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Introduzione integrale di Alfiero Grandi al dibattito promosso dall'Ars su COALIZIONE SOCIALE E ALTERNATIVA POLITICA 6 maggio 2015, Roma Roma 6/5/2015
.:: Alfiero Grandi Pubblicato in data:  13/05/2015  10:48:23, in Politica, letto 1221 volte

La discussione di oggi era pensata per affrontare 2 aspetti diversi ma connessi come la proposta di coalizione sociale, in quanto è uno dei tentativi di settori della società di riconquistare capacità di iniziativa, in rapporto all'esigenza di un'alternativa politica di fronte ad un'evoluzione sostanzialmente neocentrista del governo presieduto da Renzi.

La proposta di creare una coalizione sociale ha scatenato reazioni, talvolta rabbiose, tese a rappresentare questa proposta come l'inizio della formazione di un altro partito di sinistra, malgrado le numerose smentite di Landini. Questa reazione probabilmente è dovuta alla potenzialità di mobilitazione e di unificazione di diverse soggettività, che il pensiero oggi egemone non tollera perché ne avverte le pericolosità.Stupisce che Giorgio Napolitano non abbia avvertito che dopo anni di colpi pesanti a occupazione, salari e diritti dei lavoratori in Italia la coalizione sociale è uno dei tentativi di rimettere in campo le forze del lavoro, collegandole ad altre, per contrastare l'affermazione di un potere unilaterale di decisione sia politico sia nelle imprese, che scarica sul lavoro e sulle aree più emarginate il peso della crisi. Tanto è vero che malgrado la crisi la divaricazione sociale nella distribuzione della ricchezza e dei redditi è cresciuta ulteriormente.L'alternativa politica, necessaria per contrastare un'evoluzione politica neocentrista di cui è emblematica la formula del partito della nazione, è l'altro aspetto di grande attualità. Un partito della  nazione evidentemente non può rappresentare una parte, né tanto meno la parte dei lavoratori.Un'alternativa politica di cui sia protagonista la sinistra - di cui la proposta di coalizione sociale ripropone con forza l'esigenza ma che non coincide con essa - non è in questo momento visibile e ne vogliamo indagare le ragioni e le possibili soluzioni. Volevamo concentrare la riflessione su questo rapporto, ma la decisione di Renzi di mettere la fiducia sulla legge elettorale, atto che come sappiamo ha pochissimi precedenti, ha impresso un'accelerazione alla situazione e ci impone di indagare questo rapporto nel vivo di uno scontro politico che può segnare le sorti future della nostra Repubblica nata dalla Resistenza.

 1)La forzatura del governo Renzi sulle modifiche della Costituzione e sulla legge elettorale.

Quanto è avvenuto alla Camera sull'Italicum ha impresso un'accelerazione e drammatizzato il quadro politico che è diventato ancora più aspro, come dimostra la rottura senza precedenti all'interno del Pd, e ha ristretto i tempi delle risposte che occorre mettere in campo, a meno di ritenere perduta tutta questa fase politica.

La forzatura politica voluta da Renzi è evidente, ha più volte affermato che si voterà solo nel 2018 e per di più la legge entrerà in vigore tra più di un anno, quindi non c'erano ragioni per imprimere questa accelerazione e tagliare di netto il filo del confronto nel pd e con le altre forze politiche, intellettuali, sociali.

Mettere la fiducia sulla legge elettorale è stata una forzatura voluta, un salto di qualità nell'atteggiamento fin qui tenuto dal governo Renzi, che pure ha già fatto forzature. Il governo ha "sequestrato" le riforme istituzionali e negato al parlamento il ruolo da protagonista che dovrebbe avere nell'affrontare i problemi costituzionali, o di rango costituzionale come la legge elettorale. Il salto di qualità sta nella ricerca di Renzi di costruire un sistema di potere decisionale personale, senza potenziali contrasti per un'intera legislatura. La governabilità e quindi le decisioni del governo diventano prevalenti sulla rappresentanza e in particolare lo diventa il potere personale di Renzi che costruisce così un sistema decisionale cucito sulla sua persona, anche se potrebbe scoprire che si attaglia anche su altri.

L'obiettivo di Renzi è un voto ogni 5 anni per governare, escludendo la possibilità di interferenze che non siano quelle dei poteri economici e poltici che lo stanno appoggiando in Italia e all'estero.

Il parlamento ha votato sotto un aperto ricatto: la minaccia di scioglimento delle camere, così il governo è arrivato ad ottenere il suicidio del Senato e ora l'approvazione della legge elettorale.

In realtà con l'elezione del Presidente Mattarella il potere di decidere le elezioni anticipate è saldamente nelle mani del Quirinale e quindi questa minaccia non è così attuabile come Renzi vorrebbe fare credere e altri trovano comodo subire. Il ricatto poteva essere respinto e non ha torto chi afferma che il rischio di elezioni anticipate, se di rischio si può parlare, non è meno forte con il governo che ha vinto la prova di forza della legge elettorale, al prezzo di una lacerazione profonda del Pd.

Questo parlamento, eletto con una legge dichiarata non costituzionale dalla Corte, fin dal suo esordio si è dimostrato incapace di dare vita ad un quadro politico fondato su un'alternativa tra destra e sinistra, chiudendo la fase delle coalizioni innaturali che pure era la chiave delle elezioni del 2013, fino ad arrivare a far cadere diverse candidature per la Presidenza della Repubblica, tra cui spicca la bocciatura di Romano Prodi. Canidatura affondata da una parte rilevante di quel Pd che pure Prodi ha voluto e fondato.

