L'analisi: Occorre una proposta di riforma dei mercati finanziari perchè la causa di questo dissesto mondiale è che la loro attività è svincolata dall'economia reale. Manca inoltre una corretta informazione, che favorisce le speculazioni di pochi potenti che poi scaricano l'insuccesso sulla collettività. Se non si agisce in questa direzione, non resta che attendere un nuovo dissesto.
Per molto tempo si è cercato di minimizzare la crisi finanziaria causata dai mutui subprime. Basta rileggersi oggi le dichiarazioni rilasciate negli ultimi 18 mesi da autorevoli esponenti (alcuni ormai ex autorevoli) del mondo finanziario, economico e delle Banche centrali per rendersi conto della diffusa sottovalutazione del problema. Eppure c'erano state delle avvisaglie, anche se non così rilevanti, quando la crisi finanziaria dei bond dell'Argentina prima e poi di alcune importanti aziende negli Stati Uniti e in altri paesi - Italia compresa - avevano messo in evidenza che crisi finanziarie di rilievo potevano avere riflessi sull'economia reale molto incisive.
Enron prima e Parmalat poi hanno pesato sulle economie degli Stati Uniti e dell'Italia per circa un punto di PIL e tutti sanno quanto sia prezioso di questi tempi un punto di PIL. La crisi finanziaria innescata dai mutui subprime ha effetti ben più disastrosi di questi pur importanti precedenti, ma i subprime non sono l'unico strumento finanziario che può entrare in crisi.
Poco più di un anno fa, quando la crisi si era già manifestata, i rappresentanti dei Governi e delle Banche centrali dei paesi più importanti del mondo si sono incontrati e non hanno deciso alcunchè. Si sono limitati a qualche blanda raccomandazione a comportarsi bene, di controlli nemmeno l'ombra perché l'ideologia dominante diceva che il mercato si autoregola.
Del resto anche più recentemente tutti hanno creduto o finto di credere alle affermazioni del Presidente americano, il quale ha sostenuto che nella crisi dei mutui subprime non c'era nulla di cui preoccuparsi, che tutto era sotto controllo. Peccato che i fatti ora dicano esattamente l'opposto.
In realtà con l'attuale crisi finanziaria vengono in luce diversi e fondamentali problemi.
Il primo è che si è diffusa fino a diventare una gigantesca bolla l'attività finanziaria che non ha ormai alcun rapporto con i contenuti dell'economia reale, intendendo non solo quelli strettamente produttivi ma anche i servizi, l'attività più propriamente intellettuale.
In altre parole almeno il 90% delle attività finanziarie mondiali non ha alcun rapporto con qualcosa di reale, produzione o servizio che sia.
Parafrasando Sraffa si potrebbe dire che si tratta di creazione di denaro attraverso il movimento di denaro, cioè con un'attività finanziaria che cresce su sé stessa senza limiti, senza controllo, senza alcun rapporto con la realtà.
Il secondo è che quando si imbocca questa strada poi occorre andare avanti, altrimenti i nodi vengono al pettine, e i rimedi finiscono con peggiorare la stessa malattia che vorrebbero curare perché consistono nel moltiplicare le attività in modo sempre più frenetico. Uno dei problemi, infatti, è che le autorità di controllo e vigilanza non hanno mai, a quanto risulta, il coraggio di interrompere la spirale prima che sia troppo tardi e quindi anche le immissioni di liquidità che stanno attuando le banche centrali - come sta accadendo in queste ore - in sé possono essere momentaneamente utili, ma solo a condizione di intervenire per mettere sotto controllo la situazione finanziaria, le sue origini, le sue attività. I meccanismi invece restano gli stessi e gli interventi diventano per forza di cose poco utili, alla lunga controproducenti e paradossalmente a favore di chi è responsabile di quei tracolli. In altre parole si tratta di fondi pubblici che finiscono per pubblicizzare le perdite prodotte da privati. Se questo servisse almeno per evitare il loro ripetersi futuro sarebbe accettabile, ma in realtà risulta utile solo ad aspettare che passi "la nottata".
