L’intervento pubblico è ritornato di prepotenza sulla scena politica ed economica nel tentativo di arginare la crisi finanziaria generata dai subprime negli USA ma oggi diventata una vera valanga per l’economia del mondo . Questo pone tra l’altro il problema di quale sia il ruolo dell’intervento pubblico immaginato oggi dalla sinistra. I limiti dell’intervento dello stato nazionale sono diventati l’alibi per non avere né il ruolo di questo, né il ruolo delle sedi sovranazionali e internazionali di cui non a caso si parla solo oggi costretti dall’emergenza. Infatti in questi anni è cresciuta la convinzione che tutto dovesse risolversi con la capacità del mercato di autoregolarsi (forse anche al Governatore Draghi fischieranno le orecchie) spingendo gli Stati nazionali allo smantellamento dei loro strumenti di intervento ma anche evitando di creare quelli che avrebbero dovuto prenderne il posto a livello sovranazionale. Basta ricordare la tesi che nei mercati finanziari la trasparenza sarebbe stata un deterrente sufficiente e quindi non c’era ragione di insistere troppo sull’adozione di regole e di altri strumenti di intervento per garantire gli interessi della collettività.
I negoziati condotti sotto le insegne del WTO sono la metafora di questo processo, oggi per fortuna arenato, altrimenti avremmo avuto la privatizzazione di servizi essenziali come l’acqua e i servizi sanitari. Qualcosa, malgrado tutto, è stato salvato dallo tsunami neoliberista che ha dominato il mondo per 2 decenni.
Il movimento aveva elaborato qualche proposta forte come l’acqua, che deve restare pubblica, o la Tobin tax, che certo non poteva rispondere da sola ai compiti di governo dei mercati finanziari e tuttavia poneva l’esigenza di sedi sovranazionali di governo dei processi finanziari e insieme dello scoraggiamento delle speculazioni finanziarie. La sinistra, tranne lodevoli eccezioni, ha snobbato queste come altre proposte che ponevano il problema di ridefinire il ruolo dell’intervento pubblico nell’economia, ad esempio affrontando la costruzione di un diverso rapporto tra nord e sud del mondo anche attraverso la costruzione di sedi istituzionali adeguate. Non si trattava di restare abbarbicati a esperienze del passato, ormai tramontate, ma di ripensare al ruolo dell’intervento pubblico nella società attuale. Invece è intervenuto una specie di cupio dissolvi che ha portato la sinistra a essere afona proprio nel momento in cui argomenti tradizionali della sua esperienza sono diventati dominanti.
A questo punto occorre avere il coraggio di rimontare la china e di parlare chiaro a partire da una ridefinizione del ruolo dello stato nazionale e più in generale dell’intervento pubblico nell’economia delle altre sedi sopranazionali. Sedi che con lo stato nazionale possono comporre il quadro complessivo dell’intervento pubblico nell’economia e nella società. E’ un modo per dare un nuovo senso anche ad una competizione elettorale, altrimenti dov’è la differenza con la destra ? Si tratta di sostituire gli uni con gli altri al potere o di alternare al potere concezioni diverse della società e dello stato? L’idea che basti avere qualche modesto strumento di regolazione del mercato come è evidente non regge più. Non solo per la crisi finanziaria, ma anche per altri punti di crisi come quella ambientale e l’esigenza di riconvertire l’economia in rapporto a energia e risorse naturali. Progetti che richiedono un progetto di politica economica non privo di radicalità, interventi programmati e discriminatori: questo si e questo no. Tanto più se si vuole affrontare seriamente la valorizzazione, per quantità e qualità, delle persone nel lavoro come alternativa al loro annichilimento attraverso il precariato come regola. Certo non tutto oggi può essere risolto a livello nazionale, ma già più di mezzo secolo fa Bretton wood era una sede internazionale. Perché oggi non dovrebbe essere possibile fare qualcosa di simile ?
Le sedi pubbliche debbono essere strutturalmente democratiche, cioè rispondenti ad un mandato, cosa che le sedi internazionali attuali nella maggior parte dei casi non fanno perché sono opache sedi tecnocratiche – non a caso - e che per di più neppure si sono accorte della crisi finanziaria e bancaria in arrivo. L’ideologia monetarista e liberista è andata in profondità, ha creato senso comune. La reazione non può che essere di uguale intensità, proponendo politiche e strumenti nuovi di intervento pubblico.
