Dibattito a partire dal volume "Le Orme di Dossetti" di Giliberti e Ferrari Martedi 24 settembre 2024 sala capitolare del Senato, ore 16,30/19, Roma
Partecipanti: Alfiero Grandi, Mario Boffo, Maria Agostina Cabiddu, Giuseppe De Cristofaro, Matteo lepore, Elly Schlein, Giuseppe Ciliberti
*Rosi Bindi non ha potuto partecipare per problemi nel collegamento a distanza
Intervento di apertura del dibattito di Alfiero Grandi:
Ottenuta la maggioranza in parlamento (59%) con una minoranza di voti (44%) e di elettori (28%) la destra ha iniziato un attacco sistematico alla Costituzione, tentando furbescamente di sminuirne la portata.
Il volume “Sulle orme di Dossetti” è un’occasione per affrontare l’attualità partendo dal contributo di chi nel 1946/47 fu un protagonista della scrittura della Costituzione. Le forze culturali, politiche, sociali fondamentali dell’Italia da ricostruire - che avevano partecipato alla Resistenza, alla cacciata dei fascisti e dei nazisti per riconquistare indipendenza e dignità - erano coscienti di dover scrivere una Costituzione in cui sancire una nuova identità nazionale.
La Costituzione è insieme un programma politico (cosa non compresa dall’attuale opposizione all’epoca delle elezioni nel 2022, quando regalò alla destra la vittoria) e di principi e regole istituzionali per garantire continuità alla democrazia italiana e impedire il ritorno del fascismo sotto ogni forma. Un’impresa formidabile e lungimirante, resa possibile dalla comune volontà di ricostruire l’Italia dopo le distruzioni della guerra. Grazie a nuove classi dirigenti liberate dalla dittatura, impegnate a dare un futuro alla nuova Italia, immaginata libera e socialmente avanzata.
Una parte della società italiana - Dossetti lo aveva previsto - non ha mai accettato il patto costituzionale. Siamo arretrati da quando Fini indicò alla destra l’accettazione sostanziale della Costituzione e delle sue regole democratiche. Oggi i legami con il fascismo faticano ad essere tagliati e la destra al governo coltiva rapporti inquietanti con suggestioni e settori che dovrebbero essere contrastati e ai margini.
Dichiararsi antifascisti è una difficoltà per la destra oggi al governo.
Nel volume ci sono molti spunti, mi limito al contributo dei protagonisti dell’epoca nella scrittura della Costituzione: le loro diversità e insieme la loro capacità di trovare punti di incontro ancora oggi di grande livello. Giliberti ricorda l’incontro tra Dossetti e Togliatti sul Concordato, sulla proprietà privata, libera ma con obblighi verso la collettività, sull’equilibrio tra interesse pubblico e personale. Non c’era incompatibilità tra il controllo sociale dell’economia di Dossetti e la democrazia progressiva di Togliatti.
Dossetti ha avuto una vita intellettuale, politica, personale complessa, dopo un lungo periodo dedicato alla sua fede sentì nel 1994 l’esigenza di rioccuparsi della Costituzione, dei suoi principi e dei pericoli che tornavano prepotenti con la vittoria di Berlusconi a capo di una coalizione di destra. Avvertì i pericoli per la Costituzione e per la democrazia italiana, propose la formazione dei Comitati per la Costituzione. Proposta che non trovò l’attenzione che meritava nei partiti antifascisti, che non si spiega solo con la crisi che li attraversava dopo mani pulite, e dalla società.
Eppure quella indicazione ha contribuito all’esperienza dell’Ulivo che dimostrò che era possibile battere la destra, e aiutò a sconfiggere la controriforma costituzionale della destra nel referendum del giugno 2006.
Anche le sinistre hanno avuto ripetute tentazioni, con motivazioni diverse, di proporre modifiche sostanziali della Costituzione. Dire che si trattava solo della seconda parte era una foglia di fico che ignorava che i meccanismi decisionali sono decisivi per realizzare i principi/obiettivi della prima parte.
