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Quale sinistra dopo la sconfitta?
.:: Alfiero Grandi Pubblicato in data:  18/06/2013  10:38:33, in Politica, letto 17560 volte

Assemblea promossa dall'Ars nazionale
(Associazione per il Rinnovamento della Sinistra)
14 giugno 2013

Introduzione di Alfiero Grandi
Il risultato delle elezioni amministrative è importante e positivo, il  centrodestra ha perso in tutti i capoluoghi. Candidature credibili e  coalizioni di centrosinistra hanno ottenuto la vittoria. Una vittoria  ottenuta però in presenza di un astensionismo dilagante. Molti sindaci  sono stati eletti in una competizione che ha riguardato meno della metà  degli elettori. Non c'è un recupero di fiducia sulle politiche, ma il  prevalere del centrosinistra in presenza di una disaffezione che ha  colpito molto di più la destra. Infatti le percentuali non dicono tutto:  nei comuni dove si è votato il solo Pd ha perso 243.000 voti sulle  politiche di 2 mesi fa. Per questo occorre evitare una sindrome da  depressione bipolare: prima lo scoramento e ora l'euforia.  Le ultime elezioni politiche sono state una sconfitta per la sinistra, sia  di quella presente in parlamento, sia di quella che ne è stata cancellata.  Una sconfitta è più difficile da gestire. Per questo va capita e i  comportamenti dovrebbero essere coerenti. Non è stato così. La sconfitta è  diventata una disastrosa ritirata. Messo alla berlina Marini con un'azione  improvvida, il Pd ha bruciato la candidatura a Presidente della Repubblica  di Prodi, l'unico ad avere sconfitto Berlusconi 2 volte . Chi l'ha fatto  voleva spingere il Pd all'accordo con la destra. Malgrado questo il Pd non  ha sentito il dovere di spiegare al paese cosa è accaduto, al punto che  c'è chi dice malignamente che metà della segreteria di Epifani sarebbe  composta da affossatori di Prodi. Anche dopo questi infortuni il Pd ha   continuato ad osteggiare la candidatura di Rodotà, che, se eletto, avrebbe  obbligato il M5S a fare i conti con la formazione di una maggioranza e di  un Governo. Non si è capito che Grillo è stato costretto a sostenere  candidature non sue, come dimostra il suo incredibile voltafaccia contro  Gabanelli e Rodotà. Alla fine, in stato confusionale, si è arrivati alla  supplica a Napolitano di restare e si è scivolati verso un Governo Pd,  Pdl, Scelta Civica, definito, senza senso dell'umorismo, di "larghe  intese".  Per tutta la campagna elettorale è stato sostenuto che il centrosinistra è  alternativo alla destra, ma si è fatto esattamente il contrario, fino a  lacerare la coalizione che aveva ottenuto per un soffio il premio di  maggioranza. Le conseguenze non sono affatto finite, se è vero che con una  leggerezza irresponsabile si pensa di mettere mano alla revisione della  Costituzione, definita la più bella del mondo da Bersani, con questa  maggioranza, condizionata da questo Pdl nelle mani di Berlusconi. La  disaffezione di massa verso la politica è il frutto di comportamenti come  questo. Il M5S si è intestato buona parte della protesta verso una  politica senza coraggio, senza idee ed etica nei comportamenti e purtroppo  questa critica ha investito anche la sinistra. Attenzione a dare per  esaurito il fenomeno. Restano le ragioni di fondo del malessere e della  sfiducia (Sai ricorda il rifiuto di ogni rappresentanza) che oggi si  manifestano più verso l'astensione, un record alle amministrative.  Il Governo Letta è il risultato di questa incredibile serie di errori.  Certo, un Governo era necessario, come ha scritto Macaluso, ma non è vero  che questo era l'unico possibile, perfino Veltroni ne ha suggerito uno   diverso. Dipingere questo Governo come l'unico possibile ha radice  antiche, risponde all'esigenza di non dare spazio ad alternative, un  "apres moi le deluge", una variante del pensiero unico. Il Governo è  evidentemente attratto dal miraggio di durare, come ha detto apertamente  Letta, mentre era stato detto che nasceva per affrontare emergenze come la  nuova legge elettorale - per ridare agli elettori la possibilità di  scegliere i loro rappresentanti - e per