Continua un tormentone – purtroppo inconcludente – sulla sinistra, di cui fa parte a pieno titolo la recente posizione di Veltroni che in sostanza propone di tornare alle (sue) origini, cioè – guarda caso – alla radice della crisi del Pd. Ritenere di affrontare la crisi pienamente politica, perfino di significato, del Pd senza andare alla radice dei problemi è un’illusione che non può che peggiorare la crisi già in atto, già sufficientemente grave. Nella versione migliore il Pd delle origini avrebbe dovuto garantire al governo di centrosinistra (in particolare a Prodi) un’autonomia politica dalle tensioni tra i partiti che avevano dato vita all’Ulivo. Nella versione peggiore avrebbe dovuto garantire una vera e propria autosufficienza (la vocazione maggioritaria) che infatti appena teorizzata, proprio da Veltroni all’epoca segretario del Pd, fece precipitare all’inizio del 2008 la crisi del secondo governo Prodi, non appena gli alleati minori capirono che per loro non poteva esserci futuro, al di là delle alleanze di volta in volta strumentali. Per questo è poco credibile che proprio chi ha dato origine a questa deriva del Pd possa risolvere la crisi attuale, visto che non c’è nel ragionamento la condizione indispensabile di un ripensamento politico, ma solo una critica a chi è venuto dopo, Renzi in particolare, quasi si trattasse solo di mettere sotto accusa le sue esagerazioni, degenerazioni, i suoi errori. Questi ci sono certamente per carità, ma non spiegano tutto.
L’interesse per quanto accade nel Pd è inevitabile
L’interesse per quanto accade nel PD è inevitabile anche da parte di chi non ne ha condiviso la scelta originale, né tantomeno ne ha mai fatto parte. Per la semplice ragione che, essendo tuttora il Pd la forza maggiore che potrebbe fare parte (tutto? in parte?) di uno schieramento di sinistra, è del tutto evidente che anche chi ne sta fuori non può non interessarsi all’esito della sua crisi. I vuoti in politica non esistono se non per consentire ad altri di riempirli e l’esperienza dimostra che finora nessuno a sinistra è riuscito a beneficiare dell’arretramento elettorale del Pd. Purtroppo si rischia l’irrilevanza contemporanea di tutti. In sostanza ha ragione chi sottolinea, come Franco Monaco, che la crisi del PD non è iniziata con Renzi, con i voti perduti, con la sconfitta al referendum ma da quando sono state accese speranze poi disattese e presi impegni non rispettati. Questo non a caso, ma per la subalterna accettazione dei parametri dominanti, altrimenti detto pensiero unico. Il salto di qualità di Renzi sta nella tronfia spudoratezza di pensare di non dovere nemmeno tentare di rispettare gli impegni presi in precedenza e di poter costruire un vero e proprio sistema di potere personale, occupando il Pd con i propri e fedeli sodali. Senza fare i conti con la crisi del PD, chiarendo che il renzismo ne è solo la fase suprema, non si andrà lontano. Cacciari ha ragione, Renzi si è dimesso non è stato dimissionato e per questo sembra in grado ora di fare il Ghino di Tacco, bloccando l’imbocco di nuove strade, cioè una vera e propria svolta politica. Questo porta il Pd alla paralisi, all’incapacità di scegliere. Non solo il Pd non ha mai fatto una seria analisi delle gravi sconfitte subite, ma non sembra in grado di andare oltre l’attesa della crisi dell’attuale maggioranza, confermando così in realtà la gravità della sua crisi. Per correggere è indispensabile capire cosa è accaduto. Altre volte in passato, dopo una sconfitta, a sinistra c’è stata una fase di impasse, durata anche a lungo, ma mai c’è stata contemporaneamente la necessità di reagire alla sconfitta e insieme di cambiare radicalmente orizzonte politico, come impone la situazione attuale.