Purtroppo alla caduta del governo Berlusconi nel 2011 anziché rimettere immediatamente il giudizio agli elettori il Presidnete Napolitano ha preferito insistere sulla continuità della legislatura. Poteva scegliere un governo per il tempo strettamente necessario per bloccare la speculazione con provvedimenti urgenti, mentre il governo Monti è diventato l'apripista di una fase politica che dura tuttora in cui il Pd e il centro destra hanno governato insieme in varie forme, smarrendo per strada l'alternativa politica tra destra e sinistra. Il governo Renzi è l'ultima versione di questa fase politica.

Renzi è arrivato ad affermare che senza l'approvazione della legge elettorale ci sarebbe stata l'anarchia, tipico argomento della destra, in genere usato per giustificare derive autoritarie. Questo atteggiamento risponde in realtà al dualismo semplificato: o con me o contro di me.E' sbagliato e strumentale insistere sull'argomento che legge elettorale e modifiche della Costituzione sarebbero argomenti lontani dalla vota reale delle persone. Questo è quello che si vuole far credere per consentire che, nella disattenzione generale, vengano compiuti misfatti come la modifica dell'articolo 81 della Costituzione, approvata a tambur battente e con una velocità mai vista, che oggi obbliga il bilancio del nostro paese a restrizioni che impediscono di sostenere la ripresa e l'occupazione. Il bello è che il governo italiano chiede, o finge di chiedere, a livello europeo il contrario di quanto sta scritto nelle norme italiane.

Purtroppo l'iniziativa referendaria che poteva riaprire il capitolo della modifica dell'articolo 81 non ha raccolto le firme necessarie per sottoporre al paese la questione e anche la raccolta di firme a sostegno della legge di iniziativa popolare per modificare l'articolo 81 a quanto risulta non ha purtroppo il sostegno che meriterebbe. Lo ricordo perché a proposito della legge elettorale è già stata lanciata la proposta del referendum abrogativo. Proposta che potremmo condividere alla condizione che questa iniziativa non faccia la stessa fine di quella sull'articolo 81. Se si parte bisogna avere piena consapevolezza della posta in gioco e un'altra toppa sarebbe insopportabile.

E' vero che le preoccupazioni prioritarie dei cittadini sono sviluppo, occupazione, disagio sociale, istruzione, ecc. ma è altrettanto vero che per affrontare questi ed altri porblemi occorrono interventi delle istituzioni, cioè iniziative politiche, a partire da quelle del governo e del parlamento, che hanno il compito di affrontare i problemi e dobbiamo ricordare che i comportamenti dipendono in larga misura dagli effetti delle regole sulla rappresentanza. L'impressione è che il governo Renzi si renda conto che i risultati che ha promesso sono tuttaltro che certi e non basterà certo una martellante propaganda del Presidente del Consiglio a cambiare la realtù delle cose. Per questo a fronte di una società italiana sofferente, frantumata, impoverita quindi difficile se non impossibile da governare senza dialogo e confronto, Renzi punta a regole che consegnino al governo decisioni inappellabili, obbligando la società a subire la camicia di forza delle decisioni politiche del governo. Dopo avere usato a piene mani la demagogia dell'antipolitica per sfondare ora la proposta istituzionale del governo è quanto di più politicamente accentrato si possa immaginare.

Altri dovranno forse giustificare cambi di opinione su legge elettorale e modifiche della Costituzione, noi no. Abbiamo sempre pensato che la Costituzione è un bene prezioso di questo paese, scaturita non a caso da una temperie terribile come la Resistenza. Abbiamo sempre pensato che eventuali modifiche andavano fatte con la necessaria prudenza e con la partecipazione necessaria. Altri no. Abbiamo sempre pensato che il porcellum fosse una porcheria senza nasconderci che anche a sinistra qualcuno l'ha trovato comodo per selezionare chi doveva essere eletto e il centro sinistra ha sbagliato a non modificarlo quando poteva farlo, quanto meno tornando ad un sistema elettorale in cui l'elettore poteva decidere se votare o no un candidato.

Se le regole istituzionali consentiranno di stravolgere la prima parte della Costituzione, i diritti sanciti da leggi e di affermare nuove priorità ideali e sociali, come gli imprenditori definiti "eroi del nostro tempo" da Renzi, ignorando, tanto per fare un esempio, i disoccupati che vivono una condizione disastrosa sul piano personale, sociale, perfino psicologico.Le modifiche della Costituzione e la nuova legge elettorale, sono tra loro fortemente intrecciate e hanno come punto di riferimento il sistema elettorale per i Comuni, del resto è chiaramente scritto nel libro di Renzi del maggio 2013, che contiene alcuni ingredienti fondamentali: candidatura a governare, affermando un presidenzialismo di fatto, come del resto ha chiarito D'Alimonte, riducendo di conseguenza drasticamente i poteri del Presidente della Repubblica, con un abnorme premio di maggioranza, ed un eventuale ballottaggio che può portare a 340 seggi un partito che pur partecipando allo spareggio ha avuto al primo turno una percentuale di voti molto più bassa.

