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Sembra incredibile, ma Mario Monti, il (presunto) salvatore della patria è in rapido oblio. Dopo il clamoroso insuccesso elettorale della sua lista è iniziato un rapido declino di Monti e oggi la sua creatura elettorale è divisa ed è in caduta libera di consensi. I giudizi sulla sua opera di governo sono diventati meno corrivi e da ogni parte si invocano provvedimenti per la ripresa. Perfino il moderato Enrico Letta, alla testa di un Governo di larghe intese, è passato dal pieno sostegno a Monti - contenuto in un famoso bigliettino inviatogli al momento dell’insediamento - a una presa di distanza di fatto. Basta pensare che sulle pensioni c’è l’impegno di Letta a risolvere il problema degli esodati, lasciato irrisolto dalla Fornero, per almeno 300.000 persone che non hanno più il lavoro e non possono andarsene in pensione. Letta si è anche impegnato a ripristinare una forma di flessibilità tra lavoro e pensione che la legge approvata all’epoca ha reso impossibile. Così si torna a parlare di incentivi per aumentare l’occupazione, sia pure per ora solo quella giovanile. Perfino il vanto di Monti di avere mantenuto il pareggio di bilancio per il 2013 - mantenendo un impegno preso dal Governo Berlusconi - non è più così scontato, se è vero che il primo viaggio all’estero di Letta è stato per cercare di allentare il vincolo europeo sul saldo di bilancio italiano. Per ora il risultato non c’è stato ma il tentativo si, comunque venga chiamato. In realtà il cambio di governo da Monti a Letta è stata l’occasione - non detta esplicitamente - per tentare di voltare pagina. Gli omaggi formali di Letta al predecessore non riescono a nascondere la verità. La situazione economica e sociale del paese è a livelli esplosivi e il nuovo Governo - piaccia o non piaccia - deve tenerne conto. Del resto i risultati della cieca politica di austerità del Governo Monti sono sotto gli occhi di tutti e non sono stati neppure bilanciati da iniziative indirizzate alla crescita. Questo ha portato al risultato disastroso di un debito pubblico arrivato al 131 % del Pil, livello mai raggiunto prima. A cui si è arrivati perché c’è stato il crollo del Pil, a cui si aggiunge una disoccupazione record verso il 12 %, aggravata da mezzo milione di persone in cassa integrazione, con i consumi tornati a 20 anni fa e i redditi di fascie sempre più ampie di popolazione dentro o al limite della povertà. Tutto questo sta avvitando l’Italia in una crisi recessiva senza precedenti. Senza contare che per gli impegni presi con il Fiscal Compact dal 2015 lo stock del debito pubblico dovrà calare del 5 % l’anno con effetti depressivi ulteriori. E’ finita qui ? Purtroppo no. La recessione è destinata a farsi sentire ancora per qualche tempo. Non a caso i soloni che vaticinavano la ripresa in Italia per la seconda metà del 2013 (la luce in fondo al tunnel vista solo da Monti) ora hanno prudentemente spostato la data della ripresa, chiarendo che sarà comunque debole anche nel 2014 - se ci sarà - e quel che è peggio la disoccupazione, senza interventi adeguati, è destinata a restare sopra al 12 % fino al 2017, perché prima di riassumere molte aziende debbono riassorbire la cassa integrazione, i contratti di solidarietà, le riduzioni di orario, ecc. Perfino il reddito di cittadinanza ha acquisito la dignità di un problema da discutere, anche se nella versione Letta riguarda solo i poveri con famiglie numerose. Archiviato Monti, senza troppi rimpianti, si tratta ora di capire se il Governo Letta è in grado di affrontare almeno i problemi più urgenti dell’occupazione e dell’economia. L’esperienza negativa del Governo Monti ha certamente messo Letta sull’avviso, ma per ottenere risultati diversi occorre qualcosa di più di uno stile meno ideologico di quello del suo predecessore, che era convinto che l’Italia aveva vissuto da decenni al di sopra delle sue possibilità e che quindi i tedeschi e i loro alleati avevano buone ragioni per chiedere sacrifici ai