Il taglio del numero dei parlamentari è tornato in primo piano malgrado nei mesi scorsi, durante tutto il percorso parlamentare, l’argomento sia stato sottovalutato e perfino nascosto, volutamente.
Come è noto era prevista per settembre la quarta votazione (due per ogni camera) prevista per le modifiche della Costituzione. La maggioranza gialloverde, che ormai è dissolta, ha imposto con un voto di maggioranza una versione di questa modifica della Costituzione inaccettabile nelle motivazioni, nel merito e per lo stretto legame con la legge elettorale, già approvata in anticipo e pronta ad entrare in vigore dopo l’approvazione definitiva del taglio dei parlamentari.
Inaccettabile perché le motivazioni nascono essenzialmente da un atteggiamento anti istituzionale e di sottovalutazione del ruolo della rappresentanza parlamentare nella democrazia. Infatti non a caso la nostra Costituzione attribuisce al parlamento un ruolo centrale nell’assetto istituzionale, con il compito di fare le leggi, strumento che dovrebbe guidare l’azione dei governi e dare indicazioni alla stessa magistratura che notoriamente ha come unico vincolo le leggi. Invece in questi anni è prevalsa la tesi di dare centralità al governo che attraverso decreti legge, spesso senza reale urgenza, voti di fiducia e regole vessatorie verso l’autonomia dei singoli parlamentari, leggi elettorali in cui l’elettore non può decidere la persona che lo rappresenterà, finendo con il soggiogare di fatto il parlamento.
Quando il governo diventa centrale e il parlamento è di fatto subalterno anche l’autonomia degli altri poteri dello stato entra in sofferenza perché i nuovi autocrati vogliono consenso e sono insofferenti alle critiche. Salvini ne è l’incarnaziona attuale. Siamo arrivati al punto che il parlamento ha dovuto approvare alcuni mesi fa la legge di bilancio a scatola chiusa, senza conoscerla e quindi senza poterla modificare. Purtroppo la maggioranza giallo verde ha ingigantito i difetti già esistenti.
Tagliare il numero dei parlamentari è coerente con questa scelta. Significa in pratica che il difetto principale sta nel parlamento, nel suo numero, senza alcun riguardo per la sua funzione, concedendo uno scalpo al diffuso qualunquismo populista. E’ evidente che il parlamento oggi funziona male, ma occorre chiedersi la ragione. La ragione sta nel fatto che leggi elettorali successive hanno reso l’elezione dei deputati e dei senatori dipendente dai capi partito, al massimo dai capi fazione. Il posto in lista è quello che conta per essere eletti e la decisione spetta viene dall’alto. I capi decidono sulla base della fedeltà dei parlamentari, a volte sbagliano ma l’errore è la conferma della perversione del meccanismo. Infatti quando il M5Stelle ha guidato questa modifica della Costituzione, dimenticando che solo il 4 dicembre 2016 c’era stato un referendum che a maggioranza aveva detto no a deformazioni della Carta fondamentale della nostra repubblica, ha portato motivazioni ridicole come il risparmio nei costi e maggiore efficienza. Due balle colossali. Il risparmio nel funzionamento della democrazia non può essere un criterio, altrimenti chi è contro la democrazia potrebbe proporre un risparmio ancora maggiore chiudendo il parlamento duramente conquistato con la sconfitta del nazifascismo.
L’efficienza dei lavori parlamentari non dipende dal numero dei rappresentanti ma dai regolamenti di funzionamento, dall’autonomia dei singoli parlamentari che dovrebbero rispondere agli elettori ma non lo fanno, dalla qualità degli eletti, dal bicameralismo paritario, il numero non è rilevante. Anzi il problema è che con questa riduzione i partiti minori di oggi e di domani verrebbero spazzati via. Sarebbe un altro discorso affrontare il problema del bicameralismo paritario affidando solo alla Camera dei deputati il compito di rappresentare i cittadini e di fare le leggi, ma per farlo sarebbe indispensabile approvare una legge elettorale che sia fondata sul proporzionale e con la possibilità per gli elettori di scegliere la persona che dovrà rappresentarli. Il rapporto di fiducia migliorerebbe.
Zingaretti ha ragione a dichiararsi indisponibile a votare in quarta lettura il testo portato avanti dalla maggioranza giallo verde e Di Maio sbaglia a proporre un continuismo improponibile, dal momento che questi contenuti sono inaccettabili.
Una nuova maggioranza e un nuovo governo che evitino le elezioni anticipate e che blocchino la destra reazionaria di Salvini sono una necessità, ma per realizzare questo obiettivo occorre che con i suonatori cambi lo spartito.
L’argomento della riduzione dei parlamentari può essere affrontato purchè sia una cosa seria, con la premessa che deve servire a rafforzare il ruolo del parlamento, la sua centralità e se ne può discutere partendo dal superamento del bicameralismo paritario.
Ferrara e Rodotà in anni lontani proposero una sola camera legislativa eletta con legge proporzionale e eletti scelti dagli elettori. Anche in questo caso ci sarebbe una riduzione ma il risultato istituzionale e politico sarebbe molto diverso. Senza dimenticare che la seconda camera potrebbe diventare come il Bundesrat tedesco che è la camera delle regioni, nella quale il regionalismo differenziato voluto dalla Lega non passerebbe mai.
E’ inevitabile ripartire da capo, ma se il governo deve durare fino alla fine della legislatura il tempo c’è e sarebbe bene iniziare dall’approvazione di una nuova legge elettorale proporzionale, per evitare che un qualunque deragliamento nei prossimi mesi ci porti a votare con il rosatellum peggiorato nella versione Calderoli, per chi ha memoria corta quello del porcellum.