Il problema è che la nuova legge elettorale per la Camera, unica sede parlamentare che dovrebbe dare la fiducia al governo, è contro la sentenza della Corte Costituzionale e non risponde alle motivazioni che l'hanno portata a stroncare il porcellum, mantiene infatti un abnorme e per di più erratico premio di maggioranza e non garantisce l'elettività di tutti i suoi componenti. E' vero che la Costituzione è già stata pesantemente contraddetta anche sull'articolo 11 e rischia di essere contraddetta di nuovo stando alle dichiarazioni guerresche del Ministro della Difesa e del Presidente del Consiglio sulla Libia che si sono lanciati in proposte che fanno eco a deliri della destra nostrana.

Un conto è una discutibile legge elettorale per i comuni, altro è trasferire un assetto nella sostanza presidenzialista a livello nazionale con l'obiettivo non tanto di garantire la governabilità, quanto per avere la possibilità di imporre senza incontrare ostacoli le decisioni del governo affermando un potere personale finora sconosciuto nel nostro paese e cha fa a pugni con la Costituzione nata dalla Resistenza. Alla fatica di un governo partecipato e capace di comporre i conflitti si sostituiscono le decisioni imposte unilateralmente, come sanno bene i sindacati che già hanno sperimentato sulla loro pelle decisioni unilaterali del governo in materie fondamentali come diritti e mercato del lavoro. A questo obiettivo rispondono non solo la deriva dei decreti legge a raffica che intasano già oggi i lavori parlamentari ma la novità delle proposte di legge che il governo ha il diritto di fare votare entro tempi certi prevista dalle modifiche costituzionali.

Le modifiche della Costituzione relegano il Senato ad una sorta di dopolavoro di lusso, con componenti non eletti dai cittadini ma con poteri rilevanti, visto che partecipano all'elezione del Presidente della repubblica, della Corte costituzionale e alle modifiche costituzionali, più altri compiti di rilievo. Poteri che di fatto il futuro Senato non riuscirà ad esercitare autonomamente, diventando un'appendice subalterna della maggioranza della Camera dei deputati. La Camera dei deputati a sua volta sarà sostanzialmente subalterna al governo. In prospettiva la Corte e il Presidente della repubblica saranno espressi dalla stessa maggioranza prefigurando un sistema di governo, e di potere, senza contrappesi adeguati nel sistema istituzionale. Dispiace che Barbera sminuisca il ruolo dei contrappesi. Negli Stati Uniti il contrappeso al Presidente, dotato di ampi poteri, sono anzitutto un Senato e una Camera dei rappresentanti che sono eletti in modo del tutto disgiunto dal Presidente, per non parlare del rapporto tra il livello federale e gli stati.

Le modifiche istituzionali (Costituzione e legge elettorale) sono per il Governo la condizione per governare in modo unilaterale, imponendo decisioni senza appello, con una concentrazione di potere personale rilevante, in grado di raccogliere i suggerimenti e le ispirazioni (non solo all'orecchio) che vengono dai ceti dominanti e in particolare da Confindustria, come sta già avvenendo, il cui obiettivo è di scaricare i costi della crisi prima e della ripresa poi sulle aree marginali della società e sui lavoratori, riaffermando una gerarchia sociale che è ben rappresentata dalla ripartizione della ricchezza che è nelle mani del 10% più ricco del paese per quasi il 50% ed è tuttora in crescita. Gerarchia sociale che ritroviamo pari pari nella proposta del governo sulla scuola che vuole imporre negli istituti una gerarchia, il preside, che finirebbe con il mettere in discussione non solo la dignità degli insegnanti ma la loro autonomia professionale. Per questo come Ars abbiamo aderito pienamente allo sciopero generale della scuola del 5 maggio.

Scelte di questo tipo mettono in discussione inevitabilmente non solo i processi democratici ma i principi stessi della Costituzione. Quindi è sbagliata la diffusa rassegnazione all'inevitabilità di quanto sta accadendo.

Occorre accettare la sfida andando fino in fondo e se non ci sarà altra via dovremo dare battaglia: contro le modifiche della Costituzione nel referendum confermativo preparando una campagna per il no e sottoponendo per tempo all'attenzione della Corte Costituzionale, nelle forme più opportune e senza escludere un eventuale referendum, il pericolo che rischiamo per la seconda volta di andare a votare con una legge elettorale che può di nuovo mettere in discussione la legittimità stessa del parlamento.

 2)La coalizione sociale è una novità e merita attenzione.

In epoca di semplificazioni, per di più strumentali, la fatica di comprendere le complessità è evidentemente tale da scoraggiare l'approfondimento da parte di tanti. Questo non vuol dire guardare soltanto alla proposta della coalizione sociale, che non è esaustiva di quanto si muove nella società. Anche altri settori sono in movimento e - ad esempio - l'iniziativa nella scuola ha toccato un punto decisivo, di grande prospettiva, che riguarda direttamente i giovani. Vogliamo semplicemente cercare di capire cosa effettivamente ci si propone di fare e quali ne siano i fondamenti. Leggendo i documenti elaborati dalla Fiom escono alcuni aspetti con chiarezza: solidarietà come alternativa alla competizione esasperata, democrazia come alternativa a forme tecnocratiche che decidono senza risponderne ai cittadini, lavoro come diritto e non come merce, più un forte rilancio del mutualismo come una delle vie per ricostruire sentieri di unità in un mondo del lavoro sconvolto e frantumato dalla crisi e dalle politiche neoliberali.

