Discussione del disegno di legge: S. 953 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 15 settembre 2006, n. 258, recante disposizioni urgenti di adeguamento alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee in data 14 settembre 2006 nella causa C-228/05, in materia di detraibilità dell'IVA
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
ALFIERO GRANDI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, la discussione ha fatto rilevare alcuni aspetti che conviene riprendere. Anzitutto, la sentenza della Corte interviene su un rimborso IVA per riparazioni, carburante e quant'altro per auto che sono sì delle aziende, ma non sono usate solo per i compiti strettamente aziendali. Questa distinzione è importante per capire di cosa stiamo ragionando, perché non si tratta delle auto per uso aziendale in senso stretto, ma molto spesso di auto o mezzi di altro tipo che vengono usati per scopi anche diversi, che naturalmente l'azienda può ritenere anche legittimamente utili ai fini dei propri compiti. Proprio per intervenire sulla sentenza della Corte - che ha giudicato l'Italia in termini negativi, con una sentenza che crea un problema finanziario molto ma molto consistente e che disapplica norme italiane in materia di IVA -, è stato adottato il decreto-legge. Il testo della norma oggi all'esame dell'Assemblea della Camera non è quello originario del Governo. Infatti, il decreto-legge è stato modificato sulla base di discussioni e di osservazioni che sono venute anzitutto dal Senato della Repubblica, che ha esaminato in prima istanza il testo, ma anche da parte di soggetti che hanno rappresentato problemi e questioni. Quindi, criticare in modo indifferenziato il testo di oggi come il testo originario del decreto-legge è, a mio giudizio, una forzatura impropria; una forzatura che posso comprendere nel novero della polemica politica pregiudiziale, ma sinceramente non corrisponde al testo del decreto così come è stato modificato dal Senato e come oggi stiamo esaminando per la conversione definitiva alla Camera. Il decreto si è reso necessario per evitare un'emorragia nei conti pubblici italiani di 17,1 miliardi di euro. Se questo fosse avvenuto, avremmo dovuto aumentare del 50 per cento la legge finanziaria o, detto in altri termini, dedicare il 50 per cento della legge finanziaria che stiamo per discutere semplicemente al pagamento di questi rimborsi. Mi pare del tutto evidente che non potevamo accettare un improvviso impoverimento dei conti pubblici italiani. Per di più, come ha stabilito benissimo il DPEF, approvato anche dalla Camera, nella nota di variazione, aver consentito tale compensazione avrebbe reso questa emorragia immediata. Ciò avrebbe aumentato di circa un punto il deficit corrente, creando una condizione molto delicata in rapporto al sentiero del rientro, che sappiamo essere uno dei problemi che dobbiamo affrontare con il disegno di legge finanziaria, ossia il rispetto dei parametri concordati con l'Unione europea (lo dico perché i parametri li ha concordati il Governo precedente; noi siamo impegnati a rispettare ciò). La compensazione, quindi, non poteva essere accolta; per di più, se fosse stata accettata, ciò avrebbe creato un altro problema, ossia una condizione di indebita detrazione. A quel punto, molte imprese avrebbero dovuto fare un difficile conto con quanto avevano già detratto in sede di dichiarazione dei redditi di impresa. Di conseguenza, questo decreto ha evitato un'emorragia finanziaria dello Stato, ha creato le condizioni perché i contribuenti avessero piena consapevolezza di quanto effettivamente gli era dovuto sulla base della sentenza, creando le condizioni perché vi fosse chiarezza anche rispetto al valore di un criterio che qui ho sentito essere discusso o posto in termini che effettivamente non possono essere accolti, ossia la detrazione non può essere su tutte le spese, ma deve essere sulla quota di spese inerenti l'attività dell'azienda e questo, quando non c'è una forfettizzazione, è un vincolo inderogabile anche a livello aziendale. Quindi, azienda per azienda, si sarebbe dovuto verificare quanto era dovuto effettivamente alle aziende sulla base della sentenza. In un primo tempo, la scadenza recata dal decreto è stata portata al 15 dicembre, differendo al 15 dicembre tutto l'esito delle compensazioni e quant'altro; poi è stato posticipata al 15 aprile. La data del 15 aprile dovrebbe essere salutata come un risultato collettivo di tutta la discussione svoltasi al Senato e delle richieste che