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Monti: a rischio la luna di miele con l'Italia
.:: Alfiero Grandi Pubblicato in data:  12/12/2011  10:11:59, in Politica, letto 1935 volte

- Pubblicato da l'Altro quotidiano e da Paneacqua 

Questo di tanta speme oggi mi resta ?

Questi versi di Foscolo si adattano bene all’attualità dell’Italia.
Il Governo Monti ha goduto di un’apertura di credito enorme che si spiega con l’insopportabilità del Governo precedente. Tuttavia la luna di miele è a rischio, anche se Monti ha inquadrato la manovra straordinaria - approvata dal suo Governo e che il parlamento sta già discutendo - in scenari apocalittici.
E’ vero che il Governo Berlusconi ha fatto danni gravissimi e che l’Italia, anche per questo, corre rischi seri. La lettera degli impegni presi dal Governo Berlusconi con l’Europa, quando ormai era chiaro che avrebbe lasciato la Presidenza del consiglio, ha contribuito non poco a segnare questa fase politica. Certo anche ’Europa ha ritardi colpevoli nell’affrontare la crisi economica e finanziaria e le sue ricette sono molto simili a quelle del Fondo Monetario Internazionale. Vedremo meglio i risultati del vertice europeo. Anche per questo l’Italia deve cercare di uscire dall’angolo per rientrare nella discussione europea senza il cappello da somaro in testa che le ha procurato il Governo Berlusconi nei 3 anni e mezzo trascorsi.
Detto questo la manovra del Governo Monti resta discutibile negli obiettivi e nei mezzi adottati. In parte questo discende dall’anomalia politica che vede partecipare al sostegno del Governo soggetti politici che dovrebbero essere su fronti opposti. Questa anomalia politica, questa sospensione della normale dialettica democratica viene spiegata con l’emergenza finanziaria, con lo spread che ha raggiunto livelli senza dubbio preoccupanti.
Questo è vero ma non sufficiente a spiegare un asse politico della manovra particolarmente conservatore, per certi aspetti fin troppo continuista con il Governo precedente.
Vale la pena di citare un aspetto “minore” del decreto approvato dal Governo Monti. Nel decreto si dice che le aste al massimo ribasso riguarderanno da ora in poi anche il lavoro (art. 44 c.1 e c.2). Era già discutibile un meccanismo di aste pubbliche fondato sul massimo ribasso che infatti ha dato pessimi risultati. Ora viene introdotto il massimo ribasso anche sul lavoro. La conseguenza sarà che le aziende che partecipanti alla aste pubbliche saranno spinte al nero, al subappalto senza limiti e che come conseguenza lo Stato avrà non solo meno legalità e minore rispetto dei diritti dei lavoratori ma anche minori entrate Irpef e minori contributi sociali.
Questa misura serve ai saldi di finanza pubblica ? Al contrario. Anche per questo è strano che la Ragioneria dello Stato non ne quantifichi la perdita di gettito prevedibile. In ogni caso è una misura sbagliata.
Sulla parte più importante della manovra va ribadito che il colpo inferto alla rivalutazione delle pensioni, che serve a proteggerle almeno in parte dall’inflazione, e alle pensioni di anzianità è dovuto - sotto il profilo finanziario - al non avere voluto/potuto caricare l’onere sui grandi patrimoni, sui redditi più alti, sui diversi redditi che pagano meno Irpef dei lavoratori dipendenti e sotto il profilo più politico ad una visione ideologica che punta ad alzare l’età pensionabile con un ritmo ultraveloce che non ha riguardo per situazioni sociali e personali che sono destinate a soffrire in modo pesantissimo. Chi dovrà restare al lavoro 5, 6 anni in più per effetto del decreto Monti - progetti di vita sconvolti a parte - non è affatto detto che potrà farlo, perché questo dipenderà dalle imprese che tendono già oggi a ridurre l’occupazione. Ammettiamo, senza concedere, che la manovra ottenga il risultato di costringere a lavorare per alcuni anni in più, il risultato sarà che in assenza di crescita occupazionale complessiva - che anzi nel prossimo futuro tenderà a ridursi - i giovani non potranno ricoprire i posti di lavoro che resteranno occupati dai più anziani e quindi la disoccupazione giovanile è destinata a crescere.
