(articolo di Alfiero Grandi su www.jobsnews.it del 02/08/21)
Usava dire che il problema è politico. Concetto oggi in disuso per la fatwa che ha colpito la politica, in buona parte per colpa sua, ma anche perché a poteri economici, finanziari e corporazioni varie non è parso vero che la politica avesse una tendenza al suicidio per acquistare una sempre maggiore libertà di decidere o di influire senza i vincoli e i controlli, a cui la politica ha rinunciato nel tempo.
Ci sono ragioni oggettive che spingono in questa direzione. Poteri enormi e invasivi sono cresciuti a dismisura, senza controlli reali, senza sedi internazionali adeguate di intervento e regolazione, e decidono su tutto quanto riguarda i loro interessi senza alcun riguardo per i poteri pubblici. Sopravanzano gli Stati, di fatto svolgono politiche sovranazionali in piena autonomia, di cui spesso gli stati sono subalterni. Basta pensare alle grandi aziende dell’ICT, che partendo da un nucleo originario si stanno espandendo in modo pervasivo in altri settori e sono ormai un nucleo forte delle borse e della finanza. Pensano a tutto: dallo spazio a battere moneta.
Alla massima internazionalizzazione corrisponde la massima debolezza degli organi internazionali di controllo e decisione.
Tutto si fa merce e si concentra in poche mani. A loro modo programmano e influiscono sulla vita di tutti, in modo pervasivo. L’Italia è in difficoltà perché prigioniera del piccolo è bello, ignorando che accanto ad esso si sviluppano attività che sfuggono ad ogni controllo e lo condizionano. C’è voluto Biden per scoprire che si poteva parlare di tassazione internazionale dei profitti delle multinazionali che evadono ed eludono quantità enormi di tassazione. La proposta iniziale è stata edulcorata e filtrata, ma mantiene un nucleo importante che potrebbe essere sviluppato in futuro se altri avessero più coraggio e forza. Purtroppo su questo punto l’Unione Europea non è stata all’altezza della sfida e quindi per ora l’OCSE sta discutendo in sostanza la proposta americana. Del resto, non è solo su questo punto che l’Europa manifesta una difficoltà di leadership innovativa. Anche sui brevetti dei vaccini siamo al come eravamo. La pandemia non è finita, i profitti di Big Pharma sono a dir poco pingui, ma la vaccinazione dei cittadini del mondo è di là da venire (non più del 25% e in grande maggioranza nei paesi ricchi) perché i brevetti sono ancora saldamente nelle mani delle aziende e non è finita qui, visto che la variante Delta sta aprendo le danze della quarta ondata della pandemia.
Eppure tutti sapevano che i vaccini sono ancora l’unica vera arma contro la pandemia e che la vaccinazione mondiale è oggi l’unica speranza per contenere e avere ragione del virus: Eppure questo non è bastato e ancora oggi, a un anno e più di distanza, non abbiamo preparato neppure in Italia le innovazioni aziendali che potrebbero portare ad aumentare la produzione di vaccini in modo importante perché – senza dirlo – non c’è il coraggio di chiedere/imporre libertà di produzione dei vaccini per tutto il periodo necessario, tanto più che le Big Pharma sono già rientrate ampiamente dei costi della ricerca. Questa volta Biden non ci aiuterà perché le aziende che detengono i brevetti sono americane e quindi si limita a promettere più produzione dalle Big Pharma.
La politica potrebbe decidere. Le istituzioni nazionali e internazionali hanno i poteri per decidere – visto che il caso della pandemia è esattamente previsto dalle regole internazionali come fonte di eccezione alle regole dei brevetti – ma non decidono. La politica è debole, divisa, non ha sogni da realizzare, è incapace di mobilitare l’opinione pubblica. Altro campo decisivo è la questione fiscale. I cosiddetti paradisi esistono solo perché qualcuno vuole che esistano e non si tratta solo delle Cayman o delle isole del canale ma anche del Lussemburgo che legalmente affida al governo trattative dirette con i gruppi internazionali per concordare (riservatamente) una tassazione ridicola, ma che ad un piccolo paese porta molti soldi. Di più, il custode di questa normativa è stato Presidente dell’Unione. Ci sono altri paradisi nell’Unione e non sono solo Cipro e Malta ma anche l’Olanda dovrebbe spiegare parecchio, così l’Irlanda a cui è stato consentito un dumping fiscale intraeuropeo che è costato miliardi di euro agli altri paesi, Italia compresa. Anche qui la politica avrebbe potuto ma non ha saputo/voluto e la sua credibilità è precipitata, soprattutto nei paesi che ne hanno pagato il prezzo come l’Italia. Anche piccole aziende hanno imparato che i sistemi fiscali si possono aggirare, ci sono consulenti e banche che fanno a gara per aiutarli. Del resto se anche aziende partecipate dallo Stato usano paradisi fiscali è evidentemente perché ne hanno bisogno, da lì transitano tangenti, profitti non dichiarati, speculazioni, ecc.