sono venute da diverse parti, perché tutti ritenevano che ci dovesse essere un tempo congruo tra quando il direttore dell'Agenzia delle entrate predisporrà il modulo telematico e le sue caratteristiche e quando il contribuente effettivamente sarà chiamato a dare le risposte. Invece, anche questo termine viene considerato una dilazione, dimenticando che è stato chiesto da tutte le parti, sia dalla maggioranza sia dall'opposizione, e che il Governo ha adeguato il testo esattamente a questa richiesta. Perché si è arrivati a tale condizione? È stato posto il problema delle ragioni per cui si è arrivati a questa condizione deprecabile del nostro paese. Allora, ricordiamo che Stradasfalti Srl ha sottolineato, prima in sede giurisdizionale poi con la Corte europea, il problema della possibilità di detrarre - quindi contestando la norma italiana - nel corso del 2004; che la sentenza della Corte è arrivata nel 2006, ma era largamente annunciata; che questo problema è stato lasciato marcire e che - lo ripeto -, in questi termini, è nato nel 2004 e non a caso su un periodo di contribuzione tra il 2001 e il 2004. Aver lasciato marcire questa situazione ha creato un'evidente difficoltà. Infatti, l'azienda che ha sollevato il problema, sicuramente, ha esercitato un diritto, ma questo diritto era pienamente evidente, prima alla Corte di Trento e successivamente alla Corte europea; naturalmente lo Stato italiano, in particolare il Governo italiano dell'epoca, avrebbe dovuto creare tutte le condizioni per poter adeguatamente resistere. E l'espressione «adeguatamente resistere» non stava nella risposta data, da ultimo, elevando semplicemente di un 5 per cento il diritto di detrazione. Infatti, c'era un cuore nelle osservazioni poste dall'azienda, le quali, a loro volta, costituiscono il cuore della sentenza europea. Quest'ultima costituisce, infatti, una sorta di musica rap, poiché rimprovera al Governo italiano di non aver ascoltato i giudizi dell'Unione europea, del nucleo di valutazione creato dalla VI direttiva. Non aver ascoltato quella valutazione, aver rifiutato di affrontare il problema e - come ha giustamente detto il viceministro Visco (lo ribadisco in quest'aula) - aver, sostanzialmente, affibbiato a chi avrebbe vinto le elezioni dopo aprile la soluzione del problema, ha creato le condizioni per una piena condanna da parte della Corte europea, avente addirittura carattere retroattivo; infatti, viene sostanzialmente rimproverato all'Italia di non aver affrontato per tempo la soluzione legislativa del problema. Oggi dobbiamo affrontare la questione rispondendo positivamente alla sentenza della Corte: l'Italia non può fare altrimenti. È falso sostenere che questa normativa sarà di nuovo soggetta a sentenza per inadempienza: non è così, questa preoccupazione non sussiste poiché è stata data piena risposta ai problemi posti. Contemporaneamente, il provvedimento in discussione oggetto dell'iniziativa del Governo italiano non può essere affrontato da solo poiché, come sappiamo, esso blocca una situazione che poteva rivelarsi veramente difficile per la finanza pubblica italiana e crea un elemento di certezza per i contribuenti; infatti, si stabilisce esplicitamente che i contribuenti con diritto al ristoro riceveranno una risposta positiva e si creano, al contempo, le condizioni per affrontare il passato ed il futuro. Affrontare il passato significa farsi carico di 17,1 miliardi, cioè la stima di quanto le aziende, sulla base del pregresso a partire dal 2003, avranno diritto a richiedere. La legge finanziaria che verrà discussa in quest'aula nei prossimi giorni stabilisce la piena regolazione debitoria del passato. Quest'ultima, per le regole comunitarie e per le regole legate al sistema SEC di vigilanza sul bilancio degli Stati facenti parte dell'Unione europea, verrà considerata come una regolazione debitoria relativa ad un debito pregresso, Di conseguenza, è previsto che nell'arco di tre anni (2007-2008-2009) vi siano non soltanto i tre miliardi già previsti originariamente dal Governo, ma anche un ulteriore incremento di 2,7 miliardi che porteranno il totale a 5,7 miliardi per tre anni, pari per l'esattezza a 17,1 miliardi di regolazione debitoria del pregresso, fino cioè alla data della sentenza: 13 settembre 2006. Affermare che ciò rappresenta una sorta di premio per le aziende o un atto dovuto nei loro confronti è un'esagerazione francamente discutibile. Infatti, non si può sottovalutare che questa sentenza, di fatto, obbliga il sistema finanziario italiano