Il governo sotto la pressione del M5Stelle ha costretto la maggioranza parlamentare ad approvare l’imposizione di votare in un’unica giornata per le regioni, per i comuni, per le suppletive dei parlamentari e per il referendum costituzionale. Questo è l’election day, quasi certamente il 20 e 21 settembre. Anzitutto è un grave errore che riduce l’autonomia delle regioni su un punto che non meritava questo intervento, mentre è indispensabile una clausola sul prevalere dell’interesse nazionale sulle iniziative delle regioni in casi come la recente pandemia. Ma la questione di fondo è la forzatura sul voto referendario per il taglio del parlamento che viene mescolato, quasi nascosto, in una giornata elettorale che mischia argomenti diversi e di fatto non consentirà agli elettori di comprendere il vero oggetto del voto su una materia decisiva come la Costituzione.
La scelta del M5Stelle è difficile da capire. Il Movimento è nato con una vocazione a favore dei referendum, cioè della democrazia diretta nei casi previsti, che per loro natura obbligano a informare gli elettori per consentire di scegliere sulle materie oggetto di voto. Tanto più è necessario decidere informati se si tratta di materia costituzionale, cioè di interventi sulla legge fondamentale della nostra Repubblica che è l’architrave di tutto il nostro sistema legislativo, che deve rispondere infatti della sua coerenza con la Costituzione. Inoltre il M5Stelle ha decantato il taglio del parlamento, a torto, come una grande riforma, quindi c’era da aspettarsi che avrebbe fatto di tutto per fare conoscere l’argomento, motivando il taglio del 36,5 % dei parlamentari, chiedendo un voto a favore limpido, a sé stante. A meno che la motivazione vera non sia quella di Casaleggio jr che ha previsto la fine del ruolo del parlamento tra qualche lustro e quindi mettere sotto tiro composizione e ruolo del parlamento sia la premessa per la sua scomparsa, magari per lasciare il posto a piattaforme opache e di parte come quella Rousseau. Il M5Stelle ha il dovere di dire la verità. Invece no il M5Stelle si è fatto promotore di un’iniziativa per mischiare gli argomenti oggetto del voto pur di portare più elettori a votare anche per il referendum non appena si è reso conto che la sua “bandiera” non riusciva a mobilitare e per il timore che con pochi partecipanti al voto il referendum potessero vincerlo i No. L’election day è nato così, dalla paura di un flop e quindi l’obiettivo è stato di portare a votare su tutto pur di portare più elettori ai seggi, con buona pace dell’informazione, delle scelte consapevoli.
Le motivazioni per il taglio dei parlamentari erano e restano povere. Si parla di un risparmio al limite del ridicolo di fronte agli 80 miliardi di spese extra già decise e di altre che arriveranno per affrontare la crisi sanitaria e le sue conseguenze occupazionali ed economiche. Cifre per di più gonfiate pur di dargli un significato che non possono avere. Di Maio è arrivato a moltiplicare per 10 anni un risparmio gonfiato pur di raggiungere una cifra significativa. La democrazia ha dei costi ma sono costi necessari per fare funzionare la rappresentanza dei cittadini. Se oggi funziona male la responsabilità è di un parlamento di nominati dall’alto, da partiti che decidono nelle segrete stanze chi deve stare in parlamento, non i cittadini che così non sono veramente rappresentati perché non possono scegliere chi deve andare in parlamento e rispondere a loro. Proprio questo è il punto: tagliando il parlamento i cittadini saranno meno e peggio rappresentati e sappiamo che già oggi con le attuali leggi elettorali i parlamentari non sono i rappresentanti ma i nominati dall’alto indicati dai capi partito, perché da lustri le leggi elettorali non hanno cercato la rappresentanza migliore ma quella più fedele ed obbediente. Altrimenti come si spiega che Renzi ha due gruppi parlamentari senza avere partecipato ad elezioni e con sondaggi che sono al massimo al 3%?
Fare un taglio puro e semplice non fa risparmiare e mette in discussione l’architrave della democrazia: la rappresentanza dei cittadini, che può e deve essere migliore di quella attuale e sicuramente peggiorerà le cose e darà l’impressione che i difetti (seri) di funzionamento della democrazia italiana dipendano tutti dal parlamento mentre gravi responsabilità le hanno i governi che hanno perso l’abitudine e il gusto del confronto parlamentare per imporre invece con decreti, voti di fiducia e ora anche con i dpcm le proprie scelte al parlamento, di fatto rovesciando la gerarchia. Infatti il parlamento dovrebbe essere l’architrave istituzionale, mentre di fatto pian piano è diventato subalterno alle imposizioni del governo e dei capi partito, aprendo la strada a forti processi di centralizzazione e di personalizzazione della politica. Una strada aperta da Berlusconi 20 anni fa e purtroppo seguita da altri, anche a sinistra, al punto che ormai la personalizzazione è diventata dominante.
