- Pubblicato da l'Altro quotidiano e da Paneacqua
Premesso che è stato un grave errore non affrontare il problema della regolazione dei mercati finanziari subito dopo la crisi che si è manifestata nel 2008.
Premesso che è stata sottovalutata irresponsabilmente la dimensione raggiunta dal giro di affari della finanza internazionale, che nelle sue varie componenti è almeno 9 volte (oltre 600.000 miliardi) il Prodotto interno lordo mondiale annuale (75.000 miliardi). Alcuni decenni fa non era così.
Parafrasando Sraffa si potrebbe dire che è cresciuta fino a diventare incontrollabile la produzione di denaro attraverso denaro.
Questa massa di denaro, quando si muove, produce effetti simili ad uno tsunami finanziario, i cui effetti non sono limitati alla finanza ma investono inevitabilmente anche le attività reali, produttive o dell’ingegno che siano. Come del resto il “sequestro” di ingenti somme per remunerare i redditi dei manager del mondo finanziario ha sottratto risorse agli altri redditi. Non a caso la divaricazione tra i redditi ha raggiunto dimensioni mai viste, con il reddito dei mega manager che ha raggiunto oltre 400 volte il reddito medio.
Purtroppo le classi dirigenti, che allo scoppiare della crisi erano a maggioranza liberista o comunque subalterni a questa ideologia, hanno scelto la strada di tentare di ridurre la crisi iniziata nel 2008 ad una sorta di pausa, dopo la quale tornare alla situazione precedente. Una mera illusione.
Negli Usa in verità qualche tentativo di regolazione c’è stato, ma limitato all’interno e peraltro in grande sofferenza di attuazione. I capitali finanziari con base negli Usa sono rimasti sosanzialmente liberi di operare nel mercato mondiale come prima e per certi versi peggio di prima, cioè alla ricerca di guadagni ad ogni costo da altre parti. Le Agenzie di rating sono la muta da caccia al loro servizio e hanno il compito di individuare le “prede”.
L’affidabilità del giudizio delle agenzie di rating è quanto meno discutibile non solo perchè la loro proprietà è dello stesso mondo finanziario americano, ma anche perché non hanno previsto, ad esempio, la crisi di Lehman Brother, e neppure quella della Parmalat, che all’Italia è costata un punto di Pil. Ogni volta che una proposta viene avanzata, come ad esempio la Tobin tax, immediatamente viene avanzata l’obiezione che si, forse si potrebbe fare, ma solo quando tutti saranno d’accordo, cioè mai.
E’ la stessa storia del protocollo di Kyoto per la salvaguardia del clima, se non si fosse decisa la strada delle adesioni successive, fino a raggiungere la massa critica della sua entrata in vigore, saremmo ancora al caro amico. Del resto oltre la Tobin tax occorrono altri provvedimenti come la revisione delle banche generali.
Eppure il dubbio che qualcosa occorre fare nella testa dei governanti europei esiste, purtroppo manca il coraggio delle grandi scelte, coraggiose e capaci di guardare al futuro, con l’ambizione di cambiare il mondo esistente (senza queste risposte gli indignati hanno poche speranze), come fu dopo la crisi del 1929 con l’accordo di Bretton Wood. Accordo che però venne molti anni dopo l’inizio della crisi e nel pieno della seconda guerra mondiale. Oggi la situazione è molto più grave perché anche se esistono migliori meccanismi di salvaguardia sociale la dimensione della crisi finanziaria attuale non ha paragoni con il 1929 perchè la sua dimensione è enormemente maggiore.
Un aspetto su cui non si riflette abbastanza è che la dimensione del coinvolgimento nelle operazioni finanziarie è di massa, basta pensare al ruolo dei fondi pensione, oppure alla quantità rilevante di risparmiatori che in un modo o nell’altro sono coinvolti nell’andamento della borsa e del mercato finanziario.
Fino a poco tempo fa, a crisi già iniziata, autorevoli esponenti degli organi di sorveglianza, non solo italiani, sostenevano ancora la tesi che il mercato si autoregolerebbe e basterebbero conoscenza e trasparenza. Il problema è anche di orientamento culturale, che infatti può limitare la capacità di indicare riforme adeguate per mettere sotto controllo questa sorta di mostro dell’Id.
Occorre riproporre l’obiettivo di mettere sotto controllo i mercati finanziari, con divieti e ammissioni, trasparenza imposta, ecc. Nel tempo si potrebbe limitare e forse fare regredire questa massa enorme di denaro senza base reale. Oppure aumentare la base reale dell’economia e dell’occupazione.
La scelta della Bce di immettere liquidità nelle banche, sul modello Usa, non sta dando i risultati sperati perché le banche hanno il problema della leva, cioè il rapporto tra capitale proprio (caduto in verticale) e i prestiti concessi. Al massimo possono parcheggiare il denaro ricevuto in titoli, ma qui il cane si morde la coda perché il timore è che i titoli non verranno onorati e il capitale proprio non è sufficiente a dare garanzia. Lo strumento in sé può essere utile, ma non da solo, non senza regolazione e non senza misure per lo sviluppo. E’ in questo quadro che va collocata l’ideologia tedesca (nulla a che fare con Marx) che pone vincoli draconiani ai bilanci pubblici, imponendo il pareggio di bilancio nelle Costituzioni, fingendo di ignorare che solo la crescita, in particolare dell’occupazione, può rendere tollerabile la riduzione del debito pubblico. Paradossalmente potrebbe esserci un debito in discesa in un paese economicamente morto, o quasi.
La Germania è sollecitata dal mondo finanziario internazionale, con il risultato che riceve prestiti a tassi bassissimi. La Germania, in scala ridotta, beneficia come gli Usa, in piena crisi finanziaria, dell’arrivo di capitali.
Riuscirà la Germania a resistere alla tentazione di cogliere opportunità a danno dei paesi europei più esposti, mettendo a rischio la tenuta dell’Euro e non solo ? Ormai siamo a questo punto e avere iniziato in Italia dal risanamento finanziario - paradossalmente – senza mettere in campo una strategia di sviluppo non convince gli stessi mercati finanziari. Infatti lo spread sui titoli a 10 anni resta alto, malgrado il Governo Monti.
Come affrontare questa fase ? Anzitutto avendo il coraggio di parlare male di Garibaldi, che in questo caso è l’insistenza sulle misure restrittive ad ogni costo, o almeno come centro delle politiche.
In breve: occorre reperire nuove risorse da evasione fiscale, dall’applicazione delle stesse regole a tutti i redditi, da una vera patrimoniale, dall’accordo con la Svizzera per la tassazione dei capitali esportati, dall’asta delle frequenze. Le risorse vanno utilizzate dallo Stato per sostenere i redditi più bassi, pensioni comprese, e per alcuni progetti di ricerca, investimenti, sviluppo e occupazione.
La ripresa non è tornare a prima della crisi ma impostare una nuova fase di sviluppo, di qualità ambientale e sociale e per questo occorre un programma di interventi pubblici.
La qualità politica di una fase come questa richiede la ricerca del consenso e della convergenza delle forze sociali. Insistere su un’impostazione tecnocratica non porterà lontano, perché questa strada non è in grado di convincere neppure i mercati finanziari, di risalire la china, perchè si muove all’interno dello schema attuale. Mentre l’unico modo per affrontare le difficoltà attuali è progettare una nuova fase di sviluppo del nostro paese in grado di affrontare il mare aperto delle difficoltà, qualunque sia il futuro che aspetta il nostro paese e l’Europa.
Alfiero Grandi