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Che fortuna possedere una grande intelligenza non ti mancano mai le sciocchezze da dire.

Anton Cechov
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Contributo di Alfiero Grandi alla giornata di sutdio su Enrico Berlinguer (12/2/2014)
.:: Alfiero Grandi Pubblicato in data:  10/02/2014  14:45:16, in Politica, letto 1267 volte

Serietà della politica: Enrico Berlinguer e i lavoratori.

Un esame completo dell’argomento richiederebbe uno studio approfondito che in questa sede non posso svolgere.
Mi limiterò ad alcuni spunti che mi sembrano interessanti.
Anzitutto la presenza di Berlinguer ai cancelli della Fiat nel 1980. Berlinguer sapeva bene che quella presenza avrebbe destato scalpore e polemiche. Eppure decise di andare davanti ai cancelli della Fiat e di schierarsi a fianco dei lavoratori in una fase difficile della loro lotta, che come sappiamo finì con una sconfitta.
Nella scelta di Berlinguer prevalse la convinzione che il Pci doveva stare a fianco della classe operaia e più in generale dei lavoratori. Del resto da questo veniva buona parte della forza del Pci e la considerazione di cui godeva anche da parte degli avversari. Altri, infatti, potevano non condividere le scelte compiute dal Pci, e in effetti anche in questo caso ci furono dissensi robusti, ma sempre con un grande rispetto per la serietà delle scelte.
Era chiaro a tutti che il Pci era un partito in grado di parlare e di farsi ascoltare dai lavoratori, anche da quelli che non lo votavano ma lo rispettavano. Il Pci era in grado di rappresentarne le istanze, con un prestigio tale da riuscire ad evitare spesso debordamenti delle forme di lotta.
Al centro delle polemiche ci furono le affermazioni di Berlinguer, fatte il 26 settembre di fronte ai cancelli della Fiat, che senza mezzi termini dicevano che il Pci sarebbe stato a fianco dei lavoratori anche se avessero deciso di occupare la Fiat per ricondurla ad un piano di trattative e al rispetto delle istanze dei lavoratori.
Una dichiarazione di sostegno alle lotte clamorosa e forte.
La questione in gioco non era quindi, per Berlinguer, la “convenienza” della posizione, né tanto meno il timore di perdere la battaglia, ma la convinzione che le lotte dei lavoratori della Fiat erano fondate, che una loro sconfitta riguardava anche il partito, che quindi non si sarebbe girato dall’altra parte. I lavoratori dovevano sapere che il Pci era al loro fianco, mettendo nel conto anche la sconfitta.
C’è uno storicismo deteriore, con un curioso ascendente staliniano, che ritiene le sconfitte lotte sbagliate di per sé e quindi da non incoraggiare. Naturalmente le scelte non vanno fatte a cuor leggero e le decisioni debbono essere prese guardando a tutte le implicazioni, quindi soppesate e meditate, ma non ci si può schierare solo a fianco di lotte certamente vittoriose. Ci sono battaglie che vanno condotte anche senza la certezza della vittoria.
A volte, come nel caso della lotta alla Fiat del 1980, lo schieramento a fianco dei lavoratori può e deve esserci anche quando l’esito è incerto, perfino se ci sono sottovalutazioni ed errori.
L’impegno va preso per ragioni di principio, come il valore della posta in gioco, e per ragioni di empatia con il corpo sociale fondamentale di riferimento: i lavoratori.
La classe operaia e i lavoratori non possono essere lasciati soli al loro destino e quindi il Pci poteva e doveva schierarsi al loro fianco nei momenti significativi, senza ritrosie fondate su convenienze tattiche, e questo Berlinguer garantì con la sua presenza personale ai cancelli della Fiat.
Non era affatto scontato che il segretario generale del Pci andasse davanti ai cancelli della Fiat e facesse quelle affermazioni. Berlingiuer capì che erano necessarie per fare sentire a quei lavoratori che il Pci era al loro fianco, nella buona e nella cattiva sorte. Questo veniva emblematicamente confermato dalla presenza fisica di Berlinguer davanti ai cancelli, perché va ricordato che la Fiat non permetteva ai partiti di entrare nel luogo di lavoro.
L’altro episodio che voglio ricordare è il periodo del taglio dei punti alla scala mobile. Forse oggi andrebbe ricordato maggiormente che ci fu un tempo in cui i salari dei lavoratori erano protetti dall’aumento dei prezzi dalla scala mobile. Non per ragioni di nostalgia quanto perché oggi i lavoratori italiani sono sostanzialmente privi di ogni tutela dall’aumento dei prezzi, mentre il Presidente Obama ha parlato di revisione automatica del salario minimo negli Usa per difendere il potere di acquisto.
Il Governo Craxi, accedendo all’idea che tagliare punti di scala mobile avrebbe contribuito a contenere l’inflazione, decise di attuare la decurtazione con un atto d’imperio. Dopo una trattativa il Governo raggiunse un accordo con Cisl e Uil e ottenne il beneplacito della componente socialista della Cgil, che però non firmò nulla.
La Cgil, o almeno la sua maggioranza, invece non accettò il taglio dei punti di scala mobile. A quel punto Craxi si sentì autorizzato a procedere per decreto al taglio dei punti di scala mobile.
