A 25 anni dalla decisione popolare di rinunciare al nucleare, alcuni politici, scienziati e uomini di cultura di diversa estrazione auspicano il ritorno alla produzione di energia nucleare per uso civile. I loro obiettivi dichiarati sono: contrastare l’inquinamento atmosferico e l’effetto serra da gas carbonici prodotti dai combustibili fossili; superamento della dipendenza energetica dell’Italia da altri Paesi e relativi costi; conseguire “modernità e sviluppo”. Molti sono i dubbi, tutt’altro che ideologici, manifestati da più parti sulla idoneità della strategia nucleare per risolvere i problemi. Anche qualora il ricorso a tale energia permettesse l’avvicinamento agli obiettivi di Kyoto e dell’UE ( meno il 20% rispetto al 1990 di anidride carbonica entro il 2020), sarebbe difficile ignorare tutta una serie di conseguenze critiche per l’ambiente, la sicurezza e la salute delle popolazioni. Secondo logica, è il rapporto costi-benefici, non solo economici, che va considerato. Accanto ai fautori del ritorno al nucleare, non sono tuttavia mancati politici, scienziati e associazioni di vario genere che si sono espressi diversamente, ma che non hanno avuto spazi adeguati dai mass media e pertanto poco hanno inciso sull’opinione pubblica. Una delle Associazioni che si espressa favorevolmente e che ha avuto massima risonanza pubblica, è quella denominata “Galileo 2001”, la quale ha trasmesso al Presidente della Repubblica una lettera aperta prima delle ultime elezioni politiche. La lettera, firmata tra gli altri da Umberto Veronesi, Tullio Regge, Cinzia Caporale, Silvio Garattini, sostiene che lo sviluppo delle fonti rinnovabili di energia non sarà sufficiente a soddisfare il fabbisogno energetico italiano in continua crescita, per cui è inevitabile l’opzione nucleare. Sarebbero necessarie, secondo i firmatari della lettera aperta, 10 centrali nucleari di quarta generazione (quelle con produzione “minima” di scorie radioattive), con un costo di 35 miliardi di euro, le quali assicurerebbero il 30% del fabbisogno nazionale. Analoghe argomentazioni sono state portate da società direttamente interessate alla produzione nucleare, tra cui l’ENEL e l’EDISON. Questa ultima ha stimato che nel 2030, quando sarà possibile disporre di reattori di quarta generazione, il fabbisogno nazionale sarà di 545 Terawattora (1TWh = 1 miliardo di kilowattora). A quell’epoca, secondo l’EDISON, gli attuali impianti produrranno 225 TWh, le fonti rinnovabili (aumentate per 10 le attuali turbine a vento e per 1000 i pannelli solari) produrranno 54 TWh e il risparmio sarà di 100 TWh. Mancheranno pertanto ancora 166 TWh, che non potranno che essere forniti dal nucleare, “energia pulita perchè non produce anidride carbonica”. Fra i contrari al ritorno del nucleare, hanno preso pubblicamente posizione l’Associazione Medici per l’Ambiente con sede ad Arezzo (isde@ats.it); tra gli scienziati va ricordato un Comitato, coordinato da Vincenzo Balzani dell’Università di Bologna, che nel marzo scorso ha rivolto un appello ai docenti e ricercatori delle Università italiane. L’appello contestava l’opzione nucleare con le seguenti motivazioni: gli enormi impegni economici pubblici, l’insicurezza intrinseca nella filiera tecnologica, la difficoltà a reperire depositi sicuri per le scorie radioattive, la stretta connessione tra uso civile e militare, l’esposizione ad atti di terrorismo, l’aumento delle disuguaglianze tra paesi tecnologicamente avanzati e paesi poveri, la scarsità del combustibile nucleare. Il Comitato invitava i decisori politici a considerare le enormi spese, che sarebbe invece opportuno impegnare per la ricerca di nuove tecnologie e lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili, soprattutto quella solare: “il sole è una stazione di servizio inesauribile che in un anno invia alla Terra una quantità di energia pari a 10.000 volte il consumo mondiale”. Le stesse considerazioni sono state avanzate e sviluppate da altri. Innanzi tutto i tempi previsti per avere nuove centrali di quarta generazione (è auspicabile che nessuno pensi di ricorrere a tecnologie superate per ragioni di urgenza): la prima centrale sarebbe disponibile non prima del 2019, con un periodo complessivo di 20-25 anni per averne un numero tale da soddisfare almeno il 25% del fabbisogno energetico. In secondo luogo, i costi di costruzione dei reattori: l’ENEL ha stimato un impegno di spesa di 30 miliardi, l’Associazione “Galileo 2001” di 35 miliardi di euro. Il costo si aggirerebbe sui 2000 euro per watt installato; 5 centrali per un totale di 10.000 watt costerebbero 20 miliardi, 10 centrali 40 miliardi. Ma c’è chi ha calcolato un costo di 3200-3800/watt, per cui la spesa per 5-10 centrali sarebbe compresa tra 30 e 70 miliardi di euro. Tale spesa sarebbe ovviamente ammortizzata con costi a carico degli utenti dell’energia elettrica prodotta da nucleare, fin da primo kilowattora prodotto, per cui si avrebbe un’energia fuori mercato, soprattutto qualora scendesse il costo delle altre fonti energetiche, petrolio compreso. In terzo luogo, l’uranio necessario è una risorsa limitata: il suo esaurimento è previsto in 85 anni. In quarto luogo, non sono ancora stati trovati siti e sistemi di stoccaggio sicuro delle scorie radioattive, soprattutto tenendo conto del lungo tempo necessario per il loro esaurimento: l’isotopo Cesio 135 impiega 2,3 milioni di anni per dimezzare la propria radioattività. In quinto luogo, nessuno è in grado di garantire la sicurezza in occasione di incidenti agli impianti, come dimostrato dai recenti incidenti in Francia; In sesto luogo, il materiale fissile può essere destinato a usi bellici. Infine, è totalmente esclusa la partecipazione della comunità alla individuazione dei siti, alla valutazione e gestione dei rischi, all’attuazione del principio di precauzione. Infatti il DPCM 8.4.2008 (G.U n. 90 del 16.4.2008) ha assoggettato al segreto di stato la scelta dei luoghi e i relativi impianti. E’ quindi stata esclusa l’informazione e la comunicazione ai cittadini, contrariamente a quanto previsto dalla Carta di Aalborg (1994) e dal Regolamento (CE) n. 1367/2006 dell’UE, per l’applicazione della Convenzione di Arhus sull’accesso alla informazione e la partecipazione del pubblico in materia ambientale. Gli enormi investimenti pubblici che sarebbero necessari per il nucleare debbono essere impiegati per il maggior sviluppo possibile delle fonti rinnovabili e di nuove tecnologie: Il noto economista e filosofo Jeremy Rifkin crede nell’idrogeno per un futuro energetico. Ma non sarà trascurabile, oltre alla maggiore efficienza energetica delle strutture e apparecchiature utenti, una cultura ambientale che porti i cittadini a stili di vita con un significativo risparmio di energia. E’ necessario che queste argomentazioni siano portate alla conoscenza e alla discussione della comunità e della società nel suo complesso, richiamando la responsabilità di tutti nei riguardi dell’ambiente, della salute e della sicurezza collettiva.
Bologna, Antonio Faggioli (Libero docente in Igiene dell’Università di Bologna)
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