Tutto questo prepara il presidenzialismo, storico cavallo di battaglia della destra che oggi lo ripropone con una raccolta di firme ed altre iniziative che quindi preparano il terreno di ben altri stravolgimenti costituzionali. Gli apprendisti stregoni che hanno proposto il taglio del parlamento, gli opportunismi che hanno lo hanno subito perché incapaci di parlare chiaro e forte e di condurre una limpida battaglia politica per bloccare questa grave forma di populismo, stanno preparando di fatto il terreno per la destra, perché al taglio dei parlamentari seguirà un ulteriore indebolimento del parlamento, a cui seguirà un tentativo di forzare la mano per andare al voto politico anticipato per conquistare la maggioranza in parlamento che la riduzione del numero degli eletti e la legge elettorale già fatta approvare da Calderoli della Lega, pronta ad entrare in vigore, renderanno del tutto alla portata di mano. Il paradosso è che il taglio del parlamento, visto come un elisir di lunga vita per il governo, è probabilmente destinato a farlo cadere e potrebbe aprire la strada alle elezioni anticipate, tanto più che chi governerà gestirà ingenti risorse italiane ed europee.
Poco importa se regioni con il doppio e più degli abitanti o tutti gli italiani all’estero avranno meno rappresentati del solo Alto Adige, conta che la destra tenterà di conquistare ad ogni costo la maggioranza per mettersi nelle condizioni di eleggere il futuro Presidente della Repubblica, che diventerebbe così non più garante supremo della Costituzione e dell’equilibrio tra i poteri ma verrebbe trasformato nel capo della parte politica che ha conquistato la maggioranza. Veramente il M5Stelle pensa con il taglio del parlamento di fermare la destra? Non comprende che prepara in questo modo lo smottamento verso il presidenzialismo e la sua stessa irrilevanza politica? Veramente il Pd, Leu, le altre forze democratiche presenti in parlamento e fuori sono convinte che accontentare, per di più senza convinzione, il M5Stelle aiuterà il decollo di una nuova fase politica? Solo un grande timore, ai limiti dell’irrazionale, può spingere ad appoggiare scelte come questa che porterà sugli altri partiti della maggioranza non solo l’ombra del capovolgimento di posizione – senza mai avere dato una reale motivazione – che ha reso possibile l’approvazione del taglio del parlamento nella quarta lettura parlamentare. Dopo questa piroetta politica anche il taglio effettivo del parlamento? L’avvio di una fase politica che offre alla destra l’opportunità di tornare al governo nel modo peggiore dovrebbe imporre a tutti un rinsavimento. Non si cambia la Costituzione, tanto più sul ruolo del parlamento senza prendersi una grave, storica, responsabilità che può portare a snaturarla, a cambiarla radicalmente. Eppure era stata definita nel programma del centro sinistra la Costituzione più bella del mondo.
Ci saranno pure ragioni importanti se l’Anpi ha già detto No e prepara una posizione per il No in cui spenderà figure di grande prestigio. Fermarsi è ancora possibile. Anzitutto per i ricorsi in campo. Quello del Comitato per il no al taglio del parlamento, quello dei senatori che hanno promosso il referendum e ora il conflitto presso la Corte promosso dalla regione Basilicata. In ogni caso se si dovesse arrivare al referendum comunque, per respingere questa deriva basta votare No: per la Costituzione contro il populismo e l’opportunismo. Quello che non riescono a fare le forze politiche dovranno farlo persone che non hanno interessi particolari da difendere ma forti convinzioni, che organizzando la campagna per il No, a fianco di importanti soggetti che si stanno schierando, come l’Espresso, potranno fare appello alla mobilitazione delle coscienze in nome della Costituzione perché votino No. Forse anche chi ufficialmente si dichiara a favore di questa controriforma inizierà a convincersi che a volte rispondere a scelte complicate con l’opportunismo non è la scelta più conveniente ma la peggiore.
Basta fare vincere il No per rimediare.