Mi dispiace ammetterlo ma credo che Enrico Letta stia sbagliando sulla legge elettorale. Naturalmente è suo diritto rinviare la discussione e le scelte sulla legge elettorale a dopo l’elezione del Presidente della Repubblica. Il punto debole di questa scelta è che se dopo l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica la situazione politica dovesse precipitare verso le elezioni anticipate saremmo costretti a votare con la legge elettorale in vigore, che ha fatto solo disastri e che non soddisfa né i maggioritari ad ogni costo, né tanto meno i proporzionalisti. Ricordiamo sempre che la legge elettorale attualmente in vigore è sostanzialmente un “rosatellum”. Peggiorato dal taglio dei parlamentari e da una legge che ha adattato il “rosatellum” originario al taglio degli eletti alla Camera e al Senato. Questo adattamento al taglio dei parlamentari segue sostanzialmente i voleri della Lega, ai tempi del Conte 1, quando era in maggioranza. Il Conte 2, seppure con una diversa maggioranza, invece di impegnarsi ad approvare una nuova legge elettorale, ha pensato bene di emanare il decreto del Presidente del Consiglio che dà attuazione alla legge approvata nel maggio 2019 e così il cerchio si è chiuso stabilizzando un “rosatellum” peggiorato.
Senza una nuova legge purtroppo voteremo con un meccanismo elettorale che non piace a tanti ma di cui nessuno per ora avvia seriamente il superamento. Manca la consapevolezza dell’urgenza dei fatti e di cosa vorrebbe dire rischiare il voto con la legge attuale. L’ultimo tentativo fu la proposta di legge dell’on. Brescia del M5Stelle che purtroppo è stata insabbiata rapidamente. Delle modifiche costituzionali che avrebbero dovuto alleggerire i difetti dell’attuale legge elettorale, ad esempio per il Senato dove intere regioni non hanno numeri per un minimo di proporzionalità, non è restato nulla. L’unica modifica approvata porterà si i giovani a votare a 18 anni per il Senato (positivo) ma non potranno però essere eletti, perché la soglia di eleggibilità resta a 40 anni, contrariamente alle promesse fatte.
Se si dovesse andare al voto anticipato, per circostanze imprevedibili, saremmo seriamente nei guai. In ogni caso una buona legge elettorale indurrebbe i partiti a ragionare da subito diversamente.
Al di là dei meccanismi preferiti le ragioni per approvare una nuova legge elettorale sono essenzialmente due. La prima è che la disaffezione verso il voto è arrivata a livelli insopportabili per una corretta vita democratica. Quando più della metà delle elettrici e degli elettori non va a votare vuol dire che la sfiducia è cresciuta a vista d’occhio e che anche il ruolo del Movimento 5 Stelle, che aveva cercato di rappresentare il malcontento e l’antipolitica fino ad ottenere oltre il 32 % dei consensi nel 2018, è crollato. Perfino la destra ha perso nelle elezioni amministrative più per l’astensionismo sui suoi candidati che per i progressi di quelli del Pd e delle variegate coalizioni di alleati. Non è vero che una democrazia funziona anche se l’astensionismo supera i livelli di guardia, perché si aprono vuoti nella capacità di rappresentare il paese che prima o poi portano a guai seri proprio per la qualità della democrazia. Senza rappresentanza crescono le fiammate e le contrapposizioni, anche violente.
La seconda è che se la disaffezione e l’astensionismo crescono oltre i livelli di guardia si rafforza la crisi della rappresentanza delle elettrici e degli elettori, cioè il ruolo del parlamento. Si poteva pensare che ormai la crisi di credibilità del parlamento fosse arrivata al punto più basso. Quando il parlamento accetta di tagliare sé stesso non è un merito, ma solo la conferma che la crisi del suo ruolo è ormai introiettata dai suoi componenti, al punto tale da essere vissuta come inevitabile, dimenticando le responsabilità di altri ben contenti di scaricare sul parlamento.
Con il governo Draghi abbiamo la conferma di quanto era già abbondantemente avvenuto: voti di fiducia, decreti legge a raffica, maxiemendamenti, deleghe al Governo oltre ogni ragionevolezza. Oggi questo sistema è diventato regola su ogni argomento, fino ad arrivare a decreti legge che delegano il governo a decidere, cosa che di solito veniva esclusa in partenza perché contenenti una doppia delega, ma oggi non risulta che i Presidenti delle Camere esercitino il loro grande potere di regolare i lavori parlamentari per escludere modalità decisionali che offendono il ruolo del parlamento. In passato non è stato così.
Quindi il Governo è sugli altari e il parlamento è ai suoi piedi, chiamato a ratificarne le decisioni. I riconoscimenti formali del Presidente del Consiglio al ruolo del parlamento sono poco più di un cortese galateo.