La situazione attuale impone scelte radicali
Giorgetti ha detto sprezzante che oggi non c’è opposizione e che quindi la maggioranza gialloverde si fa l’opposizione da sola (si riferiva a Fico). Questa affermazione non va sottovalutata. Questa volta riprendersi dalle sconfitte e imboccare una svolta politica di fondo vanno insieme. La radicalità delle scelte è imposta dalla situazione attuale, di cui l’esito elettorale del 4 marzo è un passaggio chiave. L’allontanamento degli elettori dal Pd, senza peraltro fermarsi su altri soggetti della sinistra, non è stato determinato da questioni di poco conto ma da una critica di fondo, quasi una ribellione. Per questo occorre mettere in discussione la subalternità al pensiero unico dominante, fino a rendere chiaro che le differenze in campo sono politiche, non tecniche, mettendo fine al periodo infausto in cui ha prevalso l’idea che destra e sinistra fossero ormai superate, che è in realtà una storica posizione della destra che non vuole cambiare. La sinistra ha senso e forza se è alternativa alla destra, all’azione delle classi dominanti italiane, legate a quelle dominanti nella globalizzazione. Avere insistito lungamente che lo stato nazionale è superato, senza essere in grado di proporre un’alternativa di governo dei processi, che il mercato è tutto e il pubblico deve semplicemente ritrarsi dall’economia, ha solo sguarnito l’azione della sinistra e lasciato campo libero alla reazione nazionalista, al sovranismo, ai dazi, alle chiusure verso l’esterno che oggi hanno un ruolo mai visto prima, paradossalmente a danno delle stesse classi dominanti che hanno voluto una globalizzazione senza regole. Ha ragione chi oggi sottolinea che potremmo ricadere nella crisi perché non sono stati presi i provvedimenti di regolazione indispensabili, come avvenne dopo la crisi del 1929. Perfino i bit coin operano del tutto senza regole.
La sconfitta al referendum del 4 dicembre 2016 punto di partenza per la correzione di rotta
La correzione politica deve partire dal referendum del 4 dicembre 2016. Senza una correzione di fondo del giudizio, sia pure ex post, resterà un solco profondo con quella parte maggioritaria del paese che ha detto No e per fortuna in questa c’è una parte importante del mondo della sinistra e liberale. Già nel 2011 la sinistra e il Pd furono incapaci di intestarsi i risultati referendari, mentre lo fece Grillo visto che altri non li rivendicavano; eppure anche il Pd aveva contribuito a quella vittoria, che – va ricordato – è stata l’avvio della crisi del governo Berlusconi, cioè di una maggioranza parlamentare con margini mai visti prima. Purtroppo vi fu incapacità di capire le potenzialità di un movimento referendario che aveva mobilitato due milioni di persone. Nel 2016 il governo del Pd è stato addirittura lo sconfitto e quindi la situazione è oggi molto più grave del 2011. Nel 2011 il Pd non fu capace di gestire il suo ruolo nella vittoria mentre dopo il 4 dicembre 2016 è stato incapace di fare i conti con una gravissima sconfitta. Renzi ha brandito la rottamazione e tentato lo stravolgimento della Costituzione, suggerito dai poteri forti che vogliono chiudere il capitolo storico delle costituzioni antifasciste in Europa, a partire da quella italiana. Il risultato della gestione di Renzi è che la rottamazione la gestiscono altri, più credibili nel cavalcare l’ondata nuovista. Inoltre Renzi ha pensato bene di individuare in Salvini l’avversario più adatto e lo ha usato come spauracchio convinto che così gli elettori avrebbero votato per lui. Con il bel risultato che oggi Salvini è diventato un serio problema politico e democratico anche grazie a Renzi. Del resto era già accaduto con Berlusconi, più volte nella polvere eppure resuscitato da avversari compiacenti quanto miopi, compreso Renzi con il patto del nazareno. In sostanza la rincorsa a destra del Pd ha finito con il contribuire alla ripresa della destra.
La sinistra: riguadagnando credibilità sul terreno costituzionale potrebbe contrastare la deriva populista
Riguadagnando credibilità sul terreno costituzionale tutta la sinistra potrebbe contrastare con la forza necessaria la deriva presidenzialista, autoritaria e accentratrice che è nell’aria e su cui esiste il pericolo che si avventuri anche la maggioranza giallo-verde. La posta in gioco è la qualità della democrazia italiana. Democrazia non è un voto, tanto meno un plebiscito ogni 5 anni, ma una dialettica viva, piena e partecipata, non escludente, e le elezioni servono a definire i rapporti di forza tra i competitori politici. Costituzione e democrazia viva sono le due premesse da cui partire, di cui è parte integrante una legge elettorale che consenta ai parlamentari di tornare ad essere veramente i rappresentanti dei cittadini che li debbono potere scegliere, altrimenti il parlamento non uscirà dalla attuale crisi di credibilità e cambierà in peggio la qualità della democrazia. Del resto non a caso ci sono apprendisti stregoni che vaticinano il superamento del ruolo del parlamento. Inseguendo inutilmente l’onda antipolitica il Pd ha menato vanto di avere tolto alla vita di partiti finanziamenti pubblici indispensabili per la loro attività, il risultato oggi è che la vita politica è menomata pesantemente e alla ricerca spasmodica di finanziatori e purtroppo sappiamo come va a finire. In sostanza anziché contrastare la deriva antipolitica il Pd renziano ha tentato di cavalcarla con I risultati che conosciamo.