interventi urgenti per l'economia  e l'occupazione. Invece ci troviamo di fronte ad un menù di riforme  costituzionali, per le quali vengono chiesti almeno 18 mesi di tempo, una  sorta di assicurazione sulla vita del Governo. Non a caso la nuova legge  elettorale è in coda alla revisione costituzionale, stabilendo un rigida  consequenzialità tra i 2 aspetti, con il risultato che se dovesse saltare  il Governo ci ritroveremmo a votare con il porcellum. Così le misure  economiche di cui si parla richiedono tempo, visto che prima del 2014 non  ci saranno nuove disponibilità finanziarie, come ha chiarito il Ministro  Saccomanni.  Dopo pochi giorni l'accento è posto sulla durata di questo Governo e di  questa maggioranza. Epifani alla direzione ha detto che il Pd reagirà se  il Pdl farà saltare il tavolo, forse non si è accorto di dare  l'impressione di essere nelle mani di Berlusconi.  Veramente dopo un Governo come questo, con una maggioranza innaturale,   tutto tornerà normale ? Anche dopo l'infausta esperienza di Monti era  stato detto così, sottovalutando drammaticamente la disaffezione degli  elettori, dovuta anche all'anno e mezzo del suo dileggio verso i partiti,  oltre che da risultati pessimi nel governo della crisi come: la modifica  drastica del patto pensionistico, di cui gli esodati sono un aspetto,  l'aggravamento della disoccupazione giovanile per avere costretto a  restare al lavoro più a lungo, la crescita esponenziale della  disoccupazione, la caduta dei redditi; considerati tributi inevitabili   all'altare dell'austerità. Monti è stato una manna per l'affermazione di  Grillo, che prima del suo Governo era ben sotto il 10%.  Monti è stata una pagina non positiva per il nostro paese e averlo  sostenuto acriticamente come ha fatto il Pd, anziché andare a votare  subito sulle macerie del fallimento del Governo Berlusconi, si è rivelato  un autogoal, che per di più ha consentito alla destra, prima allo sbando,  di riprendere fiato, per l'ennesima volta. Il complesso della resurrezione  di Lazzaro di cui parla l'intervento di Bulgarelli. Durante il Governo   Monti la sinistra ha dimostrato ancora una volta di non essere in sintonia  con i drammi sociali delle persone e in particolare del suo mondo di  riferimento.  Per il peso che stanno assumendo, è necessario essere chiari sulle  modifiche della Costituzione. Si dovrebbe in premessa chiarire che  l'autonomia della magistratura non ha nulla da temere, nemmeno dalle  vicende processuali di Berlusconi, che la criminalità è un conflitto di  interesse con tutta la nazione, non meno di quello televisivo. Il Pd ha  sufficiente peso parlamentare per impedire stravolgimenti e nessuno lo   salverà dalla responsabilità di avallare o respingere le misure di riforma  della Costituzione. Abbiamo già subito la modifica a passo di carica  dell'articolo 81 e poi il Fiscal Compact, su cui prima o poi si dovrà pur  ammettere una forzatura ideologica, come quelle che vogliono togliere  l'insegnamento di Darwin dalle scuole, visto che una teoria economica  fallimentare come l'austerità è diventata non solo opzione politica  conservatrice, ma "religione" di stato, scritta nella Costituzione.  La questione non è se modificare o meno l'assetto istituzionale previsto  dalla Costituzione, ma come farlo, anzitutto seguendo le regole previste  (mentre si vogliono forzare i tempi della doppia lettura parlamentare) e  rispettando un assetto in cui è centrale il parlamento, come afferma  l'intervento di Di Siena. Un parlamento che deve essere composto da eletti  scelti dagli elettori, non nominati dall'alto, come quelli che potrebbero  oggi modificare la Costituzione. La "nomina" dall'alto dei parlamentari ha  portato al discredito della rappresentanza e sarebbe incredibile che  proprio un parlamento nominato si arrogasse il diritto di stravolgere la  Costituzione. Ridurre il numero dei parlamentari, superando il  bicameralismo, cambiare il Senato in una rappresentanza delle regioni,   superare i doppioni di competenza, ridurre i livelli istituzionali, sono  modifiche su cui si può ragionare. Il Presidenzialismo