Quanto è avvenuto in parlamento a fine anno è grave. Il merito delle misure della legge di stabilità è già discutibile ma molto peggio è il percorso scelto dal governo per la sua approvazione, che ha inferto un duro colpo al ruolo del parlamento, costretto ad approvare la legge senza conoscere il contenuto delle norme approvate. È vero che in passato c’è stato un ricorso esagerato ai decreti legge e ai voti di fiducia, perfino in occasione dell’approvazione della legge elettorale voluta da Renzi e non sono mancate neppure forzature ai regolamenti parlamentari. Sono precedenti negativi, ma questo non giustifica le imitazioni, tanto più che questo governo si è autoproclamato del cambiamento ed è inaccettabile che abbia rapidamente fatto ricorso alle stesse forzature criticate in precedenza. Finora il parlamento non era stato costretto ad approvare una legge senza conoscerla, come è avvenuto con l’approvazione della legge di stabilità. La legge è stata scritta dal governo (non tutto) e dai suoi tecnici, nei limiti finanziari concordati con la Commissione europea, che hanno costretto a cambiare le misure proposte fino a poco prima.
I tempi stretti per l’approvazione della legge di stabilità sono stati la conseguenza degli errori del governo che prima ha tentato un braccio di ferro con la Commissione, poi ha cambiato radicalmente posizione e di conseguenza è stato costretto a cambiare i contenuti della legge di stabilità. Legge che in precedenza la Camera aveva approvato con il voto di fiducia in un testo molto diverso e che un ulteriore voto di fiducia ha modificato radicalmente. Queste giravolte del governo sono state scaricate brutalmente sul ruolo del parlamento. Non una parola di autocritica per giustificare il voltafaccia. Ai parlamentari è stato impossibile conoscere, esaminare e discutere le misure proposte a scatola chiusa dal governo. Così si spiega che la norma che ha aumentato l’Ires agli enti non profit sia stata dichiarata (solo dopo l’approvazione) un errore dal governo che l’aveva proposta, con un impegno a modificarla. Quanti altri punti dovranno essere modificati ? Questo accade quando il parlamento non è messo nelle condizioni di esaminare con attenzione le norme di legge. Rendere impossibile ai parlamentari l’esame e la discussione della legge di stabilità è stato un salto negativo grave, che ha mortificato, in uno dei ruoli fondamentali, il parlamento, che è secondo Costituzione l’architrave del nostro sistema democratico rappresentativo.
Lo sciame sismico di questa scelta sbagliata ha portato i l M5S ad un primo gruppo di espulsioni dei parlamentari che avevano semplicemente chiesto il rispetto del ruolo del parlamento. È un segnale di difficoltà. Pessima la scelta di intaccare il ruolo del parlamento e ancor peggio è cacciare dalle proprie fila chi legittimamente, Costituzione alla mano, ha chiesto di poter esercitare il proprio ruolo di parlamentare. Così non è più la rappresentanza del popolo che decide, per usare un termine caro a Di Maio, ma è l’imposizione di un comando dall’alto, ad ogni costo. Eppure Fico, nel discorso di insediamento come presidente della Camera, aveva preso un chiaro impegno a difendere il ruolo del parlamento, e finora non c’è riuscito.
Dopo questa grave forzatura ora si discute dell’attuazione dell’articolo 116 della Costituzione. La Lega preme per arrivare ad un consistente regionalismo differenziato con cui dare risposta ad antichi sogni leghisti e questo avrebbe come risultato di rompere l’unitarietà dei diritti che lo Stato, attuando la Costituzione, dovrebbe garantire in tutto il paese, a tutti i cittadini: sanità, istruzione, ecc. Inoltre il M5S preme per abolire la norma costituzionale che prevede che i parlamentari non abbiano vincolo di mandato, cioè siano liberi di votare secondo coscienza. Quanto abbiamo appena visto la dice lunga sul fatto che i parlamentari diventerebbero definitivamente dei meri approvatori di decisioni sequestrate dal governo.
Anche le norme sui referendum propositivi, già presentate, non vanno bene. Una minoranza attraverso la proposta di un referendum propositivo di fatto obbligherebbe le Camere ad approvare la proposta, che altrimenti verrebbe sottoposta comunque a referendum, prevedendone addirittura due in concorrenza tra loro: uno sulla proposta dei referendari, l’altro sulla legge del parlamento e questo porterebbe alla cancellazione di fatto del ruolo del parlamento, contrapponendo il parlamento ai cittadini. Tutto questo senza prevedere un quorum di validità del referendum, quindi una minoranza finirebbe per imporre la sua volontà alla maggioranza dei cittadini. Infine sta arrivando la proposta di riduzione dei parlamentari, motivata solo con la riduzione della spesa, senza alcun ragionamento su quanti ne servano per rappresentare gli elettori. Eppure il parlamento è il fulcro della nostra democrazia costituzionale.
Forse Di Maio ancora sottovaluta che sullo sfondo di questo coacervo di modifiche, seppure presentate in modo separato, c’è il rischio concreto che arrivi la modifica più radicale, in senso presidenzialista, del nostro ordinamento, che certo non dispiacerebbe a Salvini. Forse a palazzo Chigi c’è un virus che colpisce molti dei suoi inquilini, a cui non fanno eccezione Di Maio, Salvini e Conte, ed è la tentazione di cambiare la Costituzione. Che senso ha oggi imbarcarsi in un altro percorso di modifiche della Costituzione, quando il vero ed irrisolto problema, come ha dimostrato la legge di stabilità, è la (in)capacità di governare e di evitare di mettersi in buca da soli con sbruffonate controproducenti?
Se proprio il governo e la maggioranza vogliono affrontare problemi istituzionali urgenti portino in parlamento la proposta di una nuova legge elettorale che ridia ai cittadini la libertà di scegliere i loro parlamentari, senza più forzature e candidati calati dall’alto, con una rappresentanza sostanzialmente proporzionale. Non si era detto che questa è la tipica materia da inizio legislatura? Siamo all’inizio, quindi parliamo di legge elettorale e lasciamo in pace la Costituzione. Se questo tentativo di revisione costituzionale proseguirà sarà inevitabile per tutti affrontare gli appuntamenti con ben altro atteggiamento.
Di Maio dovrebbe ricordare che c’è stato un referendum il 4 dicembre 2016 e se decide di infilarsi di nuovo in questo percorso è libero di farlo ma le energie che hanno condotto la battaglia nell’ultimo referendum costituzionale contro Renzi sono pronte a riprendere l’iniziativa per difendere la Costituzione e la democrazia italiana contro nuovi tentativi. Lo hanno fatto in passato senza chiedersi se avrebbero vinto solo perché era giusto farlo, possono farlo di nuovo perché è doveroso bloccare gli attacchi alla Costituzione, da qualunque parte vengano.
Di Maio dovrebbe essere più cauto nel difendere il decreto sicurezza voluto da Salvini e che di cui M5S ha concesso l’approvazione, sbagliando. I profili di incostituzionalità del decreto Salvini sono evidenti come ha messo in luce un gruppo significativo di sindaci e la vita dei migranti è ora messa a rischio in mare, non solo per un pregiudizio ideologico ma più terra terra per tenere in piedi ad ogni costo un patto di potere per restare al governo, che è la sostanza di questa maggioranza. Come ci ricordano, purtroppo, i migranti che da giorni sono in mare senza trovare un approdo sicuro per mettere fine alle loro sofferenze.
Governo del cambiamento? Se prosegue così, in peggio.
Alfiero Grandi