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La banalità del male: tagliare il numero dei parlamentari per fare cassa
.:: Alfiero Grandi Pubblicato in data:  30/04/2019  18:28:59, in Politica, letto 772 volte

Cambiare la Costituzione rischia di essere l’inizio di un cambio profondo della democrazia del nostro paese, delle sue regole, dei suoi conflitti, della loro composizione. I cambiamenti della Costituzione di cui si sta discutendo in parlamento aprono scenari di cui non vengono ad oggi valutate tutte le conseguenze, alcune sono certamente preoccupanti.

Si è già detto molto della cosiddetta autonomia regionale differenziata, la cui attuazione voluta dalla Lega assomiglia alla vecchia secessione di impronta leghista in Lombardia e Veneto. La Lega che si vuole accreditare come partito nazionale e per di più sovranista proprio ora preme per un’autonomia portata all’estremo di due delle regioni più importanti, al punto che il Ministero dell’Economia ha preteso che nei patti che si stanno discutendo tra Governo e quelle regioni vi sia una clausola catenaccio che vieta l’aumento della spesa, di conseguenza ogni euro in più a queste regioni verrebbe sottratto alle altre regioni, in particolare del mezzogiorno, in barba alla solidarietà tra aree più forti e ricche e aree più deboli del nostro paese. Questo ha fatto parlare di secessione dei ricchi

In questa sede tuttavia pongo l’accento sulla riduzione del numero dei parlamentari. La discussione su questa importante modifica della Costituzione è assolutamente al di sotto della sua importanza e investe direttamente – in negativo – il ruolo del parlamento. Da anni è prevalsa l’opinione che in Italia il problema di fondo sia rafforzare il ruolo del governo. Ammesso che questa riflessione avesse un fondamento anni or sono, ora il ruolo del governo è certamente debordante.

Il governo da almeno due decenni usa a piene mani i decreti legge, che come è noto entrano immediatamente in vigore e debbono essere convertiti entro 60 giorni dal parlamento.

I governi invocano ragioni di urgenza che in realtà spesso non ci sono con il risultato di intasare il lavoro delle camere, di cui nei fatti i decreti decidono l’agenda e i tempi. Questo governo non fa eccezione. Anzi ha imparato in fretta che l’intreccio tra decreti legge e voti di fiducia può trasformare rapidamente i parlamentari in soldatini del voto (a favore, ovviamente), perfino le giravolte politiche e le contraddizioni del governo vengono scaricate sul parlamento, come nel caso della legge di bilancio alla fine del2018, che i parlamentari hanno votato a scatola chiusa, senza poterla leggere e tanto meno modificare. Un uso centralizzato della scelta delle candidature prima delle elezioni e ora la richiesta a raffica di voti di fiducia e di minacce ai dissidenti sta modificando il rapporto tra governo e parlamento. Il governo, secondo Costituzione dovrebbe essere una sede politica di indirizzo e l’esecutore delle decisioni parlamentari. Ora è un mondo capovolto: il governo decide e i parlamentari (della maggioranza) debbono approvare, piaccia o non piaccia, perfino a scatola chiusa.
Nel governo poi c’è un direttorio ristretto, composto da presidente del Consiglio e i due vicepresidenti, che di volta in volta può essere allargato a qualche ministro di maggiore peso come quello dell’Economia, che in verità ultimamente viene strattonato per obbligarlo ad accettare scelte che evidentemente non condivide.

I due vicepresidenti del Consiglio sommano al loro ruolo di riferimento nel governo quello di capi dei rispettivi partiti, che gestiscono in modo assolutamente centralizzato e autoritario. Così il gioco è fatto: un gruppo ristretto decide le scelte del governo e il governo impone le sue decisioni al parlamento a cascata.

La democrazia parlamentare disegnata nella nostra Costituzione con questa prassi è destinata a cambiare in modo sostanziale. Poi ci si meraviglia se i parlamentari svolgono un ruolo non adeguato alle aspettative: è esattamente quello che si vuole.
Del resto una democrazia in cui il parlamentare è autonomo, pensante e usa i poteri che gli attribuisce la Costituzione opera in dialettica con il governo che ha un compito più impegnativo ma diverso e questo è il sale della democrazia.

D’altro canto non è casuale che ci sia anche insofferenza verso l’autonomia della magistratura, che si vorrebbe prona all’affermazione che prendere voti dovrebbe rendere intoccabile chi ha responsabilità politiche.

La riduzione del numero dei parlamentari dovrebbe essere parte di una visione alta del funzionamento della democrazia, invece è motivata con il risparmio dei loro stipendi, punto. Questo non vuol dire che non ci possano essere revisioni del numero, ma dovrebbero essere motivate con ragioni di fondo sul funzionamento della democrazia di cui il parlamento è nella nostra Costituzione un asse portante.

Inoltre pochi hanno notato che alla proposta di ridurre il numero dei parlamentari con la sola motivazione di risparmiare è abbinata una legge che vuole rendere eterna l’attuale legge elettorale (rosatellum) che sottrae di fatto agli elettori la possibilità di decidere i loro rappresentanti, perché se voti il partito ti prendi il parlamentare che a sua volta si porta dietro altri parlamentari e tutti i nomi sono decisi dal capo del partito.

Rodotà anni or sono aveva ipotizzato che si potesse arrivare ad avere la sola Camera dei deputati, purché fosse eletta con legge proporzionale e garantendo la possibilità agli elettori di scegliere i loro rappresentanti direttamente. È una visione che portava a ridurre il numero dei parlamentari di un terzo, ma in un quadro di allargamento della democrazia e di stabilizzazione del rapporto tra parlamento, governo ed elettori.

Ci possono essere altre proposte con cui affrontare i problemi, ma non si può ridurre nel modo oggi proposto il numero dei deputati e dei senatori rendendo il parlamento definitivamente subalterno al governo e non in grado di svolgere il ruolo previsto dalla Costituzione. Per di più resta l’eco delle dichiarazioni che hanno sostenuto che il ruolo del parlamento sarebbe in esaurimento. Così è bene non dimenticare che nel programma del centro destra c’è l’elezione diretta del presidente della Repubblica, cioè il presidenzialismo, che sarebbe un capovolgimento della Costituzione nata dalla Resistenza.

Il nostro paese deve affrontare serie emergenze ma anche il sistema di regole democratiche definito dalla Costituzione lo è, perché le scelte istituzionali delineano il quadro in cui si decidono le soluzioni. La camicia di forza di pochi capi che decidono tutto è troppo stretta per funzionare.

La Camera tra non molto dovrà decidere se confermare la riduzione dei parlamentari nella versione banalizzante decisa dal Senato e di rendere eterno il rosatellum. È sperabile che la Camera cambi il testo e colga l’occasione per riaprire la discussione sul ruolo del parlamento. Se invece approverà il testo così com’è almeno il parlamento eviti un’approvazione con i 2/3 che sarebbe tale da impedire che i cittadini possano chiedere il referendum costituzionale e votare.

Alfiero Grandi