invece è un  cambiamento radicale della Costituzione, che porta alla personalizzazione  esasperata e alla fine dei partiti come rappresentanza dei cittadini. Fa  riflettere la tenaglia di Grillo e della destra per liquidare il ruolo del  parlamento, fondamentale in un assetto democratico, a cui sembra purtroppo  cedere anche una parte della sinistra. La competizione politica non  sarebbe più tra proposte politiche, ma tra persone, con il sostegno delle  lobbies che ne finanziano la campagna elettorale e ne condizionano  ovviamente l'agire politico, la legge sul finanziamento ai partiti  dovrebbe tenerne conto. L'aspetto peggiore del Presidenzialismo americano  è alti costi e ricchi ipercondizionanti. Il presidenzialismo comporta la  modifica di tutto l'assetto istituzionale della Costituzione, perché se il  Presidente della Repubblica non fosse più una figura di garanzia sarebbero  necessari adeguati contrappesi, che infatti esistono in altri modelli  istituzionali. In questo campo il nuovismo non aiuta.  Se innovare a sinistra vuol dire fare proprie le idee della destra non ci  siamo. Un discorso è introdurre dei rafforzamenti per il ruolo del  Governo, come la possibilità di avere un Governo di minoranza, opportunità  negata a Bersani, la sfiducia costruttiva, la possibilità di revocare i  Ministri, ma il Presidenzialismo è un'altra cosa, una scelta radicalmente  diversa e non basta certo a giustificarla l'esigenza di una parte della  maggioranza di far durare il Governo Letta.  Una scelta presidenzialista comporterebbe una rottura politica profonda,  come ha detto bene Rosi Bindi, e si formerebbe inevitabilmente un fronte  contrario che non potrebbe non affrontare apertamente questa battaglia,  fino al No al referendum confermativo, perché questa è questione fondante,  dirimente. A questo proposito va ricordato che proprio i referendum su   acqua e nucleare nel 2011 sono stati una grande occasione di  mobilitazione, poco ascoltata e non compresa dai partiti di sinistra negli  effetti di lungo periodo, al punto che è stata regalata al M5S la   possibilità di intestarsi il risultato dei referendum, malgrado in realtà  questo movimento vi abbia avuto un ruolo non primario. Quella occasione  potrebbe ripetersi portando alla mobilitazione un fronte ampio a difesa  dell'impianto Costituzionale a base parlamentare, di cui i Comitati  Dossetti potrebbero essere un punto di riferimento importante e alla cui  iniziativa abbiamo già dato il sostegno dell'Ars.  Non siamo indifferenti agli impegni di Letta per l'occupazione giovanile,  dopo l'uscita dell'Italia dalla sorveglianza speciale dell'Europa. La  disoccupazione è ormai al 12,5 %, 3 milioni di disoccupati, un livello  record. Il Pil nel 2013 scenderà ancora di almeno il 2 % con buona pace  degli ottimisti che ancora nel Def parlavano di 1,3 %. Si sprecano i dati  che dipingono la gravità della situazione italiana. La luce in fondo al  tunnel che vedeva Monti l'ha vista solo lui. L'assenza di prospettive  spinge i giovani all'estero per trovare lavoro dopo che l'Italia ha speso  ingenti risorse per la loro formazione. Purtroppo mentre il Governo si è  impegnato a creare 100.000 nuovi posti di lavoro per i giovani, la Cisl ha  denunciato la perdita del lavoro per altri 120.000 lavoratori. Questa  rischia di essere un'iniziativa poco più che simbolica. Certo, affronta un  tema reale e drammatico, ma in modo del tutto insufficiente per affrontare  il dramma della disoccupazione, la Cgil ha giustamente chiesto la garanzia  che gli incentivi siano riservati alle nuove assunzioni, aggiuntive e a  tempo indeterminato. Per affrontare seriamente una crisi che sta mettendo  in ginocchio il nostro paese (e non solo) occorre una svolta, rimettendo  in discussione la politica di austerità e le restrizioni volute dal gruppo  oggi dominante in Europa. Una svolta che non può esserci fintanto che ci  si muove entro i confini della politica di austerità, tradotta in modo un  poco banale da Letta con il "non si possono fare nuovi debiti".  Il debito pubblico italiano è aumentato di un quarto per il combinato  disposto delle follie del Governo Berlusconi e dei "rimedi" di Monti.  