Siamo ancora alle premesse, ma la coalizione sociale, per come l'abbiamo capita e per come risulta dai documenti, è un tentativo di risposta all'esigenza di dare continuità agli scioperi generali e alle manifestazioni nazionali non solo della Fiom, ma della Cgil e della Uil. Iniziative che hanno dato voce ad una profonda insoddisfazione del mondo del lavoro, chiamato a sopportare i costi più pesanti della crisi come dimostra il milione di posti di lavoro perduti in questi anni, non solo come conseguenza della crisi economica e occupazionale ma anche per le politiche subalterne dei governi che si sono succeduti (da Monti, a Letta a Renzi) alle direttive dei gruppi dirigenti europei che hanno imposto l'austerità.  I lavoratori hanno subito colpi molto pesanti di perdita di occupazione, di reddito, di diritti e di potere contrattuale e ogni proposta che punta a ridare una prospettiva ai lavoratori a noi sembra positiva, anche quando è parziale, e pensiamo sia giusto aiutarla e sostenerla per migliorarne la qualità.

Del resto il governo Renzi sta cercando da tempo di dimostrare che la luce in fondo al tunnel di cui parlò Monti, ma la vedeva solo lui,  si sta materializzando, anche se in realtà la crisi occupazionale continua, come dimostrano gli ultimi dati che hanno zittito la pochezza del Ministro Poletti, che si era sbilanciato a decantare i successi delle politiche del governo, smentito a breve giro dai dati dell'Istat e dal rosario delle crisi e dei licenziamenti che continua. La crisi, purtroppo, non è risolta, anche se in Europa il QE sta dando qualche risultato, come sempre se il treno della ripresa può partire per merito delle condizioni favorevoli esterne è necessario, in ogni paese, adottare politiche adeguate per poterle utilizzare. Non è la prima volta che l'Italia, contrariamente ad altri paesi, manca l'appuntamento della ripresa, basta ricordare Tremonti. Le difficoltà persistono perché le scelte di Renzi restano ancorate e vincolate alle restrizioni di bilancio imposte dall'Europa, verso la quale viene manifestata un'insofferenza solo verbale. Non sono bastati gli 80 euro ad illuminare il tunnel visto che per finanziarli è arrivato un mix di rinvio dei contratti pubblici, di tagli occupazionali nel settore pubblico, di tagli e di aumenti della tassazione scaricati su Regioni ed Enti locali.Sono sparite le roboanti dichiarazioni sul costringere l'Europa a cambiare linea e sono rimasti i compiti a casa di montiana memoria. Il piano Juncker resta inadeguato come dimensione e soprattutto senza soldi e l'Italia in questo quadro cerca di utilizzare modesti spazi di autonomia di bilancio e di scarsa flessibilità concessa dall'Europa, che non sono in grado di finanziare una ripresa degna di questo nome. Sostenere che con una previsione di aumento del Pil dello 0,7 % nel 2015 ci sarà ripresa economica è una presa in giro, così la nuova occupazione continuerà  ad essere incapace di rimpiazzare i posti di lavoro perduti. Il jobs act e la demolizione dell'articolo 18 confermano di essere un'offa per Confindustria e una rassicurazione per la Bce visto che i punti della lettera

Draghi-Trichet verranno rispettati, ma proprio per questo il nostro paese continua a navigare sul fondo di una crisi non governata e che rischia di demolire definitivamente le prospettive di una intera generazione che non a caso emigra all'estero in modo massiccio. Politiche industriali e di sviluppo non sono all'ordine del giorno, si pensa di risolvere i problemi delegando i vertici delle imprese. Eppure ci sono proposte che potrebbero cambiare rapidamente la situazione, ad esempio per i giovani in vista di politiche più strutturali si potrebbero aprire spazi occupazionali immediati rivedendo l'età pensionabile e rendendo gli straordinari non convenienti mentre oggi la legislazione premia il molto lavoro di pochi. La redistribuzione del lavoro è un problema di straordinaria attualità.Anche per l'occupazione ci sono proposte che potrebbero essere di immediata efficacia, ricordo che Gallino presentò un piano che con 15 miliardi era in grado di creare molta occupazione e lo presentò a fianco di Gennaro Migliore, ma per finanziarlo occorre adottare misure di tassazione sulle rendite finanziarie, verso le quali si preferisce proseguire con la logica dei condoni, intervenire sui grandi patrimoni, sulla lotta all'evasione che a essere buoni si è fermata.

Una politica di ripresa economica richiede una forzatura rispetto ai vincoli di austerità che Renzi, né più né meno dei suoi predecessori, ha dichiarato di volere rispettare, quindi l'Italia resta con una prospettiva di ulteriore riduzione della base produttiva e dell'occupazione, di una ripresa asfittica e senza occupazione, per di più senza diritti. Questa grave situazione pone con forza l'esigenza di approvare rapidamente misure per garantire non solo chi perde o non trova lavoro, che pure è una priorità, ma anche per fare sì che le persone non cadano nella trappola della povertà e quindi occorre approvare misure di sostegno sociale, cioè di garanzia di reddito, generalizzato come sta proponendo Libera. La proposta di coalizione sociale nasce in questo quadro di problemi e tenta di reagire proponendo soluzioni che il sindacato da solo oggi faticherebbe a realizzare. Allude a quella che un tempo si sarebbe chiamata una politica di alleanze. Per questo tenta di connettere risposte portate avanti da soggetti diversi con l'obiettivo di meglio contrastare gli effetti devastanti della crisi, che ha frantumato corpi sociali e reso difficile unificare i lavoratori attorno ad obiettivi comuni.