La manovra non migliora neppure la situazione pensionistica dei giovani che anzi andranno in pensione molto più tardi. La tabella del decreto è chiara: entro alcuni decenni l’età pensionabile sarà 46 anni per anzianità contributiva e 69 anni e 9 mesi per vecchiaia, a cui si sommerà l’incremento per l’aumento dell’aspettativa di vita. Nell’insieme è uno sconvolgimento sociale di proporzioni enormi, poco riflettuto nelle sue conseguenze e che adotta acriticamente il modello previsionale della Ragioneria dello Stato che non brilla certo per capacità di affrontare la complessità sociale di una società moderna.
La tutela delle pensioni dall’inflazione è una conquista importante a cui si deroga pesantemente con conseguenze depressive sulla domanda interna, che per di più si aggiunge ad anni di mancata restittuzione del drenaggio fiscale. Come del resto ci sarà depressione economica per effetto di tutta la manovra. Se togli ai redditi bassi i consumi si deprimono, se togli ai redditi alti no, o comunque molto meno.
Per di più la manovra non prevede un’iniziativa per contenere al massimo possibile l’inflazione. Anzi è il Governo che aumenta le tasse sulla benzina e il gasolio e preannuncia con l’eventuale aumento dell’Iva da ottobre un ulteriore colpo di manovella.
Senza difesa dall’inflazione e con l’inflazione già a livelli importanti, le pensioni avranno un salasso pesante.
Aggiungiamo la tassazione sulla casa compresa la prima e la compressione dei redditi medio bassi sarà pesante e la caduta della domanda interna rilevante e la recessione certa, con una diminuzione del Pil che andrà oltre la previsione dell’Ocse dello 0.5 %. Potrebbe arivare infatti all’1-1,5 %. Solo Confindustria sembra tranquilla appagata dagli interventi a sostegno delle imprese già contenuti nella manovra.
Anche qui c’è una contraddizione. Le case in affitto pagheranno meno Imu, come la prima casa, dimenticando che hanno già avuto il beneficio della cedolare secca al 19/21 % e che solo questa misura costa alle casse dello Stato almeno 2 miliardi di euro. In realtà questi 2 miliardi di euro potevano rientrare nel paniere di possibili misure alternative come la patrimoniale. E’ per lo meno curioso che proprio Monti parli di difficoltà (inesistenti) nell’adozione della patrimoniale. In ogni caso con la stessa veemenza delle misure sulle pensioni si poteva decidere di tassare finalmente tutti i redditi con le stesse regole, comprese le rendite finanziarie che sono tuttora tassate meno dei capitali (6/7 punti a favore delle rendite finanziarie), si poteva richiedere l’Iva evasa ai capitali scudati come l’Unione Europea ci ha chiesto di fare e che i Governi finora si sono ben guardati di richiedere agli esportatori illegali di capitali all’estero. Anche la giustificazione espressa dal Governo in parlamento per rinviare l’accordo con la Svizzera sui capitali italiani là depositati non tiene. Si può fare un accordo temporaneo, coerente con le posizioni europee, certamente ottenendo molto di più della miseria entrata dallo scudo fiscale. Questi soldi ci farebbero comodo. Per questo la manovra finanziaria anche se in sé è necessaria poteva essere diversa, anzi è dimostrabile che potevano essercene altre, ben diverse. Bastava volerlo. L’emergenza è un conto, il modo di affrontarla è un altro.
Per di più dopo tante critiche al Governo precedente sulla politica dei 2 tempi: prima il risanamento poi lo sviluppo, ora la critica - purtroppo - può essere trasferita al Governo Monti. Per questo è importante che i sindacati abbiano ritrovato un percorso unitario per criticare la manovra e cercare di modificarne almeno alcuni aspetti.
L’emergenza c’è, ma ci sono modi diversi di affrontarla. Ci sono aree sociali che vanno salvaguardate, obiettivi che vanno tenuti fermi. L’opposizione al fu Governo Berlusconi deve fare di tutto per non sacrificare sull’altare dell’emergenza una speranza di riscatto sociale di tanti italiani. La foto di Vasto va allargata, non ristretta.
L’alternativa alla destra deve rimanere in campo. L’emergenza non può diventare il pretesto per liquidare un’alternativa politica alla destra, in Italia e in Europa.
Alfiero Grandi