Intervento pubblico più democrazia mi sembrano le chiavi di una battaglia di lunga lena. Non è una discussione solo per il futuro, ma riguarda il qui ed ora e i provvedimenti sulla crisi finanziaria del Governo sono un’occasione per fare una prima importante riflessione.
Sembra che i provvedimenti del Governo per l’emergenza finanziaria delle banche avranno un consenso fin troppo ampio in parlamento. Eppure le misure della destra non meritano questa genuflessione e non sono affatto come quelle prese in altri paesi europei.
In altri paesi i Governi hanno precisato il limite massimo del loro intervento finanziario, quindi in definitiva a carico della collettività. In Italia non c’è limite, siamo al piè di lista. Dichiarazioni del Governo hanno indicato un intervento di 20 miliardi di euro, ma nei provvedimenti non ci sono cifre. Vedremo meglio nei prossimi provvedimenti di legge i costi effettivi per la collettività. L’unica cifra ufficiale è quella di Banca d’Italia che prevede un limite di 40 miliardi di euro per garantire liquidità alle banche attraverso lo scambio tra titoli “marci” e titoli buoni. La cosa curiosa è che il Governo ha parlato addirittura di possibili guadagni per lo Stato attraverso il cosiddetto swap tra i 2 tipi di titoli. Siamo al ridicolo. Viene definito un guadagno far pagare un modesto aggio per lo scambio di soldi buoni con titoli spazzatura che nessuno prenderebbe nemmeno regalati o per interventi di ricapitalizzazione di banche che chiedono questi aiuti perché sono a rischio insolvenza. Inoltre va sottolineato che Banca d’Italia può muoversi così perché ha nella stiva ingenti riserve e in particolare molto oro non contabilizzato ai prezzi di mercato. Perché non ragionare di un suo utilizzo in modo trasparente ? Perché dimenticare che è tuttora aperto il problema che Banca d’Italia è proprietà della banche che dovrebbe controllare e che una di esse ha ben il 43% del pacchetto azionario da sola ?
In teoria il Governo italiano potrebbe attuare interventi a sostegno delle banche senza limiti e questo è non solo uno stravolgimento di ogni criterio di bilancio pubblico ma come conseguenza lo stock del debito pubblico italiano potrebbe crescere a dismisura. Infatti il cosiddetto aggio per le garanzie del Tesoro serve solo a far sembrare senza costi un aumento dello stock del debito pubblico complessivo che potrebbe drivare dall’intervento di sostegno dello Stato alle banche.
C’è una crisi straordinaria ? Occorre intervenire ? D’accordo, ma questo non elimina l’obbligo di indicare con chiarezza il limite massimo dell’intervento e del conseguente indebitamento pubblico a cui il Governo è vincolato. Altrimenti la finanziaria 2009 a cosa serve ?
L’Italia è l’unico paese che prevede interventi a piè di lista e in cui il Governo taglia fuori il parlamento con un esautoramento insopportabile, e per di più incostituzionale.
Infatti il Presidente del Consiglio può, motu proprio, sospendere l’efficacia finanziaria delle leggi in vigore, ordinare tagli nella spesa pubblica non ancora decisi dal parlamento, utilizzare fondi in giacenza presso la tesoreria dello Stato, in particolare i 12 miliardi di avanzo patrimoniale dell’INAIL che invece dovrebbero essere utilizzati per migliorare le inadeguate prestazioni ai superstiti e alle famiglie delle vittime degli incidenti sul lavoro.
Se tutti questi interventi non dovessero bastare, l’intervento dello Stato a sostegno delle banche porterebbe ad un vero e proprio aumento dello stock del debito pubblico con conseguente aumento in futuro anche del deficit corrente, approfittando del fatto che le regole sono state un poco allentate dall’Europa. Fino ad oggi il Governo non ha detto quanto debito pubblico in più potrebbe crearsi in Italia con le misure adottate dal Governo e va tenuto presente che il solo accenno alla possibilità di aumentare il debito per sostenere lo sviluppo è stato scartato con ignominia. Il salvataggio delle banche invece è a piè di lista e non solleva reazioni inconsulte. E’ la solita storia dei 2 pesi e delle 2 misure.
Inoltre il Governo inglese prevede a fronte dell’intervento pubblico per salvare le banche con i soldi dei contribuenti la garanzia di una corrispondente proprietà pubblica delle banche. Se ti do soldi e almeno per il periodo previsto la proprietà delle banche salvate è pubblica. E’ un comportamento pragmatico e lineare, anche se contenuto nei limiti di un mero soccorso temporaneo. In Italia non è così. Parlare di una contropartita al salvataggio pubblico è considerato una bestemmia.