Il governo Renzi anziché farsi carico di un confronto con il mondo dei lavoratori per contrastare la devastazione prodotta dalla crisi ha preferito mettere in primo piano un atteggiamento sprezzante e di rottura con i sindacati e compiere scelte che hanno ampliato la precarietà, basta pensare all'estensione senza vincoli del tempo determinato e all'attacco ai diritti dei lavoratori di cui il colpo all'articolo 18 è un simbolo, con l'aggravante che a questa perdita di diritti sono stati associati gli sgravi contributivi. Già nelle occasioni di mobilitazione sindacale si è cercato da molte parti di dipingere la forte critica di buona parte del mondo del lavoro con un ruolo di opposizione politico-partitica al governo. Lo ha fatto anche la ministra Giannini verso lo sciopero generale di ieri. La critica politica certamente c'è ogni volta che una scelta viene contrastata e le iniziative sindacali sono una critica nel senso che chiedono un cambiamento delle politiche, del resto questo lo chiarisce anche Giorgio Napolitano, ma l'opposizione politico-partitica è una cosa diversa da proposte come la coalizione sociale e solo l'insufficienza attuale dell'opposizione può dare l'impressione che l'unica opposizione vera in campo sia quella del mondo del lavoro organizzato e che ogni iniziativa che da esso parte sia in vista di uno sbocco politico-partitico. Sarebbe un errore guardare con sufficienza alla coalizione sociale e sarebbe un errore altrettanto grave sottovalutare l'esigenza di avere molte iniziative che mettano in discussione luoghi comuni, situazioni inaccettabili, in poche parole provino a rimettere in discussione i rapporti di forza. Ad esempio le proposte di uno statuto dei diritti dei lavoratori o quella di iniziative per rimettere in causa il jobs act, fino a prendere in considerazione iniziative referendarie, così come le iniziative per rinnovare i contratti di lavoro a partire dal pubblico impiego messo all'angolo da anni di mancato rinnovo dei contratti, sono tutte iniziative condivisibili e da appoggiare.

A questo proposito la critica di Giorgio Napolitano al sindacato che non si sarebbe rinnovato a sufficienza e quindi sarebbe in definitiva responsabile delle proprie difficoltà è ingenerosa. Certo il sindacato ha bisogno di rinnovarsi ma non si può tacere sull'attacco concentrico del padronato, dei governi, dell'Europa ai diritti e alle condizioni dei lavoratori. In altri tempi si sarebbe detto che c'è stata una lotta di classe. Quando si parla di rinnovamento per evitare equivoci occorre indicare un crinale, un discrimine, ad esempio questo significa rinunciare ai diritti o delineare un quadro più ampio e inclusivo ? Il rinnovamento non può coincidere con la rinuncia ai diritti, alla difesa della dignità dei lavoratori ma con l'impegno a rimettere in discussione nelle forme e nei tempi possibili gli arretramenti subiti.

Lo sciopero generale della Cgil e della Uil certamente è stato un momento forte di riconquista di un ruolo nel paese da parte del mondo del lavoro, dopo una fase di appannamento, anche se malgrado questo il governo Renzi ha continuato a fare approvare leggi e decreti attuativi che hanno liquidato diritti conquistati con fatica decenni or sono per i lavoratori assunti a tempo indeterminato, dando sostanzialmente mano libera nell'uso del tempo determinato, lasciata invariata la giungla delle forme contrattuali tanto è vero che a fronte del modesto e parziale superamento dei cocopro è stato introdotto un nuovo contratto che è a tempo indeterminato per finta in quanto incorpora il licenziamento in qualsiasi momento, un contratto che è una contraddizione in termini perché è a tempo indeterminato fintantochè non ne viene decretata unilateralmente la fine dal padrone che però ha comunque diritto all'esenzione contributiva. Né il taglio dei diritti né la drastica riduzione del costo del lavoro sono bastati a fare fare un balzo agli occupati perché come è evidente senza una ripresa economica degna di questo nome l'occupazione non riprenderà in modo significativo e la ripresa non ci sarà senza adeguate risorse per sostenerla. La discussione su 1,6 miliardi di euro da redistribuire non solo è finita dopo l'alt di Banca d'Italia e della Bce ma in realtà non ha mai avuto ragione di essere come ha giustamente detto un titolo di 24 ore che l'ha definita un'arma di distrazione di massa, che anche a sinistra ne ha distratti tanti.

Il nuovo eroe dell'epoca renziana, l'imprenditore, ha ottenuto mano libera nella gestione del rapporto di lavoro e dovrà solo pazientare un po' di tempo in attesa che i rapporti di lavoro esistenti, ancora tutelati dall'articolo 18 già fortemente ridimensionato diventino residuali, fino a scomparire.Come definire queste scelte se non di parte, e certo non dalla parte dei lavoratori, perché ispirate da Confindustria e dal mondo imprenditoriale che chiedeva da tempo mano libera per fare del lavoro il surrogato di quello che fu in passato la svalutazione competitiva della moneta nazionale. Il grave errore che si sta commettendo è la sopravvalutazione della capacità delle imprese di uscire da sole dalla crisi. Non è la prima volta che chiedono mano libera. Anche se ora hanno ottenuto molto, non solo sul lavoro ma anche sul piano fiscale, le politiche necessarie per la ripresa hanno bisogno di misure diverse sul piano quantitativo e qualitativo. Purtroppo questo è un governo con il Presidente del Consiglio segretario del Pd, un partito teoricamente di centrosinistra, che ha approvato leggi che hanno riportato i diritti dei lavoratori indietro di molti anni, superando di slancio iniziative precedenti. Del resto tutta la strategia del governo Renzi è stata di ridimensionare il ruolo del sindacato, affermando che decide il governo ma in realtà lasciando mano libera alle imprese.

