(www.editorialedomani.it - 04 aprile 2024)
Il disegno di legge che punta all’elezione diretta per la presidenza del Consiglio è una posta in gioco che le opposizioni non possono sostenere. Con il premierato si rischia di tornare a prima dell’unità d’Italia, un progetto di potere per tenere i parlamentari al guinzaglio. Perciò la legge elettorale resta nella nebbia, altrimenti si capirebbe che è
una legge truffaColpisce che mentre Giorgia Meloni ha dato il mandato ai suoi fedeli al Senato di arrivare ad approvare il disegno di legge che punta all’elezione diretta del presidente del Consiglio prima delle elezioni europee, ci sia ancora qualcuno nell’opposizione che si attarda a cercare soluzioni “tecniche”, o presunte tali, per rendere più accettabile la proposta.
Non ha capito la posta in gioco, la destra vuole raggiungere un obiettivo per lei vitale, sottovalutare questo è un errore politico, oltre che tecnico, visto che anche Pera è stato ignorato. Il governo ha pochi risultati da portare agli elettori, quando arriverà il Def sarà tutto più chiaro, tranne i numerosi condoni targati FdI. La destra ha bisogno di messaggi identitari, almeno per la parte che ha votato Fratelli d’Italia. Per questo vuole l’approvazione del cosiddetto premierato (in prima lettura al Senato) con l’obiettivo di ottenere attenzione e sostegno, che si stanno logorando. In altre parole è una mossa identitaria, di chiamata a raccolta di antiche suggestioni della destra, che da decenni coltiva il disegno di un/a capo/a che comanda, spacciato per governabilità, per cercare di rilanciare il ruolo egemone di Fratelli d’Italia.
La Lega è appagata dalla promessa della contestuale approvazione della legge per l’autonomia regionale differenziata, la quale pur scontando tempi lunghi per i Lep, che richiedono risorse che non ci sono, conta di calmare l’ira di Zaia con il miraggio di decentrare 8 materie e le relative 184 funzioni che sono state messe fuori dai Lep. Un pacchetto di poteri pronta cassa che il Veneto dichiara di essere già pronto a chiedere.
La presidente del Consiglio si potrebbe impegnare ad usare il potere che un emendamento dei suoi fidi le ha “conquistato” per porre un problema semplice semplice: queste funzioni verranno richieste con o senza risorse e personale. Tranquilli, non lo dirà e non lo farà. Quindi Zaia chiederà anche soldi e personale mentre le altre regioni rimarranno a bocca asciutta perché con questo sotterfugio ci sarà un aumento delle risorse per le regioni che chiederanno questi poteri, mentre le altre non avranno nulla, rivelando che il premierato è inutile ai fini dell’unità nazionale. Tutta la maggioranza è convinta di questa scelta?
Così si rischia di tornare a prima dell’unità d’Italia. È questa l’unità nazionale vagheggiata dalla destra e da Giorgia Meloni?
Giorgia Meloni ha bisogno di mettere in campo l’elezione diretta del presidente del Consiglio per riequilibrare e, spera, controllare le Regioni, ma è un vaso di Pandora, una volta aperto nessuno sarà in grado di guidare questo percorso.
Ragionevolezza vorrebbe che tutta l’opposizione dicesse chiaro e forte che nessun voto verrà mai dato per appoggiare il raggiungimento dei due terzi per approvare la proposta del premierato, quorum che sarebbe in grado di bloccare il referendum popolare costituzionale. A questo punto è dovere morale di tutti consentire il voto delle elettrici e degli elettori, perché il pasticcio istituzionale delle destre, a cui manca solo la separazione delle carriere, porterebbe l’Italia fuori dalla Costituzione del 1948 (democratica ed antifascista) verso un’altra Costituzione, ridimensionando seccamente il ruolo del presidente della Repubblica e riducendo il parlamento a una appendice del governo, che assorbirebbe buona parte delle sue funzioni.
Una terza Repubblica, ha detto Giorgia Meloni, con un’eco gollista. In realtà una Repubblica che abbandonando le radici del 1948 sarebbe diversa, una sorta di capocrazia, definizione che si attaglia a questo modello.
Meglio mettersi tutti il cuore in pace, contrastare la sfida autoritaria della destra e prepararsi ai referendum popolari, anzitutto per respingere il premierato, poi per l’autonomia regionale differenziata versione Calderoli, che prima di un eventuale giudizio popolare potrebbe trovare sulla sua strada le Regioni che rimarrebbero a bocca asciutta e potrebbero entro 60 giorni ricorrere alla Corte Costituzionale. Zaia non la prenderebbe bene.
Giorgia Meloni ricorda la favola del lupo e dell’agnello quando suadente chiede ai cittadini se vogliono votare direttamente il capo del governo o lasciare decidere ai partiti, lei che è l’incarnazione dei partiti, in quanto capo del partito più votato e di un partito europeo e per di più è presidente del Consiglio.
Dovrebbe invece consentire l’elezione diretta dei 600 deputati e senatori, permettendo ai cittadini di sceglierli, mentre il suo disegno di potere li vuole al guinzaglio del capo. Per questo la legge elettorale resta nella nebbia, altrimenti tutti potrebbero capire che è una legge truffa, da fare impallidire quella del 1953.