Il voto in Germania è stato seguito più per la previsione che l’uscita di scena di Angela Merkel non avrebbe favorito il suo partito, la CDU, e a sorpresa Scholz, candidato di punta socialdemocratico, avrebbe superato sia i popolari tedeschi che i verdi, dati per favoriti all’inizio della campagna elettorale. Quando alla nevrosi dell’informazione italiana è venuta meno l’attrazione della notizia mediatica l’attenzione è scesa e il dopo elezioni è oggi pressoché ignorato. Eppure, scavando sugli aspetti fondamentali del risultato elettorale tedesco si scoprirebbe che le elezioni tedesche parlano all’Italia molto più di quanto non si voglia ammettere. Ad esempio in Italia ha prevalso il luogo comune che la sera delle elezioni occorre conoscere il vincitore. Una sciocchezza del tutto indimostrata, che serve solo a giustificare una legge elettorale maggioritaria e un eventuale premio di maggioranza alla coalizione vincente per “garantire la governabilità”.
Tutto questo fa letteralmente a pugni con quanto avvenuto in Germania, dove si punta al nuovo governo (di coalizione) entro Natale, quindi tre mesi dopo il voto, considerandolo un buon risultato e senza mostrare eccessivi segni di impazienza. Ovviamente partiranno i confronti tra i partiti per costruire la coalizione e definire il programma. Programma che verrà dettagliato con cura, come è già accaduto in passato in Germania per formare i governi di coalizione. Anche qui non si può che guardare con simpatia ad un lavoro che cercherà di prevedere gli impegni futuri e di prevenire possibili ragioni di contrasti. Non si può prevedere tutto ma è pur sempre un tentativo importante per dare stabilità nel tempo alla coalizione di governo.
Ci furono ironie sul programma del governo Prodi, troppo lungo, troppo dettagliato. In realtà il governo Prodi si trovò a fare i conti con i guastatori che pur avendo condiviso il programma comune in seguito cercarono in ogni modo di metterne in sordina delle parti per impedirne l’attuazione. Potrei dimostrarlo con episodi concreti: è chiaro che un programma prima del voto è una cosa, mentre un programma di coalizione tra diversi dopo il voto è un patto molto più cogente, da cui è più difficile prendere le distanze. Tra i sostenitori del luogo comune – sapere subito chi ha vinto – senza riflettere sulle conseguenze politiche ed istituzionali, ad esempio sui poteri del Presidente della Repubblica e sulle distorsioni maggioritarie, si è particolarmente distinto Renzi, anche se non è l’unico esponente di partito ad averlo fatto.
In Germania si vota dando spazio ai candidati e insieme prevedendo un recupero che garantisce ai partiti una loro rappresentanza proporzionale e a questo scopo è stato reso flessibile il numero dei parlamentari che viene aumentato fino a quando la proporzionalità è garantita. Certo esiste la soglia del 5% per ottenere eletti, abbastanza alta, ma che ha una correzione interessante, che ha permesso alla Linke di eleggere la sua rappresentanza parlamentare anche senza raggiungere il risultato pieno del 5%. La legge elettorale tedesca prevede un ruolo dei partiti, che invece in Italia è al minimo. Inoltre affida al parlamento un ruolo centrale perché il governo si farà sulla base delle alleanze parlamentari, confermando così che una repubblica parlamentare è pienamente governabile. Curiosità: la Germania prevede un numero di parlamentari flessibile con un’oscillazione più o meno pari al taglio dei deputati deciso in Italia a partire dalla prossima legislatura.
In Italia, dopo il taglio del parlamento è in vigore una legge elettorale che lascerà fuori la rappresentanza di interi territori, di posizioni politiche, di sensibilità sociali impoverendo il ruolo di rappresentanza del paese di deputati e senatori. Del resto, questo è un parlamento erede del clima politico che ha portato qualche anno fa a votare a maggioranza che Ruby era la nipote di Mubarak e che nella legislatura in corso è arrivato a votare addirittura contro se stesso approvando il taglio dei propri componenti, con un clamoroso autogoal sulla propria credibilità nel paese. Legislatura dopo legislatura il parlamento è diventato sempre più subalterno al governo del momento e con Draghi sta raggiungendo rapidamente il record dei voti di fiducia, mentre in Germania il ruolo del parlamento resta fondamentale e questo costringe bene o male i partiti a svolgere un ruolo propositivo.