 3)Il nodo europeo è ineludibile.

L'Europa di oggi, come del resto ha detto Prodi, è incapace di una politica che traguardi obiettivi importanti e fa correre alla stessa costruzione europea il rischio di una grave crisi. Il ritorno a ottiche nazionali è del tutto evidente, basta guardare all'assenza di risposte adeguate nell'ultimo vertice convocato con grande enfasi sull'immigrazione sotto l'impressione di un mare mediterraneo diventato la tomba per migliaia di persone. L'atteggiamento tenuto sulla questione greca è particolarmente odioso. E' dall'inizio che la questione greca se affrontata per tempo, malgrado le responsabilità dei governi dell'epoca, poteva essere risolta con cifre tutto sommato modeste. Quando si è deciso in ritardo l'intervento il costo si è decuplicato e per di più il costo sociale imposto a questo paese è arrivato a livelli inimmaginabili e insopportabili. In realtà la Grecia è stata usata per "educare" altri paesi compresa l'Italia, in sostanza uno spauracchio, ma per chi lo subisce molto concreto e dramamtico. Ora la Commissione Europea di nuovo sta portando la situazione ad un punto limite, non solo costoso ma che rischia di sfuggire di mano. Chi afferma che l'Euro è in grado di reggere l'uscita della Grecia scherza con il fuoco del condizionamento dei mercati, visto che tutte le iniziative europee e della Bce sono impostate come iniziative di mercato, al punto che ci sono dividendi che derivano dalle disgrazie altrui. La Bce poteva comprare direttamente titoli pubblici degli stati in difficoltà ma ha deciso di non farlo in omaggio alle regole attuali, anziché denunciare trattati sbagliati ha preferito intervenire sui mercati secondari con il risultato che gli stati hanno interessi molto più alti di quelli che potrebbero pagare e gli intermediari finanziari lucrano dalle difficoltà altrui, naturalmente tranne la Germania che beneficia del ruolo di cassaforte dei capitali e ha risparmiato decine di miliardi di euro sul debito e nei prestiti all'economia.

L'uscita dall'euro malgrado tutto non è una proposta convincente e anzi proprio perché l'Euro è una risposta monca e inadeguata all'esigenza di unificare l'Europa si pone il problema di completare il disegno europeo. Forse ragionare meglio su come organizzare anche istituzionalmente l'area euro è necessario perché come ha ricordato Prodi il fallimento della

Costituzione europea ha creato una situazione di paralisi sostanziale. A fronte di una moneta occorre una banca centrale e una sede politica di governo. Anche la proposta di restare nell'Euro per ragioni superiori non convince in quanto è disarmata di fronte ai problemi ed è del tutto evidente che così non si va da nessuna parte. Il primo banco di prova deve essere proprio la Grecia. Purtroppo la sinistra europea è sostanzialmente annichilita in una posizione difensiva. Il Pse in particolare è responsabile di avere detto poche parole e di avere fatto in realtà ben poco per modificare l'atteggiamento sulla Grecia e in questo si è distinto anche il governo Renzi che a parte il regalo di una cravatta si è ben guardato dal contribuire a fare dimenticare il tremendo motto di Monti: noi non siamo come la Grecia. Quindi tra uscita e restare senza combattere c'è il farsi carico di una riforma istituzionale dell'Europa e di un cambiamento dell'asse delle sue politiche, altrimenti ogni volta verrà buttato in faccia il ricatto dell'uscita dall'Euro o dell'accettazione subalterna delle decisioni dell'egemonia conservatrice. V'è l'esigenza di una svolta nelle istituzioni, nei trattati e nelle politiche europee per salvare euro ed Europa.

Anche sui rapporti del governo Renzi con l'Europa siamo alla mistificazione. Dopo avere suonato le trombe del cambiamento delle politiche europee siamo tornati di fatto ai compiti a casa e anzi quando la Grecia ha rotto l'incantesimo riportando la sinistra al governo per risollevare un paese da una crisi epocale aggravata in modo inaccettabile dalle politiche di austerità e in alternativa ad una deriva di destra, il governo italiano, del resto insieme a quello francese e ai socialisti europei, si è girato dall'altra parte, lasciando il governo di Tsipras a vedersela con i centri dell'austerità europea: Commissione e Bce, al punto da fare apparire il Fmi il versante ragionevole dell'austerità.

Dopo scelte che hanno chiaramente indicato che un governo guidato da un leader che si definisce di centro sinistra persegue politiche subalterne all'austerità europea e quindi lascia mano libera alle imprese, si è arrivati al paradosso delle modifiche della Costituzione e della legge elettorale che prefigurano un modello che accentra nel governo i poteri, sequestrandoli alle Regioni e ai comuni. I pifferi che sono andati in Europa sono rientrati e hanno "suonato" le istituzioni nazionali.

 4)occorre un'alternativa politica.

