Bruno Trentin ci ha lasciato in questo giorno di agosto, 16 anni fa. Va ricordato per il ruolo nella Fiom, nella Cgil, nel Pci-Pds- Ds e per l’attualità delle sue riflessioni. Anzitutto il suo impegno a misurarsi con l’innovazione tecnologica ed organizzativa per le conseguenze che ha sulla condizione di chi lavora, reinventando su basi nuove la costruzione di una autonomia dei “produttori”, per liberare il lavoro dalla frantumazione ripetitiva che lo rende debole, subalterno.
Le innovazioni ispi[rate da Trentin a partire dal convegno del Gramsci sul capitalismo nel 1962 furono molte, dalle 150 ore per la fondamentale riappropriazione culturale e professionale dei lavoratori alla riaggregazione delle funzioni lavorative per superarne la parcellizzazione, fino alla riforma del lavoro pubblico per ridargli senso e ruolo nella società. Innovazioni per una risposta non subalterna, man mano che la qualità del lavoro diventava strategica per la competitività. Oggi c’è un altro salto nelle innovazioni tecnologiche ed organizzative. I “sacerdoti” delle innovazioni prefigurano un futuro etero diretto dall’intelligenza artificiale in cui ci sarà meno lavoro umano. In realtà il nocciolo è la ulteriore restrizione del potere decisionale, in una rarefatta lontananza, come ci ricordano gli algoritmi che dilagano in diverse funzioni e campi, con la costante dell’imposizione nella vita e nel lavoro.
E’ una balla che non sia possibile arrivare alla comprensione di ciò che l’algoritmo descrive e ad una sua rideterminazione, ma la sfida è lacerarne il manto di imperscrutabilità che vuole far passare la subalternità e la passività per oggettive, inevitabili. Trentin non ha potuto misurarsi con la sfida dell’intelligenza artificiale, ma la sua riflessione, il suo metodo ci aiutano a trovare il sentiero dell’autonomia per chi lavora e a contrastare gli elementi di autoritarismo e di presunta inevitabilità, per affermare il principio che chi lavora è un cittadino con pieni diritti, in coerenza con la Costituzione.
Trentin è stato segretario della Cgil in una fase tormentata. Nel 1992 governo Amato e classi dirigenti puntarono a slegare il recupero dell’inflazione, già alta, da quella importata, programmando la riduzione del potere d’acquisto delle retribuzioni, in vista di una svalutazione. Anche oggi il governo mette in conto la riduzione delle retribuzioni e delle pensioni (anche dei risparmi) a fronte di una guerra le cui conseguenze stanno frantumando il mondo in nuovi blocchi, generano inflazione spingendo in secondo piano la transizione ecologica che non è più obiettivo centrale per le resistenze di settori delle imprese e di interessi (fossili e armamenti) che non vogliono cambiare questo modello di sviluppo per contrastare la catastrofe climatica. Invece è vitale invertire la corsa agli armamenti, alla guerra, che comporta il rischio dell’olocausto nucleare. Le soluzioni richiederebbero anche oggi un programma che fu lo scatto di reni di Trentin per superare la crisi del sindacato, rifondandolo, oltre le appartenenze partitiche che ne erano state elemento costitutivo e poi ne hanno segnato il declino.
La risposta alla crisi fu il sindacato di programma, oltre le certezze passate, scommettendo sulla capacità dei lavoratori di scegliere il sindacato per il progetto di società, non solo per le singole scelte rivendicative. Intuizione che ha avuto un valore rifondante per il sindacato, con l’ambizione di costruirne un ruolo chiave nel cambiamento dell’economia, della società, della vita stessa, ben oltre la sommatoria delle rivendicazioni. (…) Non accontentandosi di un angolo riparato ma con l’ansia di costruire un futuro per il lavoro dentro una società migliore, in cui i singoli vedano riconosciuti diritti e insieme esercitino un ruolo dirigente. Il fascino di Trentin era nel non dare nulla per scontato, un pensiero mobile per correggere certezze obsolete, fino a trarre conseguenze radicali quando il rapporto di fiducia con i lavoratori entrava in crisi.
Le dimissioni del 1992 dopo avere firmato l’accordo (che aveva cercato di evitare) con il governo vennero ritirate a fronte di una richiesta crescente nella Cgil di ripensarci per provare a risalire la china tutti insieme. Il ritiro delle dimissioni era legato al superamento delle correnti di partito e al sindacato di programma, aprendo così la strada ad un nuovo accordo l’anno dopo con Ciampi, in parte riparatore del 92. Nel 94 lasciò la segreteria della Cgil. Dal parlamento europeo (l’Europa era punto fermo) e dall’ufficio di programma Pds/Ds continuò l’impegno per rifondare il partito, la sinistra, la politica. Il sindacato aveva solo fatto i conti per primo con la crisi della politica.