Senza dimenticare le cripto valute, non solo energivore, pare consumino il 4/5% dell’energia mondiale ma soprattutto fuori controllo e veicolo di speculazione e di pagamenti di ricatti. I riscatti chiesti dagli hacker informatici sono stimati in almeno 7 miliardi di dollari all’anno e vengono pagati in criptovalute, che del resto sono notoriamente lo strumento principe per una malavita organizzata, e non solo, che ha imparato da tempo i segreti dei movimenti finanziari. Invocare il mercato per le cripto valute è una bestemmia, altro che ammetterle nelle borse. L’unico modo per controllare i movimenti monetari e per evitare che vadano fuori controllo è che abbiano nelle valute delle banche centrali il loro riferimento e il controllo. Altrimenti nessuno ci salverà da una crisi finanziaria fuori controllo, che vuol dire in altre parole trasferimento di ricchezza dai molti ai pochissimi.
Altri aspetti della vita si svolgono sotto l’attacco e l’influenza delle decisioni di forti poteri sovranazionali che pian piano puntano a mercificare i vari aspetti della vita di tutti noi fonte, per trarne profitto e accumulazione. I servizi pubblici e i beni comuni debbono essere portati in salvo prima che sia troppo tardi. Purtroppo ancora una volta non c’è una politica che decide fin dove il profitto si può spingere e dove deve arrestarsi. Secondo questa concezione lo Stato può esistere ma non deve disturbare il “manovratore” privato e la politica rischia sempre di più di diventare subalterna di scelte, guarda caso, decise altrove. Questa politica subalterna ha bisogno di attuatori che non perdono tempo con la partecipazione, con la fatica politica di avere idee e di discuterle, di combattere per la loro attuazione.
Il ripensamento non può che essere a lungo raggio come il decadimento attuale è profondo e tra gli argomenti oggi spicca senza dubbio la questione clima, ambiente, salute di tutte e tutti, il suo equilibrio con il lavoro. Questo dovrebbe spingere a più socialità, non ad accontentarsi di un suo succedaneo, più partecipazione senza accontentarsi di una delega più o meno ben riposta al demiurgo di turno. Per arrivare a questa rimonta occorre disvelare i veri meccanismi di potere e di formazione del profitto ai tempi della diffusione dell’informatica e della finanza rarefatta e lontana che decide della vita di ciascuno di noi. Poteri lontani, che sembrano irraggiungibili, ma non né così. Occorre volerlo.
Anzitutto riscoprire i grandi maestri (Marx, Gramsci, ecc.) e attualizzarli. Non formule ma chiavi interpretative. Questi giganti, dalle cui spalle siamo caduti a terra, hanno molto da dire anche oggi, sia nelle loro radici culturali che nei loro sviluppi successivi e soprattutto ci spingono ad avere il coraggio di essere sinistra, di impostare politiche di sinistra, di impegnarsi a realizzarle. La sinistra non può pretendere di essere il tutto, ma deve essere con determinazione parte che rappresenta i lavoratori, i giovani, le aree diseredate, le competenze senza le quali ogni disegno alternativo non decolla e perseguire gli obiettivi con coerenza, ricostruendo strutture organizzate che portino alla confluenza in scelte politiche generali delle potenzialità di movimenti grandi e piccoli, che da soli non riescono a cambiare il corso della storia.
Gli obiettivi politici vanno perseguiti, sono risposte a domande reali, a condizioni di lavoro e di vita, per realizzare i quali la sinistra non basta, oggi certamente, quindi dovrà allearsi con altri soggetti politici, con i limiti dei valori costituzionali. L’unico “nihil extra ecclesiam” sono appunto i valori della Costituzione, cioè la democrazia italiana uscita dalla lotta antifascista. Di cui deve essere parte un orizzonte internazionale attivo che non contempla sopraffazioni e vergognosi accordi con chi compromette la vita delle persone, vedi sostegno alla guardia costiera Libia
Rassegnarsi ad una sinistra diluita o minoritaria ha poco senso. Siamo di fronte a scelte strategiche, di fondo che decideranno del futuro di tutti noi. C’è un Ministro che si è lasciato andare a una previsione spaventosa come la messa in discussione dell’esistenza stessa dell’umanità nel 2090. Farebbe meglio a guidare con più coraggio i processi di transizione ecologica del nostro paese contrastando il conservatorismo degli interessi che vogliono rinviare il più possibile le scelte dell’abbandono delle energie da fonti fossili e anzi puntano alla cattura della CO2 per giustificare il ritardo nelle scelte. All’ENI dovrebbero fischiare le orecchie. Anche all’Enel pur di prendere i soldi del capacity market si propone come capofila delle 14 nuove strutture che dovrebbero produrre energia elettrica con il gas fossile, la riduzione della CO2 aspetterà.
La speranza è che nei prossimi mesi una sinistra plurale, appartenente oggi a diversi campi, riesca a trovare punti di sintesi, poi si vedrà quale forma organizzata sia preferibile.
Per questo “l’anestetico” della maggioranza che sostiene il governo Draghi non può essere l’orizzonte ma la necessità di una fase nella quale costruire le ragioni della propria alternativa politica in Italia e in Europa, senza trascurare l’esigenza di non consentire arretramenti inaccettabili. I soldi del PNRR non giustificano tutto.
Le sinistre sbagliano se diventano le guardie svizzere di Draghi. Debbono dire cosa accettano e cosa no con chiarezza anche in Consiglio dei Ministri, senza timori se non il rapporto con i propri elettorati. Sui licenziamenti si è sbagliato ad accettare lo sblocco. Sulla giustizia si registra, ad esempio, un passo avanti parziale sulla prescrizione ma resta una ferita sull’autonomia della magistratura.