La sinistra pur con le tante, in verità troppe, difficoltà attuali, ha il dovere di preparare un'alternativa politica che risponda ai problemi in campo. Non nel senso di immaginare di fare da sola, cosa per di più impensabile oggi, ma nel senso di darsi un assetto e una linea politica in grado di influire veramente, di riuscire a cambiare le scelte politche di governo. Per realizzare questo obiettivo ha bisogno di uscire dalla marginalità, dalla subalternità, di ingaggiare grandi battaglie. Ho già avuto occasione di ricordare che dopo i referendum vittoriosi del 2011 si è fatto di tutto per farli dimenticare, per non raccoglierne l'eredità, le potenzialità. Eppure la maggioranza netta degli elettori stava cercando punti di riferimento politico e a quel tempo i 5 stelle erano dati ancora al 3 %. La follia della parte maggioritaria della sinistra è stata di trascurare il potenziale politico e di energie che si è espresso in quella occasione, ma anche la sinistra non Pd non è riuscita a raccogliere questa eredità, e il risultato è stato una crescita impressionante del non voto e del voto di critica a tutto il sistema politico. Dopo la situazione è ulteriormente peggiorata. Malgrado questo si è continuato a ragionare nell'ambito dell'orizzonte politico preesistente. I referendum sono stati l'ultima grande occasione di mobilitazione di massa su obiettivi di grande peso politico, anche se non in grado da soli di indicare un'alternativa politica. Per arrivare a questo occorreva un di più di iniziativa politica. L'esperienza deve insegnarci che non è detto che anche iniziative importanti come la coalizione sociale di per sé siano in grado di provocare novità politiche come tutti auspichiamo e se questo non avvenisse anche le esperienze di movimenti importanti finirebbero per non realizzare l'obiettivo di smuovere la situazione, alla fine per ripiegare. Per questo a sinistra dovrebbe intervenire una consapevolezza nuova che guardando oltre gli aspetti non importanti sia in grado di mettere in campo o di sotenere con chiarezza iniziative politiche di massa su punti di grande rilievo. Ad esempio se si arriverà a promuovere il referendum sulla legge elettorale o si arriverà al referendum sulle modifiche costituzionali nella prossima primavera dovrà esserci un'iniziativa convergente di tutta la sinistra senza singoli avanguardismi e senza ritrosie per condurre fino in fondo una battaglia difficilissima, mettendo nel conto che potrebbe essere perdente perché Renzi farà di tutto per farne l'occasione per un plebiscito, forte anche del formidabile sostegno mediatico e culturale che lo sta accompagnando.Quindi nessun aventino, ma un impegno forte per spostare su questo e altri temi l'asse politico.

Le reazioni a quanto sta accadendo sono ancora insufficienti. Ci sono fatti importanti senza dubbio, ho ricordato gli scioperi generali e le manifestazioni. Ora possiamo aggiungere l'importante iniziativa sulla scuola con lo sciopero generale unitario e la partecipazione degli studenti. E' necessario il sostegno ad iniziative che segnino novità per l'occupazione per i giovani, rivedendo l'età pensionabile, chiudendo con la fase degli straordinari più convenienti, riaprendo le assunzioni nel settore pubblico, tutto questo può creare immediatamente spazi occupazionali per i giovani di fronte ad un tasso di disoccupazione giovanile arrivata al 43 %. Non sono iniziative sufficienti ma il cambio di rotta avviene anche partendo da misure come queste.

Proprio quello che si muove nella società ha bisogno di politica e non basta fare massa critica per ottenere risposte. Anzi proprio la possibilità che diverse esperienze rimettano in movimento la situazione pone con urgenza il problema di incrociare una risposta politica adeguata, altrimenti proprio l'affacciarsi di movimenti, di iniziative rischia di accomunare nella critica anche la sinistra che c'è, considerata non in grado di rispondere efficamente ai problemi. Per questo ho ricordato l'esperienza dei referendum del 2011.Come rispondere  a questa esigenza oggi?

Occorre anzitutto costruire una piattaforma comune su punti di fondo. L'Ars ha cercato di impostare un lavoro in questo senso che però si è interrotto quando ha prevalso la tesi che il Pd poteva essere ancora la sede in cui fare le battaglie politiche per condizionare la gestione Renzi: Jobs act e legge elettorale hanno già reso evidente che l'affermazione prima un accordo nel Pd poi con gli altri non regge, perché una parte degli altri è già coinvolta di fatto e si tratta di forze moderate e perfino di destra, mentre non c'è nessuna voglia di coinvolgere la sinistra se non in posizioni subalterne e ininfluenti. Ci sono 2 segnali che andrebbero ascoltati con attenzione, il primo è il livello impressionante, e preoccupante, dell'astensione, il secondo è il serio rischio per il Pd di subire le conseguenze e i contraccolpi di uno schiacciamento del proprio ruolo sulle fortune personali di Renzi. Qualche eco craxiana è evidente. La sconfitta del 2013, mai sufficientemente indagata, drogata dal premio di maggioranza, ha portato il Pd a consegnarsi a chi gli prometteva la vittoria. La parola d'ordine vincere ad ogni costo è diventata egemone ma in caso di sconfitta il Pd oggi potrebbe pagare pesanti conseguenze e con esso tutto l'arco del centrosinistra.