L'Italia si sta avvitando nella recessione, tornando indietro di decenni  nell'occupazione, nei redditi, nei consumi, ecc. e, non a caso, la data  della ripresa viene continuamente spostata nel tempo e nulla garantisce  che arriverà nel 2014. La Corte dei Conti ha calcolato in 230 miliardi la  perdita di Pil italiano dall'inizio della crisi.  Viene ignorato che il problema per l'Italia non è solo riprendere a  crescere ma di quale sviluppo stiamo parlando. L'Ilva è uno spartiacque,  continuando così lavoro e salute saranno l'uno contro l'altra. In tutti i  settori fondamentali: dall'energia al territorio, dall'innovazione  tecnologica agli investimenti pubblici occorre introdurre con forza il   tema della qualità dello sviluppo, della compatibilità con l'ambiente, con  la condizione di chi lavora, con la salute dei cittadini. La discussione  sui parametri per misurare lo sviluppo non è un dibattito astratto, ma ha  conseguenze precise. Se gli investimenti in armamenti entrano nel Pil e le  ferite sociali e ambientali dovute alla crisi vengono ignorate stiamo  andando nella direzione sbagliata.  La cura dell'austerità ha portato ancora più in alto il debito rispetto al  Pil. Il Governo Berlusconi cercò di nascondere la polvere sotto il  tappeto, aumentando a dismisura il debito pubblico, che il 2° Governo  Prodi aveva ridotto al 103 % nel 2007, Monti  ha fatto il resto e oggi   andiamo verso il 134 %, livello mai raggiunto, e questo essenzialmente   perché il Pil è crollato. Questa crisi è ormai più grave di quella del 29.  Va combattuta l'opinione - interessata - che non sia possibile fare altro.  Anche questo è pensiero unico. Non è così. La sinistra deve mettere in  discussione questa non verità. Occorre anzitutto  mettere in discussione  l'egemonia conservatrice in Europa. Le critiche all'Europa, la richiesta  di prendere iniziative per la ripresa, vengono ora da nuove sponde.  Scalfari chiede un colpo d'ala, Squinzi mette in discussione la cecità  della linea europea. Letta avrà il coraggio e le condizioni per invertire  la rotta ? Vista la sua maggioranza il dubbio è legittimo. E' stato un  grave errore abbandonare i greci a sé stessi, ripetere la litania che  l'Italia non è la Grecia. Oggi si parla di un piano Marshall per la  Grecia, come se fosse uscita da una guerra. Non è accettabile che di  misure per la crescita in Europa si possa parlare solo dopo le elezioni  tedesche, per non disturbare la sig.ra Merkel, e forse non solo.  La prima richiesta da porre con forza è impegnare la Bce ad acquistare  gradualmente il debito pubblico, sopra il 60%, alle stesse condizioni di  prestito (1%) già offerte alle banche, che hanno lucrato la differenza con  i tassi più alti dei debiti pubblici degli Stati. In pratica una  sovvenzione pubblica alle banche. Secondo Gallino alle banche e alla  finanza l'Europa ha dato sostegno per 4.500 miliardi, un terzo del Pil.  Sia il Pd che il Pdl avevano detto di volere forzare i blocchi  dell'austerità europea, ma di queste intenzioni non si vede traccia e il  Governo frena.  Può essere che occorra tempo per cambiare l'asse politico europeo, ma  questo è il primo terreno di iniziativa necessario. Muoversi all'interno  dell'attuale linea europea, nella speranza di smuovere alcune briciole, è  inadeguato rispetto alla gravità della crisi.  Nel quadro di iniziative per cambiare l'asse europeo ci sono obiettivi che  dipendono solo dall'Italia, ma le "larghe intese" sono fatte proprio con  chi rema contro. Ad esempio, la lotta all'evasione è troppo in sordina,  l'attacco a Equitalia non aiuta; con la Svizzera non si vogliono condoni  per i capitali esportati? Bene, ma non si può rinunciare a far pagare gli  esportatori di capitali, guardiamo agli Usa, che hanno messo sotto accusa  le banche svizzere per il trasferimento illegale dei capitali, al punto  che ora il Governo svizzero sta provvedendo per legge a rimettere in causa  il segreto bancario ; ci sono spese che potrebbero essere tagliate come  gli 800 milioni regalati ai proprietari di case con la cedolare secca  sugli affitti che ha portato al recupero di zero evasione e a un risparmio  ingente per i proprietari; va cancellato il programma di acquisto degli  F35 e di nuovi armamenti, riportando finalmente in un unico bilancio tutte  le spese militari, oggi sparse e nascoste; una patrimoniale e la  tassazione di tutte le rendite come ogni altro reddito potrebbe consentire  di sgravare i redditi da lavoro e pensione. Sono scelte necessarie e non  rinviabili, altrimenti si tornerà a tagliare stato sociale, istruzione e  investimenti pubblici in omaggio al pensiero unico.  