; questa è questione dirimente, i cittadini hanno diritto di decidere i loro rappresentanti; infatti è già discutibile che un parlamento di nominati, che è stato eletto con una legge dichiarata in buona parte incostituzionale dalla Corte sia autorizzato a modificare la Costituzione e sarebbe addirittura incredibile che decidesse di continuare ad impedire agli elettori di eleggere i loro rappresentanti
Sulla legge elettorale come sulla Costituzione è stato stabilito da Renzi un rapporto privilegiato con Berlusconi, che - malgrado sia un condannato senza diritti politici, per di più dichiarato decaduto dal Senato - entra ed esce dalle sedi istituzionali e viene considerato un referente politico fondamentale, in altre parole è stato per l’ennesima volta riabilitato. Letta aveva sbagliato per ottimismo quando aveva dichiarato concluso un ventennio, non aveva previsto non solo “lo stai sereno” ma anche che Renzi rimettesse in campo Berlusconi, capovolgendo le precedenti posizioni del Pd, e aprendogli la strada per atteggiarsi a padre della patria.
Del resto non è casuale che un provvedimento di legge approvato con larga maggioranza alla Camera, con i voti del Pd e di Forza Italia, sia un condono per gli esportatori di capitali all’estero, esteso anche agli evasori non esterofili per “ragioni di equità”. L’unica vera preoccupazione del Governo e di chi l’ha approvato è di negare che la cancellazione di reati penali, fino alla perla della non punibilità per chi ha usato i soldi per scopi personali, e la drastica riduzione delle pene pecuniarie siano chiamati condoni, come invece ha fatto senza veli Il Giornale di Berlusconi (è caduto un altro tabù della sinistra).
E’ Berlusconi che per primo ha tentato di scaricare sui suoi alleati la sua incapacità di governare, malgrado una maggioranza di 100 deputati.
Questo argomento è stato ripreso anche all’interno di quella che fu l’area del centro sinistra, prima con la teorizzazione della vocazione maggioritaria del Pd di Veltroni e ora con l’evidente desiderio di Renzi di vincere da solo, grazie ad un parlamento di nominati, quindi obbedienti ai voleri del Governo. Questa deriva se non è autoritaria è certamente centralizzatrice del potere nelle mani del capo del Governo.
La scorciatoia centralizzatrice, di accentramento personale del potere, dovrebbe servire a dare soluzioni semplici a problemi complessi, senza la fatica del confronto con altre posizioni politiche e sociali, in particolare mettendo fuori gioco i sindacati.
L’atteggiamento di rottura verso i sindacati, in particolare verso la Cgil, da parte di Renzi è preoccupante e rischia di portare ad una rottura seria con la parte più combattiva del mondo del lavoro e di portare il paese lontano dalla possibilità di mobilitare tutte le sue energie per portare l’Italia fuori dalla crisi.
In generale prevale un atteggiamento di scontro e di imposizione, tranne che con Berlusconi e Verdini, anche all’interno del Pd, che ha come corollario la pretesa di una disciplina di stampo sovietico nell’attuazione delle decisioni del Governo, giocando sul doppio incarico di capo del governo e del partito.
Del resto i tavoli sono più di uno visto che anche la Leopolda si qualifica come una sede non di partito in cui si decide la linea che deve tenere il partito stesso.
Veniamo alla modifica della Costituzione. I tentativi di modifica della Costituzione sono stati numerosi, finora senza esito. Tuttavia questa volta la modifica della Costituzione del 48 potrebbe andare in porto, stravolgendola in profondità ed è per questo che è bene essere chiari e netti.
La battaglia va fatta per tentare di impedire stravolgimenti della carta costituzionale, tuttavia se questo non dovesse essere possibile occorre prepararsi per tempo alla battaglia in sede di referendum confermativo. Il Governo dichiara di volere in ogni caso sottoporre al voto le modifiche, gli va ricordato che grazie alla battaglia coraggiosa fatta al Senato da un gruppo di senatori, anche del Pd, l’approvazione delle modifiche costituzionali non ha avuto la percentuale richiesta dei 2/3, necessaria per evitare il passaggio referendario, quindi non è una concessione del Governo. Non possiamo dimenticare i toni offensivi e ricattatori tenuti verso i senatori dissenzienti, è una brutta pagina della vita politica italiana.
Occorre che anche nei futuri passaggi parlamentari l’approvazione, se ci sarà, delle modifiche della Costituzione avvenga con meno dei 2/3 dei voti, in modo da avere la certezza che ci sarà il referendum confermativo, ricordando che già la proposta di Berlusconi, più volte sbandierata come simile dal protagonista, è caduta proprio in sede di referendum confermativo. Non deve ripetersi l’obbrobrio della modifica della Costituzione alla chetichella, all’insaputa degli elettori, evitando il referendum confermativo, come è avvenuto per l’articolo 81 della Costituzione, che ha stabilito rigidi vincoli al bilancio dello Stato, perfino più di quelli già pesanti che chiedevano gli accordi europei fondati sull’austerità.
Per questo va appoggiata pienamente la legge di iniziativa popolare che propone la modifica dell’articolo 81.