Quindi creare da subito percorsi alternativi alle alterne fortune del leader è un urgenza per tutti.  Per questo si potrebbe riprendere il percorso che abbiamo chiamato dei facilitatori, semprechè ci sia effettivo interesse per questa iniziativa. Occorre  un coordinamento delle iniziative superando un certo particolarismo e accettando un percorso per la formazione di un'alternativa politica che contribuisca a neutralizzare il ricatto della caduta del governo, vissuto come una iattura, mentre ormai è il passaggio necessario. Se poi questo lavoro sfocierà nella creazione di un nuovo soggetto partitico non possiamo deciderlo noi, ma certamente oggi questo sbocco non è né certo, né visibile.

Tuttavia la sinistra, tutta la sinistra, potrebbe lavorare per creare subito un coordinamento permanente, qualcuno propone un'associazione, tra tutte le anime della sinistra.

La sinistra deve essere per il governo, non rinchiusa in un ambito residuale e subalterno e per questo capace di offrire proprie letture della crisi politica e sociale. Del resto è chiarissimo quanto sta avvenendo. Ogni volta che la protesta sociale raggiunge un punto alto interviene il ricatto che non si può fare diversamente. Il sistema esistente si erge, forte del pensiero unico, contro i tentatividi deviazione o di alternativa. E' una sfida. Ogni volta che la sinistra tenta di porre con forza in campo problemi interviene una campagna sulla governabilità. La sinistra per riprendersi deve mettere in discussione questi ricatti, sia affermando con forza e con i fatti che questo non è l'unico sistema economico possibile o se preferite l'unica modalità del capitalismo, sia individuando i persorsi per mettere in discussione l'assetto dominante e per farlo non c'è alternativa all'organizzazione di una partecipazione in grado di resistere in autonomia alle incursioni mediatiche. Le primarie in fondo hanno dimostrato di essere permeabili prorprio a questa persuasione. Del resto in passato anche il Pse parlava di economia sociale di mercato indicando un equilibrio possibile, ora è rimasto solo il mercato. Purtroppo nel momento della massima internazionalizzazione del capitalismo la sinistra è rassegnata entro spazi nazionali o vive afona spazi internazionali, incapace di offrire prospettive politiche sovranazionali. So bene che dire sinistra è un modo approssimativo per definire un'area politica diversificata e spesso conflittuale all'interno, eppure il termine riformismo, che pure ha avuto tanta fortuna anche come alternativa alla sinistra non è meno generico ed è perfino ambiguo. Quindi per ora possiamo usare questo termine e dedicarci al merito dei problemi. Se oggi il capitalismo finanziario ha un ruolo dominante è proprio nel controllo del mondo economico e sociale perchè ha una capacità di regolazione dei processi economici e di costume pervasiva. Su questo dovrebbe esercitarsi la sinistra e invece i grandi temi del controllo, delle regole nei mercati finanziari è appannaggio di alcuni settori ma non riesce a diventare la questione cruciale che è, compresa anche il trattato TTIP. La sinistra per riprendersi deve avere il coraggio di mettere in discussione anche il ricatto di Renzi: o me o l'anarchia, che ricorda da vicino il diluvio di Luigi XIV. La caduta del governo è possibile senza sfracelli e senza farsi condizionare dai ricatti, altrimenti al momento conclusivo Renzi continuerà a vincere, senza merito particolare. Per rendere credibile questa prospettiva occorre porsi anche il problema di un rapporto di confronto e di possibile convergenza con il Movimento 5 stelle, almeno con la parte che sembra disponibile a farlo. Certamente sulle questioni istituzionali un rapporto va costruito, anche in vista di battaglie che potrebbero assumere i caratteri referendari. Il problema del rapporto con i 5 stelle è però più profondo. Questo movimento ha certamente ombre inquietanti che lo condizionano e tuttavia ha anche avuto il merito di portare energie nuove alla ribalta. Un confronto serrato potrebbe aiutarne un'evoluzione positiva e comunque convergenze su obiettivi sono possibili. Resto convinto che è stato un grave errore che il Pd ad un certo punto non abbia deciso di convergere sulla candidatura di Rodotà, visto che la candidatura di Prodi era caduta, forse la storia di questo periodo sarebbe stata diversa.Le condizioni oggi non sono migliorate e tuttavia la convergenza su obiettivi è possibile e alcune sfide obbligano a farlo, come la legge elettorale e le modifiche costituzionali. In realtà l'alternativa a Renzi non è l'anarchia come ha dimostrato il superamento di Monti, poi di Letta.

Anzi il perdurare di questa situazione potrebbe portare a soprese amare. Anche Renzi può essere superato, anzi deve essere superato, ma per farlo in positivo occorre mettere in crisi il presupposto che lo ha reso egemone: vincere ad ogni costo.

La semplice somma di quello che c'è a sinistra non è sufficiente, ma proprio per questo occorre definire cosa si vuole, quindi definire i valori di fondo su cui fondare una prospettiva che deve essere alternativa, altrimenti si ricadrebbe inevitabilmente nell'attrazione del gorgo del vincere ad ogni costo. Quindi occorre costruire una novità politica fondata su solide basi di valori, di etica, di obiettivi, altrimenti si continuerà nella moltiplicazione delle iniziative, ogni volta suscitando speranze e ogni volta deludendo le aspettative. Forse mettendo a tema la costruzione di un processo, iniziando proprio dai valori, dalla costruzione di una visione autonoma, da un coordinamento reale delle soggettività si potrebbero creare le condizioni per uscire da una lunga fase di esaurimento della spinta propulsiva della sinistra e se questo percorso è condiviso l'Ars è pronta a mettersi a disposizione con il disinteresse di chi non ha obiettivi da realizzare né liste da presentare.