Segnalo l'articolo di Luca Bonaccorsi sulla di Tobin Tax, pubblicato da Left-Avvenimenti che contiene un quadro aggiornato della proposta e che ha il merito di riproporre l'argomento all'attenzione dell'opinione pubblica.
Il governo sta studiando una forma di tassazione delle transazioni valutarie. Una misura che punta a riaprire il dibattito sui movimenti di capitale
di Luca Bonaccorsi
Gettare la sabbia negli ingranaggi delle speculazioni» è la celebre espressione con cui James Tobin, Nobel per l’economia nel 1981, propose negli anni 70 di tassare i flussi di capitale nei mercati valutari. L’idea era relativamente semplice: applicando una piccola tassa alle transazioni finanziarie di “breve periodo” si sarebbe scoraggiata la speculazione. L’immagine del «granello di sabbia» rende bene l’idea di una misura volutamente “marginale” ma che aveva, secondo l’economista, il potenziale di alterare almeno parzialmente il meccanismo volatile e magmatico degli scambi valutati. Il contesto in cui fu ideata era quello degli anni 70, dell’abbandono del regime gold standard ovvero quello in cui le parità centrali delle valute erano ancorate a un contenuto aureo in maniera diretta. Il passaggio al dollar standard nel 1971, ovvero l’abbandono della convertibilità in oro del dollaro, segnò l’ingresso in un mondo nuovo di parità essenzialmente “fluttuanti”. Ai cambi fu permesso di fluttuare e generare gli aggiustamenti generati da squilibri macroeconomici come i deficit di bilancia commerciale. L’aggiustamento, con l’aumentare della liberalizzazione del mercato dei capitali, veniva quindi parzialmente delegato alle forze di mercato. Data la sensibilità dell’argomento (svalutazioni competitive e dumping sono stati la ragione di grandi tensioni internazionali) gli Stati e le banche centrali hanno sempre tentato negli anni comunque di pilotare i movimenti sui cambi con accordi multilaterali e impegni formali, Ma la liberalizzazione dei movimenti dei capitali e la crescita vorticosa degli scambi hanno reso la “difesa pubblica” delle parità sempre meno sostenibile. Oggi infatti i due mercati di cambi principali ovvero dollaro/euro e dollaro/yen, nonostante le dichiarazioni pubbliche dei governi, fluttuano liberamente. L’idea di Tobin rimase nel dimenticatoio fino al 1997 quando il movimento no global, ed in particolare Ignacio Ramonet dalle colonne di Le Monde Diplomatique, la rilanciò. E sulla scia di quella suggestione nacque Attac (l’Associazione per la tassazione delle transazioni finanziarie per l’aiuto dei cittadini). Lo sviluppo dei mercati finanziari e le loro immense ricchezze, nonché gli imbarazzi che la schiera degli operatori dei mercati generavano per governi e banche centrali, hanno sempre re so interessante l’idea nella sinistra mondiale. Dei tre fattori produttivi il capitale (specie quello finanziario) è il più mobile e imprendibile. Qualunque tentativo di “imbrigliarlo” in strutture fiscali ha finora causato solo la migrazione degli affari verso piazze più amichevoli e meno tassate. I prodotti derivati, swaps, futures, opzioni, obbligazioni che incorporano opzioni di vario tipo, sono solo alcuni degli strumenti che hanno per messo di aggirare i vari tentativi fatti dalle autorità fiscali. Il primo paese europeo ad adottare una versione di Tobin tax è stato il Belgio. L’ha inserita in una versione particolare, la Bernd-Spahn, che è poi la versione che è stata proposta in Italia, dal nome dell’economista tedesco che l’ha elaborata. Essa prevede due aliquote: una tassa molto bassa per tutte le transazioni “normali” - quelle che avvengono all’interno di una fascia di oscillazione definita - e una molto più alta che interviene automaticamente quando la parità esce dalla fascia di fluttuazione definita/desiderata. Il problema del gettito non era originariamente contemplato, tant’è che Tobin stesso pensava di versarlo genericamente al Fmi e alla Banca mondiale. La nuova spinta per la Tobin tax, quella alla Ramonet, invece poneva l’accento sulle potenzialità e la intendeva a “risarcimento” dei danni della globalizzazione. Una lettura che Tobin stesso rifiutò violentemente: «Io non ho assolutamente nulla in comune con questi ribelli anti globalizzazione. Chiaramente mi fa piacere (la considerazione per la sua proposta, ndr); ma l’apprezzamento maggiore sta venendo dalla “parte” sbagliata. Io sono un economista e, come la maggior parte degli economisti, sono a favore del libero mercato. Io sono a favore del Fmi, della Bm e del Wto. La tassa sulle transazioni valutarie era stata pensata solo per attutire le fluttuazioni dei movimenti valutari». Il potenziale di gettito fu presto chiarissimo. L’economista tedesco Bernd-Spahn, in un articolo del 1997, notava che le transazioni di valuta ammontavano alla sbalorditiva somma di 1,23 trilioni di dollari. Da allora sono aumentate esponenzialmente. L’implementazione della Tobin tax apre moltissime domande: quali transazioni tassare? Quali strumenti e in che misura? Chi raccoglie la tassa? E chi la incassa? Come utilizzare i fondi raccolti? Questo è il tipico provvedimento che nessun paese da solo può affrontare perché produrrebbe solo la migrazione degli scambi su altre piazze causando un danno economico non lieve all’industria bancaria e diventando, di fatto, inutile. In Italia si sta studiando infatti una versione simile a quella belga, ovvero una tassa pari a zero che cresce automaticamente nel momento in cui un numero minimo di paesi in Europa (sei nel disegno di legge) la inserisce nel proprio ordinamento. Una tassa “condizionale”, che entra in vigore solo dietro specifiche condizioni, ovvero che anche altri paesi lo facciano, Più che una vera e propria legge, una proposta per riaprire il dibattito 29 settembre 2006
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