- Pubblicato da l'Altro quotidiano e da Paneacqua La polemica di Montezemolo e ora anche di Marcegaglia verso Tremonti e la politica economica del Governo è certamente una novità. Certo, seguendo una regola non scritta del nostro paese, questa polemica viene aperta per ragioni vere, fondanti ma anche senza un briciolo di autocritica. Infatti Confindustria e buona parte degli imprenditori italiani hanno la gravissima responsabilità di avere fatto un’apertura di credito degna di miglior causa a questo Governo. Ben altro trattamento, ad esempio, è stato riservato al Governo Prodi. Difficile dimenticare gli applausi scroscianti delle assemblee degli imprenditori a Berlusconi durante la fin troppo lunga luna di miele tra imprenditori e Governo. La luna di miele si è fondata su una strategia di attacco ai diritti dei lavoratori che il Governo ha offerto agli imprenditori su un piatto d’argento, fino a patrocinare direttamente la divisione sindacale. Ci si potrebbe limitare a dire che chi ha seminato vento ora raccoglie tempesta, ma non è così perché il guaio è ancora sulle nostre spalle, il paese è allo sbando, e nessuno è in grado di dire quando ci si potrà finalmente liberare di questa ipoteca politica negativa fondata sul bunga bunga. Quindi dobbiamo prestare attenzione a ogni movimento che possa indebolire e fare cadere questo Governo da barzelletta, che però non fa ridere perché fa guai seri, minaccia quel tanto di assetto istituzionale che ha retto il nostro paese in questi anni. Man mano che la crisi politica del Governo e della sua leadership procede, i miasmi proveniente dall’humus che l’ha sostenuto sono nefasti, ormai senza freni: dal tentativo di sdoganamento del fascismo, al ventilato mitragliamento dei barconi di clandestini, alla minaccia di uscire dall’Europa, fino al tentativo di mettere all’indice i libri di storia sgraditi. La giustizia non è l’unico assetto sotto tiro, ormai questo misto di stupidità e di arroganza sta raggiungendo livelli impensabili. Ora la festa è finita anche per gli imprenditori, per parafrasare Gianni Agnelli. Il problema è come liberarsi di questa mortifera ipoteca nei tempi più rapidi possibili. Per questo, malgrado tutto, non si può restare indifferenti di fronte alle novità che stanno maturando nel mondo delle imprese. Per questo è auspicabile che anche in campo sindacale qualcuno ripensi rapidamente ai prezzi pagati (in particolare dai lavoratori) per dare retta a Sacconi che prometteva di chiudere la Cgil in un angolo e di buttare la chiave, forse illudendosi su un tornaconto che come si vede non c’è stato, basta pensare alla Fiat, che ormai sta veleggiando verso gli Stati Uniti nel silenzio imbarazzante di quanti hanno creduto alle poche e ambigue parole di Marchionne, che sembra in realtà interessarsi solo di mettere sotto controllo la Chrisler. Non si tratta di mettere in piedi un’union sacrèe ma di avere chiaro che se il paese continua ad andare a fondo non ce ne sarà per nessuno e che le garanzie ognuno potrà averle solo dalla ripresa di un serio confronto per arrivare ad una altrettanto seria convergenza di obiettivi. Nel mondo delle imprese sembra essere ancora troppo rilevante la richiesta di ottenere fiducia incondizionata dal resto del paese. Francamente non sembra che le prove fornite fino ad ora dagli imprenditori italiani consentano di dare questa fiducia al buio. Un paio di esempi. Confindustria è stata in rigoroso silenzio di fronte alla cedolare secca sugli affitti, eppure aveva più volte tuonato contro i privilegi della rendita più o meno parassitaria. In questo caso il reddito che proviene dalla abitazioni date in affitto, che certo non è profitto d’impresa, viene trattato in modo privilegiato rispetto agli altri redditi compreso quello da lavoro, per di più maggiore è il reddito di chi dà appartamenti in affitto tanto maggiore sarà il guadagno, esattamente il contrario di quello che sarebbe necessario. I più ricchi godranno di sgravi fiscali e prima o poi si scoprirà che tutto questo ben di dio non farà emergere il nero, come dichiarato per giustificare il provvedimento, e quindi si creerà un buco nelle entrate. Per tappare anche questo buco di bilancio occorrerà prendere dal lavoro e forse perfino dai profitti, per favorire la rendita. Un caplavoro di iniquità e insieme di salasso delle finanze pubbliche. Perché Confindustria ha taciuto ? Il Ministro Tremonti sta costruendo pezzo dopo pezzo un’IRI personale attraverso la cassa Depositi e prestiti. Il furore ideologico mercatista impedisce forse di vedere che l’obiettivo di Tremonti non è in sé infondato, perché l’industria italiana ha bisogno non solo di sostegno ma di una guida politica ed economica, altrimenti fa errori come quello di spingere verso il nucleare quando il resto del mondo va verso le energie rinnovabili, tanto più dopo Fukushima. Quello che nella strategia di Tremonti non è fondato è la torsione verso il potere personale e il mezzo scelto, cioè la costruzione di uno strumento al di fuori di ogni controllo parlamentare e dello stesso Governo, tanto più dell’opinione pubblica e perfino facendo correre qualche rischio al risparmio postale degli italiani. Perché delle due l’una: o lo Stato garantisce in ultima istanza i risparmiatori (e prima o poi l’Europa conteggerebbe quei soldi nel bilancio pubblico) che la Cassa Depositi e prestiti utilizza, oppure lo Stato non garantisce e in questo caso i risparmiatori postali debbono incrociare le dita e sperare che gli investimenti siano ben fatti. Bene quindi che Confindustria si muova dagli applausi alla critica al Governo, era ora. Tuttavia è inevitabile chiedere che venga indicato con qualche chiarezza cosa è necessario fare per liberare il paese da questa mortifera zavorra, prima che sia troppo tardi. Almeno un’indicazione da parte di Confindustria sarebbe un’importante biglietto da visita. Si tratta dell’affossamento definitivo di ogni tentativo di spaccare i sindacati confederali e del ripristino di un costruttivo terreno di confronto nelle relazioni sindacali. Non fare più accordi separati dipende anzitutto da Confindustria oltre che dal Governo. Se Confindustria dicesse con chiarezza che l’epoca degli accordi separati senza la Cgil è finito per sempre, che si possono definire regole per dare ai lavoratori il diritto di decidere in ultima istanza sui loro contratti, questi sarebbero passi avanti significativi e il segnale che un’epoca è proprio finita. Sacconi e Brunetta masticherebbero amaro, ma chi se ne frega. Certo Confindustria dovrebbe ammettere che non si può solo chiedere ma si debbono anche offrire certezze, tanto più ai lavoratori. Alfiero Grandi
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