Il terzo è che queste scelte finanziarie sono pervasive, non sono facilmente isolabili, non solo perché i prodotti finanziari sono fortemente intrecciati tra loro (si arriva a 7/8 matriosche finanziarie) in modo tale che nessuno sa più cosa veramente acquista. C'è da sudare freddo pensando alle cartolarizzazioni dei Comuni e delle Regioni. C'è una sorta di gara a chi inventa di più nuovi prodotti finanziari e quindi non c'è limite al rischio. Alcuni autorevoli esponenti del mondo economico si sforzano di dipingere la crisi attuale in modo edulcorato e probabilmente lo fanno per non diffondere ulteriore allarme, ma si guardano bene dall'indicare i rimedi che per forza di cose non possono che essere radicali, adeguati alla crisi, di natura strutturale.
Non è molto importante sapere se la crisi è come quella del 1929 o addirittura peggiore, mentre sarebbe decisivo conoscere con quali strumenti si suggerisce di affrontarla, non solo per attutirne gli effetti ma per evitare che si ripeta. In sostanza occorre una proposta di riforma dei mercati finanziari almeno dello stesso rilievo della riforma finanziaria che fu individuata nel 1944 a Bretton Woods con il contributo di Keynes.
Il quarto è che non c'è oggi solo una normale concorrenza tra soggetti finanziari ma si scatena la concorrenza più selvaggia per ottenere il giudizio migliore possibile e il guadagno più alto possibile. Nella situazione finanziaria attuale non ha alcuna importanza il rapporto con la realtà economica, ciò che conta sono i bilanci delle finanziarie in attivo e in crescita ad ogni costo per volumi e guadagni. In fondo è lo stesso meccanismo delle crisi Enron, Parmalat, ecc.
In questa visione la cosa importante è che il bilancio sia in crescente attivo perché la crescita virtuale dei processi finanziari deve trovare un corrispettivo aumento dei guadagni nei bilanci delle finanziarie, delle banche, ecc. e su questa base le retribuzioni degli amministratori e dei manager lievitano a dismisura proprio in rapporto alla crescita immotivata degli altri processi.
Il quinto è che l'incremento dei redditi dei top manager del mondo finanziario è la conferma anche per questo importante aspetto, cioè che non c'è più alcun rapporto con l'economia concreta. Fino al punto che mentre la realtà dell'economia e delle imprese va male, le retribuzioni di questo strato dirigente del settore finanziario crescono in modo esponenziale e del tutto slegato da ogni rapporto con la realtà di riferimento. Secondo alcuni studi la crescita dei redditi dei top manager del settore finanziario in Europa è stato di circa il 25%.
Ci sono poi altre considerazioni da fare. La crisi finanziaria oggi si manifesta in un quadro di speculazioni crescenti, anche queste del tutto immotivate. Pensiamo al petrolio. Il prezzo è andato sulle montagne russe in un arco di tempo brevissimo. Quando saliva la giustificazione degli speculatori era l'aumento della richiesta proveniente dalla Cina e dall'India. E ora che scende ? La Cina e l'India improvvisamente non consumano più petrolio? Ridicolo, la speculazione ha giocato un ruolo fondamentale. In realtà il rapporto delle attività finanziarie con la realtà dei processi economici e produttivi è quanto mai labile e l'assenza di un'opinione pubblica realmente informata, ad esempio dai Governi, e quindi in grado di fare chiarezza sulla situazione, lascia i mercati in preda alle speculazioni e ad andamenti del tutto irrazionali, ma non per questo meno erratici e speculativi. Le speculazioni provocano un'enorme accumulazione di risorse finanziarie a spese di altri. Risorse che si ripresentano puntualmente sul mercato in cerca di ulteriori guadagni.