Eppure dovrebbe essere una parola d’ordine della sinistra.
Il Governo ha previsto come contropartita un barocco sistema di controllo sulle decisioni delle banche che chiederanno aiuto, previa analisi della Banca d’Italia che in questa fase sembra non sentire il bisogno di rivendicare la sua autonomia come in altri momenti.
Mentre Gordon Brown non ha timore di pubblicizzare le banche che richiedono soldi dei cittadini, in Italia ci si accontenta di fingere di avere un diritto privilegiato sui profitti delle azioni acquistate dallo Stato, essendo chiaro che se la banca fosse sull’orlo del fallimento, o del commissariamento, non si vede quali profitti potrebbero esserci.
Inoltre il diritto societario viene sospeso nelle banche oggetto di intervento.
Si è detto molto delle ulteriori garanzie dello Stato per i correntisti. Le garanzie vanno bene, si tratta in buona parte di pensionati e lavoratori che ricevono i loro salari sui conti correnti, ma non va dimenticato che in Italia in realtà la garanzia già c’era fino a 103.000 euro. In realtà sembra più un fiocco messo sul pacco delle misure dirette a sostegno delle banche, che una reale necessità.
Nulla poi viene detto sul fatto che di recente il Governo e la Banca d’Italia hanno consentito una partecipazione molto più forte delle banche nelle imprese e ci si propone di consentire un più forte inserimento delle imprese nelle banche.
Questi intrecci sono tra le cause della crisi del 29 e non a caso in seguito questi intrecci sono stati vietati. Eppure poche settimane fa Governo e Banca d’Italia hanno pensato bene di invertire la rotta, confermando così che la crisi finanziaria era largamente sottovalutata ma va anche detto in verità che anche dall’opposizione non c’è stata la rivolta contro queste misure, come avrebbero meritato.
Si parla della crisi finanziaria come della peste del XXI secolo, ma i comportamenti sono altri, perché andrebbero come logica conseguenza vietati i titoli speculativi e insieme regolati con precisione i comportamenti dei diversi attori, ma di questo non c’è traccia.
In conclusione il principio che ogni euro dei cittadini deve avere un corrispettivo di proprietà pubblica dovrebbe essere un punto fermo, almeno per la sinistra. Nei provvedimenti del Governo non c’è ed è la conferma che la sinistra dovrebbe respingere in parlamento quei provvedimenti, evitando di imitare le Hawai che hanno accettato il piano Bush in cambio di altro. Poi si tratta di decidere se l’intervento pubblico debba essere un sostegno temporaneo, limitarsi ad una surroga, salvo tornare nell’ombra appena passata la nottata. In realtà la crisi finanziaria ridisegna, almeno in potenza, il confine tra pubblico e mercato e la sinistra dovrebbe porre apertamente il problema di un ruolo pubblico di tipo nuovo per guidare le trasformazioni di cui il nostro paese ha bisogno, ma lo stesso discorso potrebbe farsi per l’Europa o per il governo dei processi mondiali.
Si dovrebbe parlare di un progetto di politica economica e di società e di quali strumenti sono necessari per realizzarli. Quindi della natura di un moderno intervento pubblico che non può in alcun modo limitarsi alle regole per il mercato. Regole che hanno certamente una funzione, ma del tutto insufficiente a guidare le trasformazioni economiche e sociali nella direzione voluta. Il pendolo oggi va verso un nuovo e aggiornato ruolo dell’intervento pubblico inteso come espressione dell’interesse della collettività, o almeno delle sue forze più rilevanti, e sarebbe un’autentica stranezza che di fronte all’evidente debolezza delle forze del mercato, alla loro incapacità di autoregolarsi spontaneamente, e all’insufficienza delle stesse istanze meramente regolatrici che la sinistra restasse afona proprio adesso, lasciando ai fautori del liberismo, e quindi ai responsabili della crisi, campo libero consentendo così loro di salvare sé stessi. Altrimenti perché tanti banchieri ed esponenti confindustriali si stanno sbracciando per chiedere aiuto e nello stesso tempo per avere la garanzia che l’aiuto sia sostanzialmente a fondo perduto, almeno politicamente.
Alfiero Grandi