C’è grande differenza tra sentire raccontare e toccare con mano. Per quante informazioni e immaginazione si possano avere la realtà della Cina di oggi supera di gran lunga la fantasia. Il “continente” Cina è in piena ebollizione e tutto avviene con frenesia, con dimensioni a cui non siamo abituati e che evocano un (grande) vulcano in eruzione. Sono grato all’Associazione dei parlamentari amici della Cina e al suo Presidente di avere reso possibile ad un gruppo politicamente composito di deputati e senatori di visitare una parte di questo sterminato Paese e di percepire dal vivo un movimento di dimensioni e profondità incredibili. Sapevamo, prima di partire, dei formidabili ritmi di crescita della Cina, a livelli vicini al 10% all’anno. Al punto che il PIL dell’Italia è già stato superato e a breve lo sarà quello di altri paesi sviluppati. L’impressione è forte di fronte ad aeroporti nuovi di zecca, a migliaia di chilometri di autostrade in costruzione, alla vasta modernizzazione di infrastrutture, allo sconvolgimento delle città attraverso un ritmo incredibile di nuove costruzioni. Eppure c’è ancora tanto da fare e i programmi di nuovi investimenti sono impressionanti. A poco più di 20 anni dalla fine della regressione rappresentata dalla rivoluzione culturale questo sterminato Paese ha preso un ritmo di sviluppo e di cambiamento impressionanti. Altri Paesi più solidi ed avveduti dell’Italia hanno scommesso su questo grande mercato in evoluzione (anche se parlare di mercato è riduttivo) ed hanno investito. Il Giappone è uscito da una lunga stagnazione economica grazie alla domanda cinese di beni di investimento. Alcuni paesi non hanno solo delocalizzato attività produttive, approfittando dei costi molto più bassi, ma hanno fatto delle scelte d’investimento e oggi sono presenti con più o meno forza in un continente che cambia a grande velocità. L’Italia ha guardato prevalentemente alla Cina come sede di decentramento produttivo o di recente come pericoloso concorrente, ma non ha sviluppato un idea forte di partnership. Occorre avere presenti tutti gli aspetti delle relazioni possibili e c’è l’esigenza di lavorare insieme per uno sviluppo nel reciproco interesse e su questo il ritardo politico è clamoroso. In questi giorni in Italia c’è grande preoccupazione per la crisi Alitalia, compagnia europea che non va a Pechino, e non si percepisce che una grande compagnia aerea cinese sta costruendo alleanze in Europa proprio in questi giorni, che ci vedono esclusi. Si parla molto degli 80/100 milioni di cinesi che conoscono e ammirano l’Italia e hanno reddito sufficiente per visitarla ma si dimentica che per farlo, in larga misura, dovranno passare prima da altre capitali europee. Per non parlare dei visti per l’Italia concessi con il contagocce. O l’Italia vuole incentivare l’arrivo dei nuovi turisti cinesi per rianimare un settore in crisi e agisce di conseguenza, oppure rassegnamoci a vederli andare altrove.
Il Ministro Sirchia è stato in Cina per accordi di cooperazione in campo sanitario, ma ha dimenticato di spiegare l’accanimento di queste settimane contro la medicina tradizionale cinese che pure è oggetto degli accordi e il boicottaggio del suo Ministero contro la nuova legislazione in discussione alla Camera, che dovrebbe regolare altri sistemi di cura.
L’Italia ha un deficit strutturale nei grandi gruppi industriali ma potrebbe supplire in parte con il robusto sistema delle medie aziende, adeguatamente supportato da Regioni ed Enti Locali. Alcune lodevoli iniziative sono in corso e vanno rafforzate. Nei prossimi giorni sarà il turno dell’Emilia Romagna in Cina. Ma un paese che ha più di un miliardo e 300 milioni di abitanti ha enormi possibilità che utilizziamo solo in piccola parte. La Cina dello sviluppo presenta anche problemi enormi e contraddizioni il cui impatto è immediatamente mondiale. L’inquinamento, ad esempio, è a livelli preoccupanti. Pechino oggi ha un traffico automobilistico paragonabile alle città occidentali. Se lo sviluppo procede con questo ritmo le auto in circolazione creeranno un problema ambientale moltiplicato per n volte. Non si tratta solo di auto. In fondo la Cina copia il nostro modello di sviluppo, anche se non sempre quello più recente, e lo applica moltiplicato per molte volte. La pressione di uno sviluppo accelerato non a caso si fa sentire in tutti i campi, dalla devastazione dell’ambiente al consumo di risorse energetiche. L’influenza della Cina è già oggi mondiale. L’agricoltura da qualche anno non va bene ma l’impegno è far mangiare tutti (impegno ripetuto con ossessione) e quindi cosa accadrà sul mercato alimentare mondiale se la Cina non dovesse essere più autosufficiente?