La battaglia fatta al Senato sulle modifiche costituzionali, resistendo a pressioni formidabili e portando il confronto in trasparenza non ha solo ottenuto il risultato di fare mancare i 2/3 dei voti, ma ha anche ottenuto alcune modifiche non disprezzabili sui compiti del futuro Senato. Il ddl del Governo prefigurava un Senato con compiti sostanzialmente dopo lavoristici e composto in prevalenza da sindaci, con l’unica vera motivazione di diminuire i costi. Una sottovalutazione del ruolo parlamentare veramente incredibile. Forse è mancato il coraggio di proporne semplicemente l’abolizione, come per le provincie.
Non è stata fatta una battaglia culturale e politica adeguata per mettere in luce che la democrazia ha dei costi, compresa l’esigenza di condizioni accettabili per consentire la vita dei partiti, senza i quali la vita politica è destinata a ritornare ad essere appannaggio esclusivo del censo con l’aggiunta dei lobbisti. E’ vero che nel nostro paese la politica ha purtroppo demeritato troppe volte a causa di scandali ripetuti e del venire meno di presidi morali e di appartenenza sociale. C’è stata una fase in cui la dialettica tra i partiti avveniva anche sui comportamenti e perfino sull’onestà, basterebbe rileggersi quanto detto da Zaccagnini al congresso della Dc nel quale tentò il riscatto del suo partito proprio in un confronto di comportamenti positivi con il Pci di Berlinguer, la cui moralità è parte costitutiva di un mito che sopravvive nel tempo anche a tentativi di oblio. I partiti non sono sostituibili e per questo vanno riformati ma non eliminati o ridotti a semplici gruppi di interesse che porterebbe ad una situazione peggiore di quella precedente. Cavalcare l’antipolitica con atteggiamenti qualunquistici è un grave vulnus per la vita democratica del nostro paese. Per questo proposte come quella di Luigi Ferrajoli che puntano a condizionare il finanziamento ai partiti ad una trasparente vita democratica interna potrebbero aprire un varco nel conformismo attuale, che scade nell’esaltazione del ruolo del leader. Il rapporto diretto, senza mediazioni, tra leader e paese è una forma di populismo dagli esiti imprevedibili e preoccupanti, per questo restiamo convinti che i partiti, riformati anche moralmente, restano un presidio necessario della democrazia costituzionale.
Le modifiche alle proposte del Governo ottenute al Senato dimostrano che le battaglie servono, anche se i risultati complessivi sono ben lontani dalle esigenze e non sono sufficienti perchè non spostano la sostanza del problema.
Meriterebbe maggiore attenzione la modifica del titolo V, in particolare sulle regioni.
Sulle regioni mi limito a fare 2 osservazioni, se la modifica del titolo V fosse avvenuta prima dei referendum su acqua e nucleare la loro effettuazione sarebbe stata molto più difficile, inoltre il Governo non ha atteso questa modifica costituzionale per agire come se già fosse avvenuta come dimostrano le autorizzazioni a raffica concesse allo sfruttamento di giacimenti di petrolio e di gas in mare come in terraferma, senza alcun riguardo per le precauzioni necessarie per scelte che hanno conseguenze sulla salute e sull’ambiente, come sanno bene gli abitanti delle zone interessate. E’ stata scartata persino la procedura di consultazione pubblica prevista in Francia e quindi il riaccentramento avviene senza neppure introdurre temperamenti come l’obbligo di sentire le regioni e le popolazioni interessate.
I parlamentari farebbero bene a ricordarsi che sono rappresentanti dei cittadini e non meri attuatori delle decisioni del governo.
Il bicameralismo perfetto si può superare a condizione che il Senato resti un vero ramo del parlamento e non certo per il titolo che gli viene attribuito, che conferma nell’ultima versione la definizione della Costituzione vigente o per le guarentigie che sono assicurate ai suoi membri, alla pari dei deputati. Questi sono ben magri premi di consolazione.
Se il Senato continuerà ad esistere deve svolgere un ruolo centrale e vero nella vita istituzionale del nostro paese, altrimenti il Governo deve avere il coraggio di dire che ne propone l’abolizione.
La condizione di fondo è che ogni ramo del parlamento, compreso il Senato, deve essere eletto direttamente dai cittadini, mentre la questione del numero dei parlamentari, fin dall’inizio, è stata risolta dalla proposta di Chiti meglio che dal Governo, prevedendo una diminuzione equilibrata sia dei deputati che dei senatori.
I compiti delle camere possono essere diversificati e la fiducia al governo può essere attribuita alla sola Camera dei deputati, ma se non si vuole che il ruolo del futuro Senato sia posticcio occorre che il mandato degli elettori sia a presidio della reale codecisione nei ruoli e nelle materie individuate, anche perché il testo uscito dal senato prevede la compartecipazione all’elezione del Presidente della Repubblica e della Corte costituzionale, alla revisione della Costituzione e in materia di trattati europei e di tutela delle minoranze linguistiche e di referendum popolari. Inoltre il Senato dovrebbe decidere su materie di competenza esclusiva e quindi senza l’elezione dei suoi componenti il Senato rischia di essere semplicemente l’amplificatore della forza dominante alla Camera.