Dopo le elezioni tedesche occorre una riflessione che non sia ostaggio dei luoghi comuni e affronti seriamente il futuro del sistema politico ed istituzionale del nostro paese, cercando quel che può esserci utile in altre esperienze. La destrutturazione del ruolo dei partiti, l’antipolitica fatta tutta di anti e nulla di proposte, il parlamento ridotto a votificio e sostanzialmente inascoltato sono tutti fatti che impongono di indicare un’uscita da questa preoccupante crisi istituzionale, politica e dei partiti, anche rilanciandone la riforma, come previsto dall’articolo 49 della Costituzione, per garantirne una vita democratica interna trasparente. La Costituzione assegna un ruolo decisivo ai partiti per fare vivere proposte e partecipazione, senza sovrapporsi a istituzioni e parlamento. Se questi non vivono la democrazia italiana ha un serio problema.
Ridare ruolo ai partiti e al parlamento è decisivo per la credibilità delle istituzioni e della vita democratica del nostro paese. Una nuova legge elettorale per eleggere il futuro parlamento è cruciale per un rilancio della sua credibilità, per rivitalizzare la democrazia nel nostro paese. Invece rischiamo di votare con la pessima legge in vigore, voluta dall’astuzia della Lega, che l’ha fatta approvare durante il governo Conte 1 contemporaneamente al taglio dei parlamentari, quando questo non era ancora definitivo. Ora questa legge, che ha peggiorato il rosatellum con cui abbiamo votato nel 2018, è una spada di Damocle sulla prossima legislatura. Questo tema è tuttora sottovalutato. Eppure già con la crisi del governo Conte 2 l’Italia ha rischiato il voto anticipato e avrebbe votato con questa pessima legge elettorale. A febbraio si voterà per il nuovo Presidente della Repubblica. Se dovesse riuscire la manovra di mandare Draghi al Quirinale potremmo dover votare con questa pessima legge elettorale perché mancheranno le condizioni politiche e il tempo per approvarne un’altra. Una nuova legge varrebbe comunque alla scadenza naturale e quindi sarebbe utile in ogni caso.
Continuando a rinviare si rischia di votare nel modo peggiore. Speriamo che Enrico Letta si sia convinto che questo punto non può essere ulteriormente rinviato. Lo spazio per approvare la nuova legge elettorale è tra le elezioni amministrative che termineranno con il ballottaggio del 17/18 ottobre e l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica nel febbraio 2022.
I difetti della legge elettorale in vigore sono noti.
I parlamentari non rappresentano i cittadini ma chi li mette in lista nelle posizioni giuste per essere eletti. Di fatto sono scelti dai capi partito a cui sono fedeli. Altrimenti come si spiega che Renzi si è portato dietro un bel pezzo dei gruppi parlamentari Pd? Aveva deciso lui buona parte degli eletti. Elettrici ed elettori debbono potere scegliere direttamente i parlamentari in cui hanno fiducia. I quali dovranno a loro rispondere del loro mandato parlamentare.
Occorre scegliere una rappresentanza proporzionale correggendo le conseguenze nefaste del taglio dei parlamentari che in alcune regioni non consentirà alcuna proporzionalità senza correzioni di altra natura. Gli accordi di governo si faranno tra i partiti sulla base dei voti ottenuti. Accordi liberamente raggiunti e con l’impegno di sostenerli. Le maggioranze preventive per cercare di conquistare ad ogni costo la vittoria ex ante non hanno portato bene né al centro sinistra, né al centro destra, i cui governi non sono stati salvati neppure da maggioranze bulgare in parlamento. Per questo il bipolarismo in Italia sempre stato gracile, con confini incerti.
So bene che la linea maggioritaria continua a fare proseliti. Anche Prodi nel libro Strana vita la mia non compie una riflessione autocritica sulle ragioni che hanno portato la sua coalizione preventiva a squagliarsi al sole. Eppure nel 2007 Veltroni, presentando il Pd, lanciò la sua vocazione maggioritaria con il risultato di una valutazione ingenerosa e un tantino spocchiosa del ruolo dei partiti minori e soprattutto innescando di fatto la crisi del secondo governo Prodi. Come Prodi stesso sottolinea a pag 164 del suo nuovo libro. Senza trascurare che potrebbe essere utile aiutare anche le componenti della coalizione di destra-centro ad uscire dalla logica maggioritaria ad ogni costo, che continua ad essere il vero collante (di potere) della coalizione.
Su questa materia occorre decidere rapidamente e la Germania potrebbe essere un riferimento per le nostre scelte, altrimenti rischiamo di votare con un rosatellum peggiorato da Calderoli, dopo un taglio del parlamento che appare sempre più privo di senso politico ed istituzionale.