La Cina oggi ci parla in modo immediato della globalizzazione. Difficoltà di vario tipo, anche politiche e democratiche, hanno portato tanti, compreso il movimento, a parlare di globalizzazione aggirando in qualche modo la Cina. Ma questa si sta rivelando una contraddizione in termini. Il ritmo e le caratteristiche dello sviluppo della Cina pongono enormi problemi e sono un aspetto decisivo della globalizzazione. Il diritto a migliorare le condizioni di vita di un quarto della popolazione mondiale è fuori discussione. Del resto questo modo convulso e contraddittorio di crescere e migliorare è la nostra immagine, appena un po’ deformata, e dietro la Cina premono altre realtà che le “guerre preventive” non potranno mai fermare. Quindi il futuro è già qui e ci parla di un pianeta con ambiente invivibile, di risorse naturali in esaurimento, di una spinta a migliorare la propria condizione che nessuno ha il diritto né la forza di arrestare ma che progredendo in modo esponenziale e ripetendo lo stesso modello di sviluppo rischia di aprire contraddizioni irrisolvibili e pericolose.
L’Italia che ha meno forza economica di altri paesi potrebbe però dedicarsi ad un approccio più globale, non solo economico, utile anche per l’Europa. In questo approccio debbono entrare tutti gli aspetti di una possibile partnership, da quelli culturali – che in questo caso sono fondamentali – a quelli ambientali, fino a quelli di un’economia di sistema e quindi alle scelte politiche.
Cultura, storia, made in Italy sono aspetti importanti di una possibile politica dell’Italia.
Le barriere sono ancora molte, ma tante sono in via di superamento e una rinnovata attenzione verso la Cina può aiutare le aree più sviluppate ad affrontare i problemi della globalizzazione in termini più complessi del dualismo mondiale tra ricchi e poveri, che pure resta fondamentale. Anche la sinistra ha ragioni per riflettere su quanto sta accadendo. Parlare di socialismo di mercato sembra francamente un azzardo. Il mercato c’è, senza dubbio. Il resto è una formula. Il modello economico attuale in Cina sta comportando lo smantellamento e la ricostruzione dello stato sociale. Per di più in una fase in cui i ricchi lo sono con uno standard occidentale e tendono ad esserlo sempre di più e i poveri stanno nel terzo mondo. Ciò che sta sparendo nelle protezioni sociali è chiaro. La costruzione di un altro sistema è più vaga, lacunosa, un po’ per prove ed errori e l’impressione è che le energie spese per far progredire una parte del paese non abbiano un corrispondente adeguato nel sostenere chi resta indietro. Forse ci si affida all’idea (peraltro liberista) che prima o poi qualcosa toccherà anche a chi è rimasto indietro. Gran parte di chi resta indietro è nelle campagne, dove restano 800 milioni di persone, ma anche nelle città non sempre si può parlare di povertà dignitosa per chi non beneficia de progressi attuali. L’attenzione alla Cina oggi è molto minore di altre fasi. Perfino l’impasto che la si sta costruendo tra mercato e strutture politiche, che avrebbe probabilmente sconvolto Marx, non è adeguatamente indagato.
La pressione dei differenziali di reddito sul mercato, la presenza della corruzione, il ritardo democratico pongono problemi istituzionali e politici enormi e di difficile soluzione.
In questo momento l’apertura obbligata della Cina al mondo rende forse possibile un reciproco ascolto che in passato, penso alla crisi di Tien An Men, non fu passibile. In definitiva, osservare e capire, essere presenti è necessario perché da quel continente in grande trasformazione dipende anche il nostro futuro e non più solo indirettamente
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