Pomigliano. La Fiat ha agito con spregiudicata durezza e ha messo sul tavolo un ricatto verso i sindacati e i lavoratori: o si accettano le condizioni della Fiat o lo stabilimento, e quindi l’occupazione, non ha futuro.Purtroppo il ricatto è scattato, i sindacati si sono divisi, il Governo si è schierato con la Fiat, ancora una volta si è arrivati ad un accordo separato. Nel pacchetto dell’Azienda c’è un drastico peggioramento delle condizioni di lavoro, una lesione del diritto di sciopero, fino ad investire quanto previsto dalla Costituzione, la malattia diventa fonte di sospetto assenteismo anche per chi è veramente malato .
Era possibile respingere almeno gli aspetti più inaccettabili del ricatto ? Quanto meno andava tentato. E’ vero che il Governo ha fatto di tutto per peggiorare le cose.
La Fiat voleva veramente ritirarsi dall’impegno di investire a Pomigliano ? Questo non è dimostrato. Marchionne aveva affermato che era pregiudiziale l’accordo di tutti i sindacati, poi si è accontentato di un accordo separato. Se la via polacca era così tranquilla perché Fiat si è presa questa rogna ?
In ogni caso ha ragione chi dice che così sono messe in discussione leggi di tutela dei lavoratori come lo Statuto e la stessa Costituzione, che non a caso il Governo ora propone di cambiare a partire dall’articolo 41, cercando di realizzare un suo antico obiettivo. In sostanza erano e sono in gioco questioni di principio, diritti indisponibili. La condizione di lavoro a Pomigliano, dopo l’accordo separato, peggiorerà drasticamente. I ritmi entreranno in una fase parossistica, addirittura regolati dal computer con calcoli al centesimo.
Se fosse vero che questo accordo diventerà la pietra miliare di una nuova fase economica e sociale avremmo un ritorno ad uno sfruttamento selvaggio, senza regole, che aumenterà drasticamente la forbice sociale in Italia: chi comanda e chi è comandato.
2) Governo. Il Governo fa scelte che non danno al sistema economico alcun supporto. Confindustria ed altri chiedono sempre più stancamente sgravi fiscali senza ottenere risposta. In realtà Confindustria e c. sembrano appagati da una serie di tagli pesantissimi alle Regioni (non è certo casuale la ribellione – finchè durerà – di Formigoni) agli Enti locali, al pubblico impiego e alla scuola.
In cambio dei mancati sostegni all’economia il Governo offre pieno sostegno alla linea di attacco ai diritti dei lavoratori e interpreta la globalizzazione come un prezzo da pagare tutto nel campo dei diritti dei lavoratori. Poco importa che Tremonti avesse detto esattamente il contrario sulla globalizzazione e le imprese fino a poco fa.
Il patto con le imprese è questo: poco sostegno economico in cambio di mano libera nelle relazioni sindacali e sui rapporti di lavoro.
Di qui le affermazioni di Sacconi e Tremonti a sostegno prima della Fiat e poi dell’accordo separato, dipinto come l’alfa e l’omega nelle future relazioni sindacali.
Di più, i Ministri hanno giocato un ruolo estremista volto a dividere il sindacato e ad isolare la fiom. In passato il Governo cercava di assumere un ruolo (più o meno) di mediazione nelle relazioni sindacali. Ora non più, il Governo guida la pattuglia degli estremisti.
Servirà allo scopo questa linea del Governo ? Non sembra proprio. I tagli sono certamente iniqui, distribuiti solo su alcuni senza chiedere nulla ai più ricchi, ma soprattutto non avranno gli effetti benefici tanto strombazzati. Si fanno paragoni tra i tagli italiani e quelli di altri paesi, dimenticando di dire in quanti anni sono distribuiti.
Questa manovra non dà nulla al sostegno dell’economia, dell’occupazione, delle aree sociali più deboli. Nessun progetto. Eppure tra non molto saremo da capo e il Governo dovrà rimettere fare una nuova manovra perché le entrate fiscali continuano a calare e non basterà, per rimediare, riesumare qualche misura del centro sinistra contro l’evasione, dopo averla abolita con furia iconoclasta. Dopo lo scudo per i capitali illegalmente esportati, ora l’attesa è per altri condoni, non certo per una politica seria di lealtà fiscale.