Qualche concessione sui poteri del Senato è stata fatta ma francamente il risultato è confuso, contraddittorio. Il risultato è un testo pasticciato e contraddittorio. Difficile riconoscere nel testo una corente visione dei compiti del Senato. Colpisce ad esempio che il Senato viene definito la camera che si occupa dei rapporti con l’Europa e già questo dà l’impressione di una scarsa valutazione dei rapporti europei, pur così importanti per l’Italia, e contemporaneamente viene previsto che la Camera dei deputati può riprendersi la primazia in materia di attuazione degli obblighi europei. In sostanza ad ogni compito attribuito al Senato viene affiancato un meccanismo di surroga ogni volta che il Governo lo ritenga necessario, visto che ha il rapporto di fiducia solo con la Camera. Elezione dei suoi componenti e certezza delle materie di competenza dovrebbero essere 2 criteri ispiratori forti delle modifiche costituzionali.
Si fa un gran parlare, di questi tempi, di modello tedesco, spesso a sproposito, si tratti di legge elettorale, di unioni civili o di jobs act. Si dimentica che in Germania i 2 rami del parlamento stanno in equilibrio tra loro e non si può prendere un aspetto dimenticando il resto. Prendere fior da fiore è il modo peggiore di fare tesoro di esperienze altrui, al punto che se la deriva presidenzialista dovesse continuare, non solo sottotraccia come è stato finora, sarebbe preferibile discuterne apertamente per individuarne anche i contrappesi. Ricordo che Obama aveva proposto la scala mobile per il salario minimo, il Senato, a maggioranza democratica gli ha detto no (a torto) e ha potuto farlo perché il suo mandato non dipende dal Presidente e questa divisione dei ruoli è il contrappeso al presidenzialismo americano. La scelta presidenzialista va evitata, anche nella versione mutuata dall’attuale elezione dei Sindaci (suggestione presente nel libretto di Renzi) perché l’elezione diretta dei sindaci ha almeno un quadro istituzionale nazionale che lo tempera. Chi propone una scelta sostanzialmente presidenzialista dovrebbe avere il coraggio di esplicitare la proposta ma dovrebbe anche indicare un assetto istituzionale complessivo ed equilibrato.
Tra le modifiche costituzionali viene introdotta anche la corsia privilegiata e in tempi certi per i provvedimenti del governo. E’ vero che il combinato disposto dei decreti legge e dei voti di fiducia ha già modificato profondamente il rapporto tra Governo e parlamento, salvo rimproverare al parlamento di nominati di avere poca autonomia perchè non riesce a produrre leggi di iniziativa parlamentare, lasciando intendere che può svolgere solo un ruolo di ratifica dei provvedimenti del Governo. Tuttavia il rimedio non cura la malattia ma l’aggrava.
Con la proposta aggiuntiva di tempi certi per l’approvazione dei provvedimenti del governo, sostanzialmente a scatola chiusa, senza emendamenti, il Governo accentra ulteriormente su di sé le decisioni.
Qualche buontempone afferma che con queste modifiche della Costituzione si rafforzano il governo e il parlamento. A parte la contraddizione in termini perchè se uno si rafforza l’altro non può che perdere ruolo, è del tutto evidente che i poteri si accentrano nel governo e in particolare nelle mani del presidente del Consiglio che diventerebbe il vero dominus istituzionale. La spinta verso altre modifiche costituzionali, verso forme più o meno mascherate di presidenzialismo sarebbe solo questione di tempo.
E’ curioso che debba essere proprio il Senato oggi a modificare leggi importanti come quella elettorale, approvata dalla Camera, o la sede in cui si è deciso il testo del Jobs act, senza che questo porti a rilevare contraddizioni con le modifiche costituzionali che vengono proposte. E’ la conferma che in realtà forme di bicameralismo non sono solo un orpello, ma appartengono alle garanzie di un percorso legislativo adeguato e che per superarle occorre offrire un quadro convincente e adeguato di garanzie sostitutive.
Questa giornata di discussione su modifiche costituzionali e legge elettorale nasce dalla volontà di non rassegnarsi, ma i convegni non bastano più. La sfida è qui ed ora. Il consenso elettorale non giustifica tutte le scelte, né quando le propone Berlusconi, né quando le propone Renzi. La volontà politica con cui ci misuriamo deve avere già oggi interlocutori credibili e forti senza rinviare tutto alla sede del referendum confermativo. Per questo la proposta che avanziamo a quanti hanno a cuore il futuro della nostra democrazia, di cui la Costituzione è un presidio fondamentale e di cui la legge elettorale dovrebbe essere degno coronamento, di dare vita ad una sede di confronto di tutti i soggetti che vogliono potersi esprimere su scelte che decideranno del futuro dell’Italia e del suo ruolo in Europa. Per questo la proposta che avanziamo è di chiedere all’Anpi nazionale di dare vita ad un osservatorio permanente sulle modifiche costituzionali e sulla legge elettorale nel quale raccogliere tutte le soggettività che vogliono esprimere un loro punto di vista sulle proposte del Governo e sulle decisioni del parlamento.
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