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L'Unità domenica 10 giugno
Difficile non essere d’accordo con il Governatore Visco che tassi più elevati di occupazione anche femminili sono decisivi per mantenere ed accrescere il tenore di vita acquisito dal nostro paese, anche se ora piuttosto malmesso visto che il reddito è tornato indietro di 20 anni.
Il corollario che ne deriva è che la crescita dell’occupazione dovrebbe essere, proprio per le ragioni esposte, la priorità delle priorità. Mentre oggi è una derivata di altre scelte, a partire dal risanamento delle finanze pubbliche che domina su tutte le altre. C’è chi pensa che dal risanamento deriveranno automaticamente ripresa economica e sviluppo. Purtroppo per queste convinzioni - spesso un’autentica ideologia - l’esperienza concreta ci dice che non è così e che per la crescita dell’occupazione e della sua qualità occorrono politiche mirate.
La crisi sta pesantemente colpendo l’economia italiana e in particolare l’occupazione. L’Italia ha una disoccupazione ufficiale che ha superato il 10% ma in realtà è maggiore visto che la cassa integrazione è a livelli record e con gli altri ammortizzatori sociali contribuisce a rallentarne la crescita nominale, come è stato chiarito da uno studio della Banca d’Italia, che ha calcolato la reale disoccupazione del nostro paese.
La discussione sulla quantità e qualità del lavoro non può essere astratta dalla realtà. In questa fase e per un periodo di anni a venire l’occupazione in Italia è destinata ad essere in sofferenza. Anche la ripresa, se e quando arriverà, ai ritmi che vengono preventivati oggi non sarà in grado di creare nuovi posti di lavoro, al massimo si può sperare nel mantenimento di quelli che ci sono. Anche se è tuttaltro che certo. Del resto basterà un piccolo aumento di produttività per compensare gli effetti di un incremento dello sviluppo, se e quando ci sarà. L’area più sofferente è quella giovanile e quella femminile sta perdendo posizioni guadagnate di recente per di più ancora insufficienti.
Le misure che hanno elevato drasticamente l’età di pensionamento con effetto immediato hanno creato non solo l’iniquità dei 300.000 esodati, che sono tuttora senza lavoro e senza pensione. L’area coinvolta dall’elevamento dell’età di pensionamento nei prossimi 5/6 anni è di alcuni milioni. Se l’occupazione diminuisce e chi è al lavoro deve restarci più a lungo è inevitabile che per i giovani diminuisca ulteriormente. Affermare che queste misure sono state adottate per fare spazio ai giovani non sta in piedi perché faranno crescere il numero dei giovani che non trovano lavoro. Ognuno ha diritto di pensare che nel lungo periodo queste misure daranno risultati positivi (personalmente non lo credo) ma è certo che fintantochè la crisi continuerà questa misura aggrava ulteriormente la disoccupazione giovanile già così pesante.
Comunque resta la questione principale: per ottenere risultati occupazionali, in particolare per giovani e donne occorre adottare politiche labour intensive. Non tutte le politiche di sviluppo danno gli stessi risultati occupazionali e anche all’interno la qualità dell’occupazione non è sempre la stessa. La precarietà è fonte di minore produttività. L’esperienza dei Governi di centro sinistra ha dimostrato che adottando misure sperimentate in altri paesi oppure adottandone di nuove si possono ottenere risultati importanti. A condizione che la chiave di lettura di tutte le misure di politica economica abbia al centro la quantità e la qualità del lavoro.
Un esempio: il “piccolo” settore delle energie rinnovabili, che ha più occupati della Fiat, è oggi martoriato dalle incertezze del Governo che potrebbe adottare misure che potrebbero metterlo a tappeto. Questo è coerente con politiche di sviluppo e di occupazione di qualità ? Non dimentichiamo che l’età media degli occupati nel settore è bassa e la qualità professionale alta.
Colpisce che quando è evidente che politiche pubbliche sono determinanti per la qualità dello sviluppo e dell’occupazione non si discute delle scelte che l’Italia intende fare nell’attuale divisione internazionale del lavoro, certo nel quadro europeo. Si chiami politica industriale o programmi di sviluppo concordati con le parti sociali o altro ancora ha poca importanza.
La sostanza è che intervenire sui fattori non risolve il problema dello sviluppo e dell’occupazione, occorre costruire un quadro di proposte, darsi degli obiettivi capaci di coinvolgere le parti sociali.
Premesso questo si comprende meglio l’esigenza di guardare al complesso del lavoro necessario oggi, che per per una fase non breve non aumenterà più di tanto. Occorre guardare a un tutto che occorre il più possibile suddividere tra i lavoratori e gli aspiranti tali. In sostanza è la questione dell’orario di lavoro. Se si aumenta l’età di pensionamento, se si incentivano gli straordinari, se si aumenta l’orario di lavoro degli occupati il risultato è che il numero degli occupati diminuisce e cresce il numero dei senza lavoro, in cerca di qualunque soluzione, disponibili oggettivamente al sommerso. Sarebbe una banalità immaginare che tutto il lavoro sia divisibile, ma entro certi limiti si potrebbe realizzare una diffusione del lavoro che c’è su un numero maggiore di soggetti, ovviamente con il sostegno di una forte incentivazione, ottenendo un risultato di estensione dell’occupazione. La prima conseguenza sarebbe l’aumento della produttività. Fior di studi lo dimostrano e la Volkswagen è lì a confermare che avere scelto di affrontare la crisi riducendo l’orario ha consentito di cogliere al meglio la ripresa produttiva successiva.
Inutile fare paragoni con la Fiat, parlano i fatti.
Lavorare di più per alcuni vorrebbe dire condannare alla disoccupazione tanti altri. Questo schema va esattamente capovolto e i risultati potrebbero essere di grande interesse economico (produttività) e sociale (solidarietà). Naturalmente senza interrompere le iniziative per una ripresa economica ambientalmente sostenibile con al centro l’occupazione. Qualche soldo è necessario, sono pronto a dimostrare che è reperibile, basta attuare richieste europee che anche questo Governo ignora.
Alfiero Grandi
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