Se il parlamento dovesse finire con l’essere considerato non più l’architrave del nostro sistema democratico che la Costituzione gli assegna, ma un organo subalterno al Governo, quando non al Presidente del Consiglio, si aprirebbe inevitabilmente la strada alla modifica della Costituzione stessa. Infatti nella Costituzione americana il presidenzialismo è bilanciato da 2 camere con diversa rappresentanza la cui elezione è del tutto autonoma dal Presidente, in modo da bilanciare i poteri. L’Italia rischia di ridurre progressivamente il potere del parlamento al punto che il Governo non avrebbe più di fronte un potere da cui dipende e che lo controlla, come dovrebbe essere il ruolo del parlamento in Italia. È partendo da queste due preoccupazioni politiche e democratiche di prima grandezza che si deve ragionare di legge elettorale, non per il gusto di discutere dei meccanismi oscuri del potere.
Qui è intervenuta la novità dell’intervista di D’Alema al Corriere che parte da una critica delle ammucchiate elettorali, di un sistema che non funziona, rissoso. Aggiungo che tutte le coalizioni che si sono formate negli ultimi due decenni con leggi elettorali maggioritarie si sono dissolte e non sono mai arrivate alla fine della legislatura. D’Alema aggiunge che negli ultimi 15 anni si sono fatti governi che con le elezioni non c’entrano nulla. D’Alema propone di adottare il sistema elettorale tedesco, che come è noto è proporzionale. Proporzionale al punto che il numero dei parlamentari è mobile, da un minimo di 598 ai 735 di oggi e potrebbe ancora crescere in futuro, per garantire ad ogni costo la proporzionalità della rappresentanza parlamentare.
Il parlamento tedesco si gonfia e si sgonfia, come prevede la legge, per garantire il proporzionale, in Italia abbiamo tagliato la stessa cifra di deputati, senza chiederci quale rappresentanza avremmo avuto dopo e tanto meno che fine avrebbe fatto la proporzionalità.
È una novità di rilievo la posizione di D’Alema che ragiona su cosa non va e su come porvi rimedio, prima che sia troppo tardi. Spingere sul maggioritario ha anche il grave difetto di costringere forze di destra che non sono d’accordo sull’estremismo di Salvini, sul suo sovranismo, che vogliono mantenere un rapporto con l’Europa e che quindi potrebbero esprimere meglio le loro posizioni in un sistema articolato di rappresentanza.
Che senso ha spingere la destra sotto l’egemonia di Salvini?
Che senso ha un meccanismo elettorale come quello italiano che ha portato il nostro parlamento al punto più basso di credibilità, e forse di qualità, in nome di un maggioritario ad ogni costo, mentre la Germania con il suo sistema elettorale affida un ruolo ai partiti. Ruolo che li aiuta a svolgere il loro compito anziché deprimerli con un eccesso di personalizzazione come in Italia e che insieme affida agli elettori un ruolo che li avvicina al voto anziché respingerli, perché gli elettori possono scegliere chi li rappresenta. Dopo, in parlamento, gli eletti troveranno la formula di governo migliore, o almeno possibile, e per questo obiettivo prevedono il tempo necessario per arrivare ad un accordo condiviso liberamente, senza nervosismi e senza l’ubbia di sapere la sera delle elezioni chi governerà, perché sanno che conta di più sapere se lo farà per 5 anni.
Proporzionale e scelta diretta dei parlamentari da parte degli elettori, togliendo il potere di nomina dall’alto ai vertici dei partiti, sono passaggi importanti per ridare ruolo al parlamento, migliorarne qualità ed autonomia degli eletti. Naturalmente non basta. Occorre ridare ruolo ai partiti. Togliere il sistema di finanziamento pubblico è stato un errore, certo va rivisto studiando le altre esperienze europee, Germania in testa, ma la situazione italiana attuale non regge. Così sempre più la politica sarà riservata ai ricchi o da loro influenzata.
In generale occorre attuare l’articolo 49 della Costituzione garantendone la democraticità interna, il rispetto delle minoranze e in questo quadro di garanzie occorre individuare le forme di sostegno all’attività politica. Se i partiti non riescono a svolgere il loro ruolo ne risente tutta l’organizzazione della democrazia, il suo funzionamento. Certo D’Alema giustamente invoca una riflessione dei partiti sul loro ruolo, rilanciando prospettive, ideali e perfino ideologie, sdoganando un concetto maledetto. Ha ragione. La sinistra dovrebbe provarci.
La legge elettorale è tuttavia il primo urgente punto di intervento e il tempo per farlo è ora, prima che la situazione sfugga di mano. Dopo restano solo le autocritiche.