Non si può restare in attesa di novità europee e prigionieri del ricatto  della destra. Anche gli investimenti vanno ripensati. Che senso ha  insistere con la Tav in val di Susa ? Il cui costo, anche sociale, è già  enorme e per di più è finalizzata ad una previsione che si è rivelata  fallace. Questa sarebbe una buona spending review, altro che tagli  lineari. Si potrebbe inoltre utilizzare la Cdp per costituire fondi a  disposizione degli Enti locali, delle Regioni per mettere in sicurezza le  scuole, gli ospedali, gli edifici pubblici, dotandoli di energia da fonti  rinnovabili, ecc.  In sostanza, in vista dell'indispensabile cambio di rotta dell'Europa, che  dovrebbe diventare il punto di convergenza di tutta la sinistra europea,  l'Italia potrebbe già prendere iniziative importanti, anche insieme ad  altri paesi, anziché restare in attesa di una mitica ripresa, per di più  senza qualità, affidata alle mani dei sacerdoti dell'austerità ad ogni  costo, che potrebbero perfino impedirci di utilizzare i fondi europei per  i quali occorre il cofinanziamento nazionale.  Occorre un cambio di rotta, di fondo, nella consapevolezza della  drammaticità della situazione sociale ed economica e non sembra proprio  che questo Governo sia in grado di produrle, anzi.  In questo quadro la situazione del lavoro è un disastro, sia dal punto di  vista dell'occupazione che da quello dei diritti e delle condizioni di   lavoro. La globalizzazione capitalistica in corso sta producendo l'effetto  perverso di abbassare le condizioni di lavoro dei paesi sviluppati, in   particolare dell'Italia, verso il livello dei paesi emergenti.  Il ricatto occupazionale e l'indebolimento severo del potere contrattuale  dei sindacati, i colpi inferti dalle loro divisioni, hanno visto aumentare  una flessibilità incontrollata e la frantumazione del corpo sociale dei  lavoratori, il venir meno della consapevolezza di sé come corpo sociale.  Arrestare questa china è indispensabile, altrimenti la ripresa, se e  quando ci sarà, provocherà un'ulteriore divaricazione sociale e come dice  Stiglitz la divaricazione è un ostacolo alla ripresa economica. Negli  ultimi 20 anni ai lavoratori è andato il 10 % in meno di Pil. Sono 160  miliardi trasferiti ai redditi alti e alle rendite. Va interrotta la  compressione delle condizioni di lavoro, dei redditi, altrimenti la  ripresa sarà ancora una volta di bassa qualità per l'ambiente e per i  lavoratori, rendendo ancora più difficile offrire prospettive adeguate ai  giovani scolarizzati.  La bassa qualità dell'occupazione e la precarietà del lavoro sono le prime  ragioni del basso livello di produttività e di competitività del nostro  paese. Formare un ingegnere e offrirgli come unica prospettiva  l'emigrazione è un disastro economico e competitivo. Questo indebolimento,  questa frantumazione del mondo del lavoro vanno affrontati, altrimenti il  futuro del nostro paese sarà difficile per le classi subalterne.  La ricostruzione di un'identità unitaria del mondo del lavoro è anzitutto  un compito delle organizzazioni sindacali. L'accordo tra Cgil, Cisl, Uil e  Confindustria sulla rappresentanza e sulla rappresentatività sindacali è  un fatto nuovo e positivo in quanto può consentire un'inversione di  tendenza, dopo una fase fin troppo lunga di divisioni sindacali e di  discriminazioni verso i settori più combattivi del mondo del lavoro. Ne  parla diffusamente Rinaldini. L'applicazione dei punti aperti dell'intesa  deve essere coerente con le premesse. In ogni caso una legge sulla materia  resta un obiettivo da non accantonare, perché potrebbe fare uscire  definitivamente la questione dalle mutevoli condizioni delle relazioni   sindacali e dai ripensamenti.  