pubblicato su Il Riformista.
Il problema che pone Emanuele Macaluso nel suo intervento è reale, perchè non si può continuare ad avere attenzione mediatica e politica sui temi del lavoro solo quando accadono tragedie come quella di Torino. La tragedia ci pone, immediatamente, delle domande, ma la prima e più angosciante è: come è stato possibile che quasi 16 milioni di lavoratori siano diventati pressoché invisibili? Le spiegazioni potrebbero essere molte, e tuttavia, due mi sembrano centrali e tra loro collegate. La prima è che un profilo culturale e sociale diffuso tende a collocare, nella fascia bassa della scala sociale, chi lavora e fa il suo dovere oltre che con fatica, con il corrispettivo di bassi salari e, a volte, con rischi per la salute e talora la vita, e a mettere in alto i furbi, gli affaristi, gli speculatori e i protagonisti di facili e rapidi guadagni. Il denaro, insomma, non importa come guadagnato, è posto in cima alla scala dei valori. La seconda spiegazione è la subalternità di fatto, a questa graduatoria, a cui è arrivata gran parte della sinistra, che, da un certo momento in poi è sembrata quasi vergognarsi del ruolo di rappresentanza del mondo di chi lavora, di chi vorrebbe lavorare o ha lavorato. Non nego che in fondo non va molto più in là chi pensa che la protesta sia sufficiente, affrontando in modo inadeguato e con approssimazione il problema di una condizione di lavoro e di vita concreta, insopportabile che va assolutamente modificata. Tutto questo ha radice in un sistema economico che ha fatto della precarizzazione diffusa, del decentramento produttivo in aree di bassi salari, la risposta alle inadeguatezze della competitività del sistema produttivo. Il profitto stesso da un certo punto in avanti vive una vita propria, quasi separata dai risultati aziendali, dall’andamento delle condizioni di lavoro, dagli investimenti, dalla ricerca e dall’innovazione. Ho letto che nel 2007 i profitti aumenteranno del 15 per cento, i salari, se va bene, del 3 per cento. Questo spiega perché la forbice tra i redditi, in Italia, sia cresciuta in modo impressionante, raggiungendo livelli che non hanno né fondamento, né giustificazione. La discussione sul tetto alle retribuzioni dei dirigenti pubblici ha il merito di aver rivelato come anche questo settore sia stato coinvolto dal clima generale del privato, che pure ha ben maggiori dimensioni. Macaluso ha ragione quando sottolinea che i sindacati, in sostanza, pur indeboliti, sono tuttora l’áncora per i lavoratori, perchè se il loro ruolo venisse a mancare, si affievolirebbero anche le speranze di modificare la situazione. Tuttavia, c’è un punto, nell’intervento di Macaluso, che non mi convince, ed è il dare per scontato che dalla politica verrà ben poco, o peggio, perché passata l’emozione la questione operaia si oscurerà ancora, in quanto non c’è alcun partito che abbia un riferimento forte nel mondo del lavoro. Forse l’analisi di Macaluso è solo più pessimistica della mia, eppure mi sembra che qualche elemento di novità e di attenzione verso il mondo del lavoro, nel corso della discussione sulla legge finanziaria 2008, sia al Senato che alla Camera, c’è stato, e al riguardo, vorrei sottolineare l’impegno a dare una risposta, anche sotto il profilo fiscale, ai lavoratori dipendenti. Un tema posto con forza dalla sinistra, che è da registrare come una novità importante. Per la prima volta, dopo molti anni, ha vinto la proposta di parlare esplicitamente di interventi di riduzione fiscale a favore del lavoro dipendente, superando quasi di slancio la genericità di un intervento sul fiscal drag. Il dibattito è stato forte, le perplessità da superare tante, il punto d’arrivo è stato un poco fortunoso, ma alla fine ci si è arrivati. Segno che non tutto è perduto. La norma, entrata in finanziaria, impegna l’extra gettito fiscale del prossimo anno, libero da altri vincoli, in un fondo da utilizzare per la riduzione delle tasse ai lavoratori dipendenti. Certo, ha il limite di essere una promessa, sulle entrate tributarie del 2008, ipotizzando che ci sarà un extra gettito, cosa per me è scontata, ma soprattutto, è basata sul presupposto che ci sia una stabilità politica, e tutti noi conosciamo i percoli che sovrastano la maggioranza di centro sinistra. Se si realizzerà sarà una svolta politica rilevante. Naturalmente, un intervento fiscale non risolve, da solo, né il problema degli aumenti salariali per via contrattuale, né la salvaguardia dall’inflazione, e tuttavia è pur sempre un aspetto importante del far crescere il reddito dei lavoratori. Purtroppo, ho la sensazione che risultati come questo non siano tenuti in debita considerazione, anche come indicazione politica di un cammino da percorrere, e in questo caso anche i sindacati non si sono spesi più di tanto. Credo che il difetto stia nel considerare ormai perduta la battaglia sotto il profilo più strettamente politico, ma ritengo sia un errore, perchè non solo ci sono spazi da cogliere, e che sarebbe sbagliato sottovalutare, ma se fosse vero che restano solo i sindacati a occuparsi dei lavoratori, il futuro sarebbe, probabilmente, di subalternità e di minorità, con il rischio di diventare una categoria sociale come le altre, solo un po’ più grossa. Vale la pena di riprendere il filo di un discorso politico in materia di lavoro, anche con scelte emblematiche. Ad esempio, in materia di incidenti sul lavoro occorrono fatti: sia sotto il profilo dei controlli sia dell’applicazione delle leggi, con la necessaria durezza e anche con la revisione di norme che hanno portato i superstiti a ricevere rendite basse e non rivalutate nel tempo, e le famiglie dei morti a ricevere sostegni indegni di un paese moderno e civile. Tutto questo mentre ogni anno l’INAIL ha un surplus di 2 miliardi di euro. Segnali come questi potrebbero portare i lavoratori fuori dalla zona d’ombra in cui sono relegati.
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