- Pubblicato da Sinistra Democratica News il 29/06/09
Come manovra per fronteggiare una crisi che sta portando ad un vero e proprio crollo del PIL dell’Italia (secondo Banca d’Italia almeno -5% nel 2009) non sembra essere granchè. Certo il centro sinistra (se si può ancora usare questa espressione) potrebbe guardare con soddisfazione ad una clamorosa retromarcia di Tremonti.
Il ministro dell’economia, infatti, per tenersi buona Confindustria reintroduce la detassazione degli utili reinvestiti nelle aziende che già il centro sinistra aveva introdotto in forme diverse e lo stesso Tremonti si era affrettato a cancellare appena tornato al Governo, con la consueta furia iconoclasta verso le misure altrui .
Salvo fare una retromarcia sulla sostanza. Il problema è che nel frattempo si è perso molto tempo.
Del resto Tremonti non ha, per così dire, la mano felice nei provvedimenti di sostegno all’economia se è vero che in piena crisi, avendo messo una disponibilità finanziaria insufficiente, si sono esauriti alcuni interventi, ad esempio per la ricerca, in un batter d’occhio.
Per quanto riguarda gli investimenti pubblici si ha l’impressione che lo sblocco non sblocchi praticamente nulla. Alle altisonanti dichiarazioni durate oltre un anno (dalla formazione di questo Governo) sulla enorme mole di miliardi che sarebbero stati impegnati negli investimenti infrastrutturali ha risposto qualche settimana fa l’ANCE (costruttori) affermando che tutti i finanziamenti realmente sbloccati non arrivano a 1 miliardo di euro e l’ANCI (Comuni) dicendo che i Comuni quest’anno investiranno di meno perché sono senza soldi e da soli rappresentano almeno il 40% degli investimenti possibili. Ora dovrebbero esserci fatti nuovi e il Governo si affanna a parlare di delibere CIPE, di procedure più snelle, ecc. ma la verità è che se i finanziamenti per gli investimenti dovessero diventare spesa effettiva peggiorerebbero i conti pubblici e quindi avverrebbe il contrario di quanto Tremonti afferma su questo versante.
Noi siamo per investire, è Tremonti che ha deciso di essere il discepolo più prediletto di Almunia ed è condizionato, oggi, dal desiderio di essere apprezzato più per il contenimento dei conti pubblici che per la qualità e la quantità della spesa. Del resto la politica economica del Governo è semplice: individuare un untore: le banche e il settore finanziario particolarmente inviso all’opinione pubblica per i disastri fatti; spendere il meno possibile per non dare nell’occhio (alla BCE, ad Almunia, ecc), aspettare che gli USA, la Germania, ecc riprendano a crescere e incollarsi dietro di loro come già tentato nel 2001 con esiti fallimentari. Una politica economica propriamente detta, cioè obiettivi da realizzare non si vedono. Semmai ogni tanto dare una risposta alla petulanza di Confindustria che ha scelto la linea di chiedere tutto e subito a sostegno delle imprese, salvo accontentarsi e dimostrare in modo ricorrente gratitudine a questo Governo.
Agnelli diceva che Confindustria non può non essere governativa, ma non parlava di (evidente) sostegno al Governo per ottenere contropartite, spesso corporative. E’ anche responsabilità dei gruppi dirigenti economici se la situazione economica e politica ristagna, gli investimenti sono crollati e per di più si è pensato bene di puntare all’accordo separato contro la CGIL proprio in una fase di gravissima crisi.
E’ in questo quadro che il Governo galleggia, tanto nessuno nelle classi dirigenti economiche e finanziarie gli chiede conto di nulla, anzi si continua sostanzialmente ad appoggiarlo stando agli applausi ricevuti da Berlusconi, grevi battute comprese.
Per quanto riguarda la parte sociale non ci sono grandi novità: un poco più di social (poor) card, tanto siamo a meno del 50% della spesa prevista, qualche incentivo per evitare più licenziamenti del necessario, sperando che la norma sia confezionata decentemente.
C’è una distanza siderale tra queste poche cose e la crisi drammatica che morde le carni della parte più debole del mondo del lavoro, o meglio che vorrebbe un lavoro. Perché senza gli “ammortizzatori” sociali già oggi la disoccupazione in Italia sarebbe molto più drammatica, destinata purtroppo a crescere e la ripresa è ancora lontana, spostata almeno di un anno. Si cade meno veloci, ma si cade ancora.
Per una ripresa dell’economia italiana occorrono almeno alcune condizioni: l’aumento dei redditi da lavoro e da pensione perché la loro caduta in questi anni è una delle ragioni della crisi e quindi è aperta la grande questione di redistribuire il reddito tra le classi sociali (se uno ha di più, l’altro…); destinare le poche risorse pubbliche alla riconversione dell’economia (altro che mercato) che emblematicamente si potrebbe rappresentare ad esempio come niente nucleare e tutto sulle energie da fonti rinnovabili; aumentare gli elementi di coesione come seppellire rapidamente l’accordo separato, migliorare il welfare per evitare l’abbandono alla disperazione di intere fasce della popolazione più debole.
Concludendo: Tremonti sta prendendo tempo e spera nella fortuna, per questo l’opposizione (ex centrosinistra) dovrebbe gettare tutte le sue energie, in modo unitario, per dare voce qui ed ora alla disperazione, all’emarginazione, all’esigenza di uscire dalla morsa della crisi, come stanno facendo altri paesi. Come sta tentando di fare con mille problemi Obama. Occorre un’iniziativa politica di tutti, in nome di tutti.
Se non ora quando?
Quando dopo averci regalato la crisi peggiore dal 1929 lorsignori (come diceva Fortebraccio) saranno tornati saldamente in sella?
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