Ricostruire unità e potere contrattuale del mondo del lavoro è anzitutto  compito dei sindacati. Tuttavia c'è un ruolo anche politico che può e deve  essere svolto in direzione di una moderna e aggiornata legislazione di   sostegno. Sarebbe un'occasione per avviare il superamento del distacco tra  rappresentanza politica di sinistra e mondo del lavoro. Occorre fermare  l'arretramento in atto e individuare nuovi parametri su cui costruire una  nuova fase di unità sociale del mondo del lavoro, per favorire la   ricostruzione di una nuova consapevolezza di sé dei lavoratori. In questi  anni gli arretramenti non si contano, tuttavia non si può pensare di  tornare semplicemente a prima, anche se in qualche caso sarebbe necessario  anche questo come nel caso dell'articolo 18. La contrapposizione dei  giovani, non garantiti, con i lavoratori è stato uno dei cardini di una  vera e propria azione controriformatrice. Trappola in cui sono caduti  anche settori della sinistra e Renzi sembra non fare eccezione. Troppo   tardi ci si è resi conto che questa offensiva era strumentale e che ciò  che veniva tolto ai lavoratori non portava alcun vantaggio ai giovani, ai  precari, ai disoccupati, ecc. E' stata un'operazione di segno negativo.  Per questo proponiamo di svolgere un'iniziativa a carattere seminariale,  promossa insieme al Crs, per mettere a tema la grande questione di come  favorire la ricomposizione del mondo del lavoro attraverso una nuova e   moderna legislazione di sostegno e di diritti sociali esigibili. Diritto  ad un'occupazione degna, al sostegno al reddito verso il lavoro e nei  periodi di non lavoro, ad una retribuzione minima certa, nel quadro di   misure reali di sostegno per i figli e per non abbandonare alla povertà  settori crescenti della popolazione. Una misura di questo tipo andrebbe  definita per legge quando non ci sono i contratti a stabilire una  protezione, prescindendo dalla natura del rapporto di lavoro.  Così vogliamo organizzare un'iniziativa di approfondimento seminariale,  insieme a quanti sono interessati e disponibili a farlo, sulla riforma   dell'assetto istituzionale definito dalla Costituzione, per evitare derive  verso forme presidenzialiste (ne parlano Folena e Gianni) e per mantenere  al centro del nostro ordinamento una repubblica parlamentare. Nessuna  rassegnazione quindi, ma anzi un impegno per una seria e netta battaglia  politica. In questo ambito è utile l'esperienza dei referendum per l'acqua  pubblica e contro il nucleare, che hanno di fatto determinato una politica  positiva. Sarebbe utile potere utilizzare anche referendum propositivi   come parte di una nuova e più ampia rete di diritti di partecipazione e di  controllo, su cui occorre aprire una nuova stagione culturale e politica,  di cui la discussione sui beni comuni è parte.  Il terzo obiettivo che proponiamo è un focus sul futuro dell'Europa, anche  in vista delle elezioni nel 2014. Nessun giuramento sull'Europa salverà  questa affascinante prospettiva, se non ne verrà recuparata una vocazione  sociale, fondata su alcuni diritti inalienabili e l'uguaglianza, che è  stata smarrita. Fino a pochi anni fa l'Europa aveva al centro l'obiettivo  della buona occupazione, con obiettivi di crescita quantitativa e  qualitativa. Ora non più. 20 milioni di disoccupati sembrano un non  problema. Il disastro sociale di alcuni paesi, a partire dalla Grecia,   sono ignorati o considerati un male inevitabile, quando non il frutto  della colpa. Eppure perfino il FMI ha fatto un poco di autocritica e ha  scaricato sulla cecità dell'UE la responsabilità delle misure socialmente  insostenibili imposte alla Grecia. L'Europa è sempre più vista come  arcigna e distante e inevitabilemente crescono movimenti e reazioni  antieuropee. Per di più si è determinata una situazione in cui i guai  degli uni sono una ricchezza per altri, la Germania ha lucrato sulle  difficoltà dei paesi più deboli. Dicevano i socialisti europei che  l'Europa o sarà sociale o non sarà, in ogni caso ne siamo molto lontani.  