Per uscire da questa stretta occorre farsi aiutare dalle organizzazioni sociali ancora in grado di farlo. Se la sinistra dovesse sparire come soggetto reale il problema non sarebbe solo del versante politico. Proprio dal versante sociale potrebbe venire un contributo importante sia di argomenti per troppo tempo trascurati, maltrattati e anche peggio. Penso al lavoro, ai diritti, all’articolo 18 ferita non sanata e non è l’unica. Potrebbe venire dalla capacità di farsi aiutare, di recuperare gli errori, un contributo nel ricostruire un tessuto che è fatto di idee, di passione, di volontà di realizzazione.
Senza costruire campagne di iniziative che aiutino a ricostituire una comunità di idee, di persone coinvolte, formate in battaglie comuni non si andrà lontano. Spesso a sinistra, non solo nel Pd, ci sono commenti a quanto accade, alle posizioni altrui, ma il ruolo di direzione politica non può ridursi a esprimere opinioni più o meno di sinistra ma occorre organizzare campagne politiche, lotte con l’obiettivo di arrivare a risultati riconoscibili, solo così si creano le esperienze complesse che formano dirigenti riconosciuti, creano legami duraturi, fiducia. Un giornalista analizza e commenta, se è bravo con intelligenza e autonomia, un dirigente politico deve avere l’ambizione di cambiare la situazione reale.
Non è convincente l’opinione per cui la sinistra debba semplificare i messaggi
Non trovo convincente l’opinione che per rilanciare la sinistra occorre iniziare dai temi più semplici. È necessario – ad esempio – sfidare Salvini sul suo terreno: I migranti, la sicurezza, offrendo una chiara alternativa, senza timori, certo per farlo occorre fare i conti con le derive securitarie in cui si è caratterizzato da ultimo Minniti. Va in sostanza chiarito che la linea da seguire non sarà più quella dei governi Renzi e Gentiloni, non si tratta di rivendicare precedenti meriti ma di cambiare radicalmente strategia, altrimenti è inutile iniziare. Qualcuno sembra iniziare a rendersene conto, ad esempio Orfini ha parlato esplicitamente di scioglimento del Pd, segno che ne avverte la crisi profonda. Andrebbero colte le occasioni, ad esempio che la linea Salvini di subappaltare ai libici il lavoro sporco, cercando di nascondere la verità dei morti, dei soprusi, dei lager è in crisi perché la Libia non è sicura in quanto tale non solo nei porti. Inoltre la magistratura si sta occupando del rispetto della Costituzione e delle leggi e andrebbe sostenuta con vigore non perché mette sotto accusa Salvini ma in quanto ha il compito di fare rispettare le leggi, come ha ricordato Mattarella, senza riconoscere santuari intoccabili. Del resto in Polonia e Ungheria l’autonomia delle rispettive magistrature è stato il primo obiettivo che governi autoritari di destra hanno cercato di mettere sotto tutela, attaccandone l’autonomia, con lo stile analogo ai regimi autoritari precedenti.
L’ascesa di Salvini è resistibile, ma occorre volerlo fare. Occorre farlo partendo dai punti di fondo. Bisogna porsi esplicitamente il problema di una svolta rispetto alle scelte sbagliate fatte dopo il 4 marzo, quando si è preferito favorire un accordo tra M5S e Lega, rinunciando a tentare un accordo con I 5 Stelle. Il Pd ha sbagliato, deve correggere la scelta di favorire la maggioranza Lega-M5S. Fu un grave errore a cui occorre rimediare, intervenendo all’interno della maggioranza, appoggiando quando è possibile, senza inutili pregiudizi settari, criticando anche aspramente quando è necessario ma facendolo da sinistra per mettere sotto tiro gli sbandamenti, le giravolte dei 5 stelle. La critica non può essere indifferenziata, deve essere da sinistra, altrimenti suonerà strumentale. La critica da destra ai 5 stelle è una vera idiozia ed è figlia di una posizione politica che può solo sperare che la maggioranza giallo-verde esploda da sola, posizione come minimo subalterna, per non dire rinunciataria.