reprobi. Prima alla Grecia, poi agli altri paesi, Italia compresa, trascurando che la Germania e gli altri paesi forti hanno guadagnato dalle disgrazie dei paesi più deboli miliardi di euro perché non hanno praticamente pagato interessi sui loro debiti pubblici e hanno avuto a disposizione credito facile e a buon mercato per le loro imprese. I partiti che hanno votato la fiducia al Governo teoricamente dovrebbero sostenere una linea di politica economica più espansiva, superando l’austerità come credo assoluto. In realtà non è così semplice. Anche realizzare una scelta sulla quale sembrerebbero esserci delle disponibilità non è facile perché occorre anzitutto rimuovere vincoli europei e senza questo si rischia di arrivare ad una partita di giro di scarso significato economico. Come diceva Keynes: se tagli spesa da una parte comprimi la domanda dall’altra. Quindi il risultato finale è che non si esce dalla recessione. In una fase economica espansiva è diverso ma in una depressione economica e occupazionale come oggi il risultato deve riguardare il sistema economico complessivo, cioè il totale. Letta ha riscontrato nel suo giro europeo che tuttora domina in Europa una linea di austerità e che prevale perché premia alcuni e punisce altri, almeno finora. La stessa austerità che sta stringendo Hollande in un assedio pesante, nel timore di un attacco speculativo sulla Francia. L’ideologia dominante neoconservatrice europea continua a predicare una linea di politica economica e di bilancio che sta facendo avvitare l’intera eurozona nella crisi e anche chi pensava di restarne fuori ora comincia a subirne le conseguenze. La linea di andare da soli in Europa, senza fare prevalere la solidarietà, iniziata di fronte alla crisi greca, è stata devastante. Il numero dei paesi in difficoltà è cresciuto e per ognuno di loro la ricetta è stata più o meno la stessa (sbagliata) e il risultato è che ora verso l’Italia con la motivazione dell’enorme debito pubblico (cresciuto proprio per le politiche di austerità) c’è il rifuto perfino di concedere i 2 anni in più che pure sono stati concessi ad altri paesi come Francia e Spagna per fare rientrare il deficit corrente nei parametri. Perché all’Italia no ? Perché no. Il problema di fondo è che occorre rimuovere il vincolo europeo che blocca le speranze di ripresa e per farlo occorre mettere insieme un arco di forze ampio e determinato a capovolgere gli orientamenti prevalenti fino ad ora, anche traendone tutte le conseguenze. Perché mai dovremmo continuare a rassicurare l’Europa che l’Italia non farà saltare l’Euro quando è del tutto evidente che l’Euro è in difficoltà per ragioni opposte ? Anche le misure decise dalla Bce sul tasso di sconto lasciano il tempo che trovano. Il vero problema è se la Bce deciderà di acquistare direttamente il debito pubblico degli Stati al di sopra del 60 % allo stesso tasso dell’1% concesso munficiamente alle banche che hanno così guadagnato prestando questo denaro della Bce a tassi più alti agli Stati. La prudenza di Letta servirà a poco in Europa, o si fa una battaglia a fondo per cambiare l’asse europeo impegnando seriamente il peso della terza economia europea quale è l’Italia. Oppure il destino del Governo è segnato, prima ancora che per i processi di Berlusconi o per i contrasti tra forze politiche che normalmente dovrebbero stare su versanti opposti, per l’avvitarsi ulteriore della crisi economica e occupazionale del nostro paese. Mettersi in una linea di prudente attesa che muti qualcosa in Europa, magari dopo il risultato delle elezioni tedesche, è il vero punto debole del Governo Letta. La prudenza serve sempre, se è al servizio di una linea determinata e forte, altrimenti è in realtà solo una perdita di tempo e l’Italia di tempo ne ha veramente poco. Approvare una nuova legge elettorale è necessario anche per essere in grado di affrontare i difficili passaggi futuri, compresa l’eventuale constatazione che il Governo Letta non è in grado di fare i passi avanti necessari. Alfiero Grandi