Dell'economia sociale di mercato resta solo il mercato. L'Europa non può  essere una scatola vuota, con gerarchie fondate solo sulla forza e sul   predominio di una parte sugli altri. (Morelli invoca la sinistra europea)  Quale Europa, con quale qualità sociale, con quale capacità di garantire  ai suoi cittadini un piano di eguaglianza, è il grande tema da affrontare.  Le scorciatoie istituzionali come l'elezione diretta del Presidente della  Commissione non sono convincenti. Il tema centrale è se fare o no del  parlamento europeo un fulcro per tutta la costruzione europea. Se affidare  ad un vero Governo europeo materie che oggi sono gelosamente mantenute   dagli stati nazionali, per di più in concorrenza tra loro. Se arrivare o  no ad un quadro di obiettivi e diritti per la società e l'economia  dell'Europa, superando l'asfissia della moneta unica, a fronte di  fiscalità diverse e concorrenziali, di incentivazioni diverse e  concorrenziali, di progetti europei quanto mai insufficienti anche per   l'evidente tentativo di tagliare il bilancio dell'Unione. La crisi del   sogno europeo nasce dal fallimento conservatore, che oggi pretende di  guidare anche l'uscita dalla crisi che ha contribuito a creare, con  risultati disastrosi che sono sotto gli occhi di tutti. Europa incapace di  imporre anche il rispetto di regole democratiche come in Ungheria o di   imporre la sparizione dei paradisi fiscali all'interno della stessa  eurozona.  In sostanza vogliamo riprendere il metodo aperto sperimentato  nell'iniziativa al Cnel, organizzata con la F. Di Vittorio, sulla crisi  finanziaria e i suoi effetti sull'economia e sull'occupazione, di cui  abbiamo rispolverato le attualissime conclusioni.  L'Ars non ha la velleità di indicare compiti ad altri, né tanto meno di  dare voti. Vogliamo contribuire ad una riflessione comune a sinistra che  provi a spezzare la coazione a ripetere, che sembra ancora prevalente nei  singoli soggetti della sinistra, malgrado brucianti sconfitte e dure  repliche della storia. La sinistra è pervasa da confusione, sfiducia,  subalternità. Soprattutto le elettrici e gli elettori della sinistra sono  scoraggiati. A questo si arriva quando si rinuncia ad avere una propria  lettura della crisi, dell'economia, della società, proprie risposte e  soluzioni, con l'ambizione di rispondere alle condizioni reali e ai drammi  delle persone, dei lavoratori. Condizioni che non possono aspettare che  abbiamo concluso la nostra riflessione. Quando si rinuncia ad avere una  soluzione alternativa ai problemi, un'idea di società diversa, altra da  quella che conosciamo, la sinistra è afona.  Se è vero che per continuare sul sentiero seguito fino ad oggi dovremmo  avere almeno altri 3 o 4 pianeti per sopravvivere, vista la rapina e la  distruzione delle risorse e dell'ambiente. Se è vero che per forza di cose  si dovrà cercare un altro modello di sviluppo e che questo dovrà  comportare anche una profonda riforma sociale, la sinistra non può  rinunciare a porre al centro della sua iniziativa il tema  dell'uguaglianza, insieme alla socialità e al rispetto della libertà, cosa  diversa dal liberalismo, e lo deve fare incontrando il meglio delle  culture che ragionano sul futuro in modo non subalterno.  Il capitalismo senza regole è quello dei Riva che hanno contrapposto il  diritto al lavoro e quello alla salute; dopo abbiamo scoperto che le  risorse per risanare e innovare ci sarebbero state se non fossero finite  altrove per cupidigia personale come ha dimostrato il sequestro della  magistratura di ben 9.3 miliardi di euro.  Il capitalismo senza regole è quello della finanza internazionale che ha  costruito per i capitali un mondo senza frontiere, senza controlli e  regole che hanno consentito di creare una ricchezza di carta che è 12  volte il Pil mondiale e che ha già ripreso a crescere.  