Purtroppo le sinistre non hanno avuto mano felice nel riscrivere la Costituzione. Ad esempio nel 2001 le modifiche costituzionali al titolo V avrebbero dovuto togliere spazio alla Lega con il bel risultato di perdere comunque le elezioni e di scrivere alcune formulazioni. Ad esempio il 116 e il 117 che con la previsione del potere concorrente hanno generato un enorme contenzioso Stato/Regioni presso la Corte (oltre 2000 cause) e Calderoli ha usato le ambiguità per costruire la sua legge che contrasta con i principi fondamentali della Costituzione.
La proposta di legge di iniziativa popolare presentata dal Cdc al Senato su 116 e 117, primo firmatario Massimo Villone, con ben 106.000 firme, aveva lo scopo di promuovere una presa di coscienza degli errori precedenti e di contribuire ad emancipare le posizioni critiche sulla Calderoli dalla difesa acritica di errori passati. Fare i conti con errori del passato non è facile ma è una scelta indispensabile.
Gli articoli 116 e 117 modificati hanno contraddetto l’esigenza di un’ottica nazionale nella sanità, dove la regionalizzazione è all’origine di 20 sistemi sanitari diversi (pensiamo alla stucchevole negazione del diritto delle donne alla contraccezione e all’aborto) evidenziando seri guasti in occasione del Covid, superati solo dallo stato di emergenza per la pandemia. Eppure la sanità è un punto cruciale della coesione sociale nazionale e per la vita delle persone.
Il prof Alessandro Pace ci ha insegnato in occasione del referendum del 2016 contro il progetto di deformazione costituzionale di Renzi che le modifiche non possono stravolgere l’impianto della Costituzione ma debbono essere correzioni precise, puntuali. Il Cdc è nato quasi 10 anni fa per fare vincere il No, scelta non indolore a sinistra ma indispensabile per respingere una concezione della Costituzione “à la carte” in cui ogni maggioranza può stravolgerla per proprie convenienze.
Parlare di Costituente in questo clima politico e culturale e di allontanamento dalla partecipazione non è convincente, impossibile immaginare oggi la scrittura di una nuova Costituzione. Basta pensare alla Resistenza e all’antifascimo del dopoguerra. Oggi siamo in una fase di restaurazione più che di spinta progressista, come dimostra il peso che ha la guerra, affrontata in modo esemplare nell’articolo 11. L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà e per risolvere le controversie… In questo non ci sta Putin e neppure questa Nato. Così le posizioni della destra al governo su ambiente e territorio sono incuranti della gravità del cambiamento climatico e dei suoi effetti disastrosi mentre plaudono a tutte le posizioni restauratrici, nucleare civile compreso, e contro le innovazioni indispensabili per l’ambiente.
Nei tentativi di cambiamento della Costituzione c’è stato un comune errore di fondo sui quorum di garanzia pensati nel 1948 con un sistema elettorale proporzionale, che non sono stati modificati a fronte dell’introduzione di leggi elettorali maggioritarie.
Questo rende possibile oggi a una destra che non ha il coraggio di rompere con il fascismo di tentare di stravolgere la Costituzione con l’obiettivo di introdurre la sua impronta: un presidenzialismo declinato come premierato con elezione diretta, senza contrappesi, riducendo il parlamento ad un ruolo definitivamente subalterno, ridimensionando il ruolo di garanzia e i poteri del Presidente della Repubblica, il tutto accompagnato da stucchevoli menzogne dalla destra.
Aggiungo la separazione delle carriere dei magistrati che punta a superare l’obbligatorietà dell’azione penale e a portare i pm sotto il controllo del governo.
