Intervento su l'Unità del 4 settembre 2007
La risoluzione dell’Unione, approvata alla Camera alla fine di luglio, impegna il governo a «una ricognizione di tutti gli strumenti utili a una riduzione del debito pubblico con forme concordate di utilizzo delle riserve delle banche centrali, eccedenti quanto richiesto dal concerto con la Bce per la difesa dell’euro, anche sulla base delle esperienze di altri paesi». Quante reazioni conservatrici ci sono state. E auspicabile che, al di là delle fonti ufficiose riportate dalla stampa come provenienti dalla Banca d’Italia, chi ha titolo per parlare affronti il problema senza atteggiamenti difensivi, peraltro non necessari in quanto non esiste un attacco all’autonomia della Banca d’Italia. Procediamo con ordine.
La risoluzione della Camera, approvando il Dpef, indica nel risanamento della finanza pubblica uno degli assi fondamentali, quasi una precondizione, delle politiche della maggioranza, e impegna il governo a procedere in questa direzione. E solo nel quadro di questo impegno, confermato da oltre un anno di politica finanziaria del governo, che la risoluzione pone, con la necessaria prudenza, il problema delle riserve della Banca d’Italia che, oggi, sono certamente maggiori degli obblighi derivanti da un’eventuale difesa dell’euro sui mercati monetari. Qualunque sia la conclusione a cui arriverà la discussione appena aperta dalla Camera, occorre anzitutto riconoscere che l’euro e la sua forza consentono di evitare la sindrome dello scoiattolo - che accumula ol
tre il bisogno - perchè ormai è il sistema euro che deve garantire la moneta e ogni paese è chiamato a farlo in proporzioni molto minori di prima. In altre parole è un divi- derido della presenza dell’Italia nell’area dell’euro. Inoltre, è certo che le attuali riserve sono superiori alle esigenze imposte.
La risoluzione della Camera non ha toni ultimativi, e impegna il governo a fare tutte le verifiche preventive, comprese quelle che riguardano l’autonomia della stessa Banca d’Italia, e a procedere con le cautele del caso. Quindi, è solo un avvio di discussione. Meglio procedere con calma e serenità, evitando anatemi, visto che, nel bicentenario di Garibaldi, perfino dell’eroe dei due mondi c’è qualcuno che oggi parla male. Da tempo è squadernato, quanto irrisolto, il problema più serio per l’autonomia della Banca d’Italia, e cioè la sua proprietà formale. Le banche che ne detengono il pacchetto azionario, quindi in teoria la proprietà, sono impegnate nei fatti a non fare valere i loro diritti, e tuttavia questa è una mera convenzione. Nè si può dimenticare che il valore delle azioni della Banca d’Italia sono iscritte a bilancio delle banche, sia pure per importi molto diversi.
Tra le banche «proprietarie» ci sono, da tempo, azionisti importanti non italiani, i cui pacchetti sono contendibili e anche le banche italiane più importanti procedono verso ulteriori fusioni che concentrano i titoli di proprietà e ne determinano una crescente internazionalizzazione.
Perché non cogliere l’occasione di questa discussione per risolvere definitivamente anche l’assetto proprietario della Banca d’Italia? Nella fretta di iscriversi al fronte conservatore si è arrivati ad affermare che la Banca d’Italia non apparterrebbe allo Stato che pure, fino a prova contraria, rappresenta tutta la comunità nazionale. Mentre la soluzione dell’assetto proprietario dovrebbe stare a cuore sia alla Banca d’Italia sia alla Bce, e va certamente nella direzione del consolidamento dell’autonomia, anche se richiede certamente atti del governo e del Parlamento italiano.
Le riserve, in oro e valuta della Banca d’Italia, non oggetto di vincoli europei sono o non un patrimonio dell’Italia? C’è materia di discussione? Sembra proprio che ci sia perchè le riserve sono maggiori di quanto è considerato indisponibile. Ho letto che fonti informate sostengono che l’area di discussione ti guarderebbe 1,2 punti di Pii per il maggior valore reale delle riserve auree. Non è tanto, ma nemmeno poco, e in ogni caso forse è preferibile che i «numeri» li dia chi è in grado di farlo con cognizione di causa. C’è chi pensa che per obbligare gli italiani ad accettare la parte amara del risanamento, cioè ad accettare tagli, occorra agitare lo spauracchio del debito enorme.
E una teoria degna della pedagogia dell’800, per fortuna mandata in soffitta insieme al corollario delle pene corporali, in questa fase occorre dare al paese un messaggio di serietà, di cui fanno parte anche alcuni sacrifici, ma non solo e non prevalentemente, perchè occorre che
l’Italia riprenda fiducia nelle sue possibilità e ritrovi coesione. Il risanamento è avviato e gli impegni sono contenuti nel Dpef: nel 2011 sotto il 100% del debito. Quindi, non si tratta di sostituire l’impegno a risanare con l’uso di parte delle riserve della Banca d’Italia. Il problema è invece valutare se ci sono risorse che potrebbero essere disponibili per obiettivi condivisi dalla Banca d’Italia e quindi dalla Bce.
Parlare di oro alla Patria, come qualcuno ha fatto, è semplicemente di cattivo gusto e storicamente improprio visto che nel caso in questione si trattava di sostenere la guerra. In Francia e in Austria, ad esempio, hanno scelto di destinare le risorse utilizzabili per la ricerca. E un obiettivo nobile. Può essere un esempio anche per l’Italia, che peraltro ne avrebbe tanto bisogno? Oppure il lì- ne può essere la riduzione del debito, rigorosamente in aggiunta a quanto già previsto? Altro ancora? Discutiamone senza pregiudizi. Nessuno minaccia l’autonomia della Banca d’Italia. Anzi questa occasione potrebbe essere colta per stabilizzarla, rendendola autonoma anche sotto il profilo proprietario. Se da questa discussione, aperta con grande prudenza dalla risoluzione della Camera dei deputati, verrà il contributo a una ulteriore spinta al risanamento, alla qualità dello sviluppo e alla consapevolezza dell’interesse comune della nostra nazione, avremmo ottenuto un esito «repubblicano», si potrebbe dire parafrasando Pittit, che è il contrario della chiusura difensiva nel proprio particolare.
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