di Mario Boffo e Alfiero Grandi
Cessate-il-fuoco, la parola alla diplomazia: è il documento che raccoglie le conclusioni del Convegno per la pace in Ucraina del 30 giugno scorso ed è stato inviato dai promotori (diplomatici, giornalisti, militari, intellettuali, Coordinamento per la Democrazia Costituzionale) a deputati e senatori chiedendo di fare emergere in Parlamento il desiderio di pace della maggioranza dell’opinione pubblica italiana.
Presentando il documento si chiarisce che l’obiettivo è avviare un’iniziativa politica per scongiurare ulteriori rischi – anzitutto una guerra nucleare – e assicurare all’Ucraina libertà ed indipendenza, all’Europa un futuro di pace.
Nell’opinione pubblica sono infatti cresciute preoccupazione e contrarietà. Esponenti politici di diversa collocazione hanno riconosciuto la necessità di una iniziativa per il cessate il fuoco, per creare condizioni per una trattativa con l’obiettivo di raggiungere una pace duratura attraverso adeguate garanzie internazionali.
Fino ad ora si è parlato solo di invii di armi, sempre più letali, all’Ucraina. E’ mancato completamente un impegno per avviare trattative di pace. Non sono mancate iniziative, tra cui spicca l’impegno del cardinale Zuppi per incarico del Papa, dei paesi africani, dell’America latina, della Cina e di altri paesi, ma il risultato finora è lo stallo per i veti venuti dai belligeranti e dai loro sostenitori.
Un giacimento di odio reciproco rischia di consolidarsi per generazioni, lacerando rapporti culturali, sociali, geografici tra popolazioni coesistenti, come è avvenuto nella ex Jugoslavia.
Puntare tutto sull’invio delle armi senza fare decollare l’iniziativa per il cessate il fuoco e la pace rischia di fare prevalere la posizione di chi è convinto che solo la vittoria delle armi possa portare ad una soluzione, attraverso l’annientamento del nemico. Solo una trattativa in una sede multilaterale come l’ONU può affrontare l’insieme dei problemi cercando soluzioni ragionevoli.
Continuando così, si superano limiti prima impensabili come l’uso dei proiettili ad uranio impoverito, delle bombe a grappolo che dovrebbero essere vietate, dei bombardamenti che malgrado le dichiarazioni colpiscono i civili e le loro infrastrutture.
A causa della guerra la lotta al cambiamento climatico è indebolita, le risorse sono dirottate verso l’aumento degli armamenti con conseguenze sulle spese sociali.
L’Ucraina oggi è un gigantesco poligono di prova di armi sempre più terribili e gli unici a guadagnarci sono i produttori, con danno di tutta l’umanità. L’invasione dell’Ucraina è inaccettabile, va condannata. La risposta non può essere trovata nel reciproco sfinimento ma nel dare la parola alla diplomazia e alla politica, per evitare lutti sempre maggiori e riprendere un percorso di coesistenza tra regimi politici diversi, affidando l’affermazione della democrazia all’esempio di una vita migliore e più degna, non alle armi.
Occorre evitare ulteriori passi verso il baratro della guerra tra Nato e Russia che devasterebbe il continente europeo. Purtroppo, la voce dell’Unione europea non si è sentita, restringendo ulteriormente gli spazi di iniziativa.
Il documento inviato ai parlamentari sottolinea che occorre un chiaro messaggio all’Italia, all’Europa, agli Stati Uniti per la stabilità del nostro continente.
Il vertice di Vilnius sembra avere compreso che l’entrata dell’Ucraina nella Nato adesso porterebbe ad una guerra diretta con la Russia e al concreto pericolo di guerra atomica. Portare tutti i paesi dell’Europa dentro un quadro di sicurezza reciproca, individuando nuove architetture, usando la diplomazia per risolvere i nodi del conflitto permetterebbe invece di riportare la Russia nel consesso europeo, usando i condizionamenti della pace e della stabilità.
In passato di fronte a rischi non meno gravi per la vita dell’umanità sono stati trovati forza e coraggio per reagire a quanto sembrava inevitabile. Oggi occorre lo stesso coraggio, la stessa forza per bloccare la corsa verso l’abisso nucleare e rilanciare l’utopia positiva della pace e della coesistenza tra diversi.
Per questo occorre che la società, le sue rappresentanze facciano sentire la loro voce, quella di quanti sono preoccupati per la guerra e le sue conseguenze e chiedono di essere ascoltati, di pesare nelle decisioni.
Per questo occorre che i parlamentari, superando il distacco con elettrici ed elettori, diano rappresentanza ad un’opinione pubblica che oggi non ce l’ha costruendo nelle forme che riterranno un coordinamento di quanti mettono al primo posto la pace e vogliono fare crescere questa posizione finora schiacciata da una visione solo fondata sulle armi e sul proseguimento della guerra. La guerra è diventata un obiettivo in sé e per sé, va fermata ora, prima che sia troppo tardi.