Questa decisione del Governo scatenò reazioni formidabili e si formarono comitati nei luoghi di lavoro, spesso con una partecipazione molto più ampia della Cgil, che chiedevano a gran voce la revisione della decisione e il ritiro del decreto legge. In quella fase ci fu la più grande manifestazione nazionale dei lavoratori, che non erano disponibili a lasciare perdere.
Qualche storico dovrebbe ricostruire attentamente questo periodo, compresa la riunione dei direttivi unitari che discusse i risultati dell’accordo separato sul taglio dei punti di scala mobile, nella quale fu evidente che la partita non poteva essere chiusa come in passato.
Ci furono anche tentativi di ridurre la portata dell’atto del Governo perché ci si rese conto che la reazione dei lavoratori era molto forte e che le tradizionali rappresentanze sindacali che avevano garantito in passato le soluzioni raggiunte non erano più in grado di farlo.
Grazie alla reazione di massa dei lavoratori questi tentativi ebbero uno spazio di manovra che altrimenti non avrebbero avuto, pur senza costituire motivo sufficiente per fermare la reazione dei lavoratori.
Più tardi c’è chi ha sostenuto che l’accordo era condiviso da tutti. Resta il fatto che la parte maggioritaria della Cgil, allora rappresentata prevalentemente dalla componente che faceva riferimento al Pci, e una parte maggioritaria dei lavoratori non condividevano la scelta di accettare il taglio dei punti di scala mobile, avesse o no avuto un incauto consenso.
Posso dire con certezza che se non ci fosse stato il ruolo personale di Berlinguer difficilmente il gruppo dirigente e la stessa Cgil sarebbero usciti indenni, o quasi, da quella difficile prova.
Infatti Berlinguer decise di intervenire direttamente prima appoggiando la reazione dei lavoratori poi portando il Pci a sostenere il referendum abrogativo della legge che tagliava la scala mobile. La sua morte improvvisa nel 1984 probabilmente tolse forza alla campagna elettorale per il referendum del 1985. Come sappiamo l’esito del referendum fu negativo perché il voto di tutti gli elettori mise in minoranza la maggioranza dei lavoratori. La sconfitta fu senza dubbio bruciante. So che ci sono ripensamenti sulla validità di quella scelta, personalmente non sono di questa opinione e ritengo che quel tentativo andava fatto.
Berlinguer aveva deciso che quella battaglia andava combattuta e che i rischi - chiari fin dall’inizio - andavano corsi e che il Pci doveva schierarsi dalla parte dei lavoratori, assolvendo in una certa misura ad un ruolo diretto che la Cgil in quanto tale non poteva svolgere, se non a rischio di una scissione, esito che la stragrande maggioranza del gruppo dirigente dell’organizzazione e il Pci volevano scongiurare, seppure non al prezzo di precipitare nell’incapacità di dirigere la protesta dei lavoratori contro scelte considerate ingiuste.
Ancora una volta il problema era ascoltare l’insoddisfazione dei lavoratori, vera e profonda, una reazione di massa ad una scelta vissuta come profondamente ingiusta. Stare al loro fianco. A fianco della rete di comitati di luoghi di lavoro sorti in tutto il paese.
Ancora una volta il problema era combattere anche le battaglie di esito incerto ma ritenute giuste, con l’evidente rischio di perderle. La concezione che le battaglie si combattono solo quando si è sicuri di vincerle è aberrante. Le battaglie si combattono perché sono in gioco valori e principi ritenuti essenziali e quando questi sono in gioco si va fino in fondo, certo cercando di non perdere mai di vista tutti i complessi aspetti della situazione, anche adottando tattiche opportune, ad esempio per evitare di aggiungere rottura a rottura.
Le tensioni furono formidabili. C’è chi ha sostenuto che il Pci reagiva solo perché doveva difendere il suo ruolo. Il problema naturalmente c’era, ma non era quello essenziale. La scelta di Berlinguer fu ancora una volta legata all’esigenza di mantenere un rapporto stretto con i lavoratori, di stare al loro fianco, di confermare il ruolo del Pci come partito di riferimento essenziale, perfino per quelli che non lo votavano.
Del resto il Pci usciva dal periodo della solidarietà nazionale e il rapporto con i lavoratori era stato messo a dura prova dalla frattura tra le dichiarazioni del Governo e i fatti. Tanto più questo rapporto doveva essere rinsaldato in un momento difficile come quello dei tagli alla scala mobile.
Anche per questo è evidente che Enrico Berlinguer resta nell’immaginario dei lavoratori, non solo di quelli dell’epoca, come una figura affidabile e amica. Seppe dare battaglia al loro fianco e quando accadde perfino di perdere insieme a loro.
Chi ha parlato di Berlinguer come di una figura tragica, di uno sconfitto, cambia le carte in tavola e finisce con il giustificare uno dei tanti aspetti della frattura che esiste oggi, a livelli mai visti, tra lavoratori e sinistra politica.
Alfiero Grandi

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