L’autonomia regionale differenziata di Calderoli è la prova generale dello scardinamento della Costituzione che afferma all’articolo 1: L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Una, quindi il secessionismo non è possibile, tanto meno l’orizzonte Padania, mero bacino idrografico. Eppure la destra che si vanta di essere nazionale ha approvato una legge che rischia di frantumare l’Italia, dividendola al suo interno anziché rilanciarne il ruolo europeo. Una normativa che farebbe perdere tutte le regioni, malgrado la vulgata leghista del miraggio per il nord. Per il potere negano sè stessi e purtroppo anche i diritti fondamentali uniformi dei cittadini: dalla salute, all’istruzione, alla previdenza e all’assistenza, all’ambiente, ad un lavoro che non metta in pericolo la vita, rendendolo invece parte fondamentale del paese.
L’ascensore sociale è fermo, solo la dialettica sociale e le lotte possono garantire che si rimetta in moto, dando sostanza alla democrazia della nostra Costituzione.
Contiamo che il referendum ci sarà, che la Corte approverà il quesito sostenuto da ben più di 1 milione di firme, come i 4 promossi dalla Cgil per i diritti, contro la precarietà e i subappalti che mortificano la salute e la qualità del lavoro.
La scelta di fondo è tornare a rendere architrave dell’assetto istituzionale il parlamento.
L’Italia è e deve restare una repubblica parlamentare. Per esserlo ha bisogno dell’articolo 67, che prevede la piena libertà dei parlamentari, oggi ridotti a yes men, di una nuova legge elettorale sostanzialmente proporzionale che preveda la loro elezione diretta da parte degli elettori, di partiti (49) che debbono riprendere la progettazione del futuro. Una forte repubblica parlamentare, capace di dare spazio ai referendum e alle leggi di iniziativa popolare.
In sostanza: il contrario della Capocrazia che propone Giorgia Meloni.
Il Cdc era per il no al referendum sul taglio dei parlamentari perché era evidente che avrebbe scaricato solo sul parlamento le difficoltà istituzionali, indebolendolo, ignorando le gravi responsabilità dei governi, dei partiti e il peso degli interessi forti, non solo nazionali. Il parlamento oggi è già troppo debole, dipendente dai vertici dei partiti che di fatto lo nominano. Questo maggior potere del governo paradossalmente ha peggiorato la legislazione, ha moltiplicato l’uso dei decreti legge - in spregio al vincolo di urgenza - che spostano il potere legislativo verso il governo, a cui si aggiungono i maxiemendamenti e la moltiplicazione dei voti di fiducia. Ne ha scritto bene Montesquieu su La Stampa. Questo sta creando una legislazione episodica, propagandistica che moltiplica i reati penali e cancella quelli contro la corruzione e l’evasione.
La destra punta a stravolgere la Costituzione, la sinistra, i progressiti debbono puntare ad attuarla e difenderla.
Il modello tecnocratico che qualcuno vorrebbe imporre nel sistema istituzionale, esaltando il ruolo del governo, svuotando il parlamento ricorda il funzionamento delle grandi aziende. Il premierato è disegnato su questo modello e per questo prefigura una vera e propria Capocrazia.
Dobbiamo riuscire a convincere elettrici ed elettori a votare nel referendum contro la legge Calderoli rendendo chiara la portata della sfida. Abrogandola apriremmo un problema nella maggioranza, la Lega non digerirà la sconfitta, premierato e attacco all’autonomia della magistratura si bloccherebbero perché verrebbe alla luce la contraddizione di fondo di questa coalizione: unita da un patto di potere da cui ciascuno si aspetta il suo tornaconto.
Se il patto di potere si dovesse rompere si deve tornare a votare e in questo caso l’opposizione deve dimostrare di essere un’alternativa credibile e la Costituzione essere il principale punto di riferimento.
Teniamoci stretta la Costituzione, errori passati vanno corretti, facciamola vivere nel concreto della vita dei cittadini per alleviarne difficoltà e sofferenze, per offrire una proposta di futuro, facendola conoscere ai giovani, consegnandola con solennità in vista della maggiore età ovunque nelle scuole e promuovendo una campagna di informazione e discussione in ogni città come avvenne negli anni 60.
La Costituzione per troppo tempo è stata data per scontata, un errore che va corretto, superando impostazioni nuoviste e subalterne, ridandole il ruolo che avevano immaginato le madri e i padri costituenti.