Quindi sul fronte delle entrate le prospettive non sono buone e non a caso in Europa qualcuno sta controllando le misure del Governo perché non è convinto dei risultati attesi. Per di più senza sostegno ai redditi più bassi e da lavoro la domanda interna non riprenderà e quindi l’economia italiana è destinata a peggiorare, o comunque a non crescere. Naturalmente la crisi non è uguale per tutti. Chi non è toccato dalla manovra non paga nulla. Altri ne sopporteranno tutto il peso.
Le aziende si sono convinte che debbono fare da sole e quindi se la prendono con i lavoratori. Più precarietà, ritmi più frenetici, più sfruttamento, parola antica ma attualissima, e salari bassi, molto bassi, tra i più bassi d’Europa.
Il mondo delle imprese ha serie responsabilità in questa situazione, del resto una parte ha responsabilità di primo piano nel sostenere questo pessimo e pericoloso Governo. Ancora in questi giorni il Presidente di Confcommercio ha fatto sostanzialmente uno spot per Berlusconi. Troppe aziende hanno deciso che a pagare il costo della ripresa debbono essere i lavoratori e in questo cammino pensano che non sono le leggi a stabilire le regole ma le aziende a deciderle, fino a cambiare le leggi esistenti e se occorre la Costituzione. In sostanza mettendo in discussione le regole sociali e sindacali. Per farlo occorre stabilire una gerarchia sociale precisa, con decisioni unilaterali, con una subalternità del lavoro. Pomigliano sta in questo quadro.
E’ l’unica via ? No. Come non è l’unica via una manovra che ancorchè iniqua è fatta solo di tagli. Il problema di fondo è che un’alternativa è possibile solo mettendo in discussione i presupposti, i fondamentali e offrendo un quadro diverso, una prospettiva diversa. Così si va alla restaurazione di antichi rapporti di forza, arretrando di decenni. Il patrimonio umano verrà annichilito, salvo che per una piccola fetta dominante.
Pomigliano e la politica regressiva del Governo sono legati. Anche un’alternativa politica, economica, sociale deve connettere i 2 aspetti. Una diversa politica economica non può che basarsi su una valorizzazione del lavoro, delle sue potenzialità, del suo apporto intelligente. Occorre un nuovo patto sociale tra impresa e lavoro fondato su una diversa prospettiva di politica economica e quindi su un altro Governo. In questo senso la questione politica è urgente.
Una diversa prospettiva è fatta anche di non lasciare più sullo sfondo la riflessione su una nuova qualità dello sviluppo. Da tempo sappiamo che non si può avere la continuità di questo modello di sviluppo. Così scoppia tutto. Il limite di Pomigliano e della questione Fiat in generale è che manca - per responsabilità anzitutto del Governo - una riflessione sul futuro del sistema produttivo, da orientare su una nuova qualità dei prodotti, dei consumi, su una nuova politica energetica. Tutta la discussione tra Governo e Fiat ha riguardato le rottamazioni, ma sempre delle auto, più o meno delle stesse auto. Ora il nostro paese dovrebbe interrogarsi sul futuro, sulla transizione verso un altro modello di sviluppo e in questo quadro ricomporre un rapporto diverso, dialettico ma leale tra sindacati, lavoratori e imprese e Governo. Affrontare Pomigliano (o Termini Imerese) come un passaggio verso un futuro diverso potrebbe consentire di rendere almeno transitori gli aspetti più duri della condizione di lavoro. Risposte diverse possono non dare risultati immediati ma almeno sarebbero la premessa di un futuro migliore.
Se tutto invece è ridotto a comando, bastone, allora in effetti ci sono leggi che danno fastidio e anche la Costituzione è un problema. Ma che paese sarebbe quello descritto da tante Pomigliano e da una politica di tagli alla cieca che si ripetono nel tempo senza risolvere il problema di fondo della qualità sociale ed economica del nostro paese ?
Alfiero Grandi