Infatti sta crescendo di peso un'attività finanziaria legata ai cosiddetti fondi sovrani, cioè non contendibili perché di proprietà di uno Stato, in una forma o nell'altra. La crescita della speculazione ha alimentato enormemente questi fondi che oggi sono un attore importante del mondo finanziario perché sono in grado di muovere molti soldi. In un'economia di mercato e ancora di più nell'attuale quadro europeo ci si sarebbe aspettati un divieto di agire a questi fondi sovrani perché è del tutto evidente che alterano la concorrenza in quanto possono comprare ma non essere acquistati. Si sa la carne è debole ed ecco aprirsi un dibattito che in fondo dice: offrono soldi, ne abbiamo bisogno, usiamoli. Le regole del mercato ancora una volta vengono stracciate.
Anzi Tremonti ci ha riflettuto e ha pensato bene di proporre che anche l'Europa adotti un meccanismo di quel tipo trasformando la Bei in una sorta di fondo sovrano europeo che dovrebbe agire come i fondi sovrani degli stati esteri: dietro l'Europa, davanti il mercato. Pensandoci bene è una proposta che assomiglia molto all'IRI. Per di più il Ministro dell'Economia e la Banca d'Italia stanno operando concretamente per consentire una maggiore integrazione tra banche e imprese. Dopo la crisi del 1929 era stato diviso il destino di questi due soggetti e separate le banche commerciali da quelle industriali. Ora le banche sono diventate generali e quindi questa distinzione non esiste più, se salta anche la quella tra banchieri e imprenditori si avrà un maggiore pericolo di crisi sistemica perché la crisi dell'uno si può riverberare sull'altro. Questa è la conferma che mentre dopo il 29 sono state immaginate misure di garanzia, oggi queste misure vengono superate senza riflettere, con faciloneria, riproponendo i meccanismi che esistevano prima della crisi degli anni ‘20 e questo proprio nel momento in cui si manifestano elementi di cedimento che semmai consiglierebbero di rafforzare i controlli e le regole .
Un aspetto conferma che dopo il mare di chiacchiere sul rispetto del mercato ora vediamo che negli Stati Uniti, il tempio del liberismo, si nazionalizzano senza tanti complimenti importanti attività finanziarie e assicurative in crisi, socializzando così le perdite causate da errori privatissimi, con la motivazione che occorre salvare l'economia. Certo che occorre salvare l'economia, ma senza lasciare che si possano ricreare le stesse condizioni. Sembra di capire che il ruolo pubblico così viene sdoganato e riconsiderato. Si può quindi perfino nazionalizzare, come stanno facendo gli USA, senza farsi condizionare da pruderie mercatiste.
Poi c'è la versione tutta italiana di questo modo di procedere che interessa ora Alitalia: perdite a carico del pubblico e guadagni privatissimi. Del resto settori dell'imprenditoria italiana ci stanno riflettendo seriamente, anche con l'intento di estendere tale modello agli altri settori di attività, potendo così garantirsi guadagni favolosi. Una specie di secondo tempo dopo la fase delle speculazioni (e dei favolosi guadagni) legate alle privatizzazioni di importanti servizi pubblici.
In conclusione si pone il problema di dare vita ad un sistema di garanzie necessarie per evitare che si ripropongano crisi che coinvolgono tutto il sistema economico. Ricordo che la Tobin tax è una limitata e ragionevole proposta per conoscere e regolare il mercato, oltre che per scoraggiare la speculazione finanziaria. Ci sono prodotti finanziari che semplicemente andrebbero vietati. Ci sono parametri finanziari che non dovrebbero mai essere superati. La Tobin tax è solo un pezzetto di un possibile nuovo sistema finanziario internazionale che dovrebbe avere insieme nuovi strumenti di funzionamento e controllo e nuove istituzioni. Il mercato da solo non si regola, con buona pace di chi l'ha sostenuto come il Governatore Draghi, le regole vanno imposte insieme ad un sistema di controlli e di istituzioni efficaci. Oggi queste regole ed istituzioni non ci sono ed è urgente arrivarci, altrimenti passata questa tempesta resterà solo da aspettare la prossima.
Nessun commento trovato.