Occorre mettere in campo un disegno economico e sociale alternativo a  quello imposto dalle forze della speculazione e del profitto, che aspirano  ad essere l'unico motore della convivenza. E' evidente lo squilibrio tra  un capitalismo a dominio finanziario che si muove senza regole su scala  mondiale e una sinistra divisa, timida, troppe volte subalterna, per di  più chiusa in un ristretto ambito nazionale. Un nuovo modello di sviluppo  da realizzare nella democrazia è la scommessa della sinistra moderna,  senza complessi di antichi errori.  La sinistra anche in Italia deve decidere se rinuncia alla sua funzione, e  sarebbe destinata a sparire, oppure se riesce a ritrovare i fondamenti, i  valori, le ragioni fondanti della sua esistenza.  Malgrado la tentazione sia forte, non possiamo essere noi a dire se le   formazioni che esistono, a sinistra, siano riformabili oppure no. Lo  diranno gli elettori. Ciò che possiamo fare è favorire con le nostre  iniziative una riflessione comune, puntando ad individuare valori e  fondamenti di una moderna sinistra. Vediamo iniziative interessanti, un  ritorno della discussione su come costruire un partito di sinistra, poi  c'è chi pensa che debba essere un soggetto nuovo e chi pensa debba essere  il risultato dell'evoluzione del Pd. Fare il tifo non ci porterebbe  lontano, non aiuterebbe neppure le soggettività che sono in movimento. Per  questo puntiamo, in sostanza, ad una iniziativa a rete (ne parla Vita),  aperta a tutti ma con l'impegno comune a cercare sintesi su valutazioni e  proposte. Possiamo provare a dare una mano (Carra e Sinistra XXI) anche  rinnovandoci e rinnovando sul rapporto tra i sessi (Leiss). Non abbiamo  interessi diretti nelle competizioni elettorali, a cui l'Ars ha deciso per  statuto di non partecipare. Gli errori e i limiti di questi anni hanno   portato la sinistra a distinguersi poco e male dalla destra, al punto che  anche sotto il profilo dell'etica e dei comportamenti ci sono stati  episodi disdicevoli che hanno finito con l'accomunare tutti e tutto in una  critica feroce alla rappresentanza politica. Non è casuale se oggi è stato  riscoperto il valore dell'insegnamento etico di Enrico Berlinguer.  La sinistra ha senso se è diversa, non subalterna, alternativa alla  destra, anche nei comportamenti. La sinistra ha senso e può perseguire i  suoi obiettivi se rilancia una proposta di politiche pubbliche, senza  timori subalterni sul ruolo dello stato - nella sua evoluzione verso il  decentramento regionale e verso l'Europa - che non può essere solo quello  di regolare il traffico altrui. Nel momento cruciale della crisi perfino i  conservatori hanno lavorato per interventi dello stato, nazionalizzazioni,  ecc. Non si capisce perché la sinistra dovrebbe privarsi di uno strumento  fondamentale come le politiche pubbliche, necessarie non solo per  correggere le disuguaglianze, ma per garantire vera uguaglianza. La destra  può non essere interessata alle politiche pubbliche. Anzi può tentare di  privatizzare tutto il privatizzabile, come insegna la mercatizzazione  dello stato sociale e della vita stessa come risposta alla crisi. La  sinistra no, altrimenti i suoi obiettivi non avranno la strumentazione per  essere realizzati. Naturalmente non possiamo ignorare i gravi difetti che  ha manifestato l'intervento pubblico, il ruolo dello stato e quindi  occorre proporre antidoti come forme nuove di partecipazione e controllo  sociale (Dettori), riprendendo un filone culturale e di esperienza che si  è interrotto. Per quanto più disarticolata che liquida la società ha più  che mai bisogno di identificarsi, di avere punti di riferimento,  altrimenti populismi e demagoghi prenderanno il sopravvento, nella  disperazione di non poter fare valere il proprio contributo, di saperlo  ascoltato.  Per questo proponiamo di dare vita ad una rete di ricerca comune di tutti  i soggetti che hanno interesse per questa ricerca e proponiamo di lavorare  intanto sui 3 capitoli che ho ricordato per avviare questo lavoro, che   avrà nei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione un vero e  proprio faro, perchè la nostra Costituzione resta un testo avanzato e in  gran parte da realizzare, che parla dell'Italia possibile, del nostro  futuro.