La sinistra ora è divisa, malmessa e priva di campagne e obiettivi. Rivive se si batte per la rifondazione della democrazia
Allo stato dei fatti la sinistra in Italia è divisa, malmessa, non persegue campagne ed obiettivi con il coraggio e la determinazione necessari, a volte neppure ci pensa e la parte che ci pensa è troppo debole per fare da sola. Quindi forme di convergenza sono necessarie, altrimenti I tentativi saranno troppo deboli, poco credibili, ininfluenti. Le convergenze saranno possibili però solo se ci saranno ripensamenti di fondo, ad esempio se il Pd imboccherà una strada nuova e coraggiosa, alternativa, altrimenti non si andrà lontano, ma se questo non avvenisse non vi sarebbe un vantaggio per alcuna componente della sinistra ma solo la conferma di una debolezza della sinistra (tutta) che continua e forse peggiorerà ulteriormente.
La sinistra ritroverà se stessa se si metterà nell’ottica di una rifondazione della democrazia italiana facendola vivere e cercando di essere protagonisti di questa rivitalizzazione e in questo ambito può esserci il suo rinnovamento. I temi non mancano: dal lavoro alla ripresa economica, ormai esangue, all’Europa che sarà un tema di fondo tra pochi mesi, in vista delle elezioni e che ha bisogno di innovazioni di fondo se vuole salvarsi . Occorre un progetto di Europa che faccia uscire dalla conservazione che prevale ancora oggi e dalla reazione nazionalista e sovranista che è un rimedio peggiore del male che dice di volere curare. Assetto istituzionale, regole e politiche debbono costituire un tutto unico che faccia tornare protagonista la sinistra nelle prossime elezioni europee. Costruire le proposte e uno schieramento convergente che le sorregga non sarà facile ma bisogna provarci. Non si tratta di fare liste unitarie ad ogni costo ma di presentare liste con punti in comune per un futuro raccordo politico di iniziative che abbiano la precondizione di non buttare via i voti e quindi di raggiungere almeno il 4 % che è la soglia minima per entrare nel parlamento europeo. Naturalmente l’appuntamento delle europee non basta, se uno schieramento non è in grado di chiedere le elezioni vuol dire che è incapace di porsi come alternativa politica, ma per evocarle deve quanto meno avere una proposta con cui presentarsi al paese e qui si torna al nodo iniziale, occorre tentare il confronto e il dialogo anche con il M5S, sapendo che comunque non sarà semplice ma è una scelta necessaria per superare l’equivoco dell’attuale maggioranza, se possibile non da destra.
Non è immaginabile fare forzature di natura organizzativa, occorre fare scelte politiche. Se non ci sarà accordo su tutto almeno potranno esserci dei punti comuni e su questa base un disegno comune di possibili alleanze capaci di gestire le diversità senza farle diventare dirompenti. Del resto come si fa a pensare di stabilire un’alleanza tra la sinistra, con tutti i suoi problemi, e un Pd tuttora non derenzizzato e incapace di fare i conti con se stesso, con i suoi errori. In questa fase sarebbe incomprensibile ai più e quindi cerchiamo tutti di fare scelte comprensibili, ambiziose e realistiche insieme, senza scambiare le proprie crisi per la realtà che pretende scelte ben più radicali.
Il Pd deve dimostrarsi capace di recuperare una posizione di sinistra, facendo i conti con il passato altrimenti non andrà lontano. Le altre soggettività della sinistra debbono a loro volta comprendere che la posta in gioco va oltre i destini dei singoli gruppi. Non c’è ragione per essere ottimisti ma un percorso coraggioso e innovativo è anche l’unico modo per non portare sulle spalle la responsabilità dell’irrilevanza della sinistra in Italia (tutta).
Alfiero Grandi