a trovare ingenti risorse non solo per il pregresso, ma anche per il futuro. È del tutto auspicabile che l'Unione europea accetti la proposta avanzata dal Governo italiano, come del resto avviene in altri paesi europei, volta ad applicare il principio dell'inerenza con l'effettiva attività aziendale sulla base non solo di una dimostrazione analitica aziendale, ma anche di un criterio forfettario, di settore. Abbiamo cioè proposto che a livello di settore venga individuata la quota percentuale: in questo modo le aziende potranno vedersi restituire quanto loro dovuto e in seguito regolare anche la futura detrazione. La quota forfettaria rappresenterebbe un'importante soluzione poiché consentirebbe alle aziende di scegliere tra la via analitica e l'adozione di un sistema molto più semplice per lo Stato e per loro dal punto di vista della contabilità. Non avendo possibilità di fare da soli, per non violare, di nuovo, il principio di rapporto corretto con il nucleo di valutazione europeo, abbiamo sottoposto la richiesta alla Commissione europea che risponderà nell'arco di alcuni mesi (si spera entro la fine dell'anno o, al massimo, l'inizio dell'anno prossimo). Nel frattempo dobbiamo prevedere il tutto, sul passato e sul corrente. Ecco perché, insieme alla previsione della finanziaria di oltre 17 miliardi, sia pure come tetto massimo di erogazione sul passato, è prevista anche una erogazione per compensazione nell'immediato, cioè nel corrente, che viene valutata in 5,2 miliardi l'anno. Per poter effettuare questa compensazione, è intervenuto il decreto-legge, approvato dalla Camera qualche giorno fa e attualmente all'esame del Senato, con cui si rende normale e corrente la possibilità di arrivare anche alla compensazione. Ricordo che la compensazione viene calcolata nel deficit corrente. Era necessario prevedere, a fronte di un'uscita certa, una entrata certa, sempre tenuto conto che, oggi, non siamo autorizzati dal nucleo europeo a forfettizzare alcunché, e, quindi, il totale. Pertanto, era inevitabile che ci fosse una soluzione all'interno del sistema fiscale dell'impresa, il quale, evidentemente, ha oggi la possibilità di maggiore detrazione nel settore IVA, per ciò che riguarda auto e assimilati, ma che, inevitabilmente, deve contemporaneamente sopportare una diversità per ciò che riguarda il sistema di tassazione diretto. Voglio dire, però, che già nel decreto è stata inserita una norma che consente, nel caso in cui venisse approvato il sistema di forfettizzazione, con una prevedibile uscita inferiore, la possibilità di riconsiderare percentualmente che alle imprese venga restituito il di più che, a questo punto, è accantonato, a fronte dell'esigenza di consentire la compensazione ordinaria. Mi pare, quindi, che il decreto, combinato con la finanziaria e con il decreto-legge fiscale, abbia consentito di risolvere sia le partite finanziarie precedenti sia le partite finanziarie correnti, per dare piena attuazione alla sentenza europea. A questo punto, emerge il problema di come tutto ciò verrà implementato. È stata osservata l'istanza telematica. Voglio ricordare che stiamo parlando di aziende che hanno, già oggi, largamente innestato il sistema telematico per ciò che riguarda i rapporti con il sistema fiscale e non ci risulta che ci siano tutti questi problemi nel condurre per via telematica le considerazioni che riguardano il rapporto con l'amministrazione fiscale. Verrà definito un modulo, che verrà inviato dall'azienda, che ritiene di avere diritto al rimborso; di conseguenza, questo verrà inviato entro il 15 aprile. Ciò non vuole dire che l'azienda deve produrre immediatamente tutta la documentazione, per due buone ragioni: innanzitutto, perché, se fosse approvata dall'Unione europea la possibilità di forfettizzare, potrebbe essere possibile che quella azienda non avrà mai bisogno di presentare la documentazione; in secondo luogo, soltanto ove l'agenzia delle entrate non fosse convinta delle risposte che verranno date attraverso il modulo telematico, potrà chiedere successivamente la documentazione che dimostri, in via analitica, la quantità effettiva di restituzione fiscale che l'amministrazione dovrà rendere. Ecco la ragione per cui c'è l'indicazione di un documento di natura telematica, che avrà un carattere semplice, nell'ambito del quale verranno indicate le grandi quantità delle aziende. Naturalmente, poi, il resto del percorso sarà di natura successiva. Mi pare che, in questo modo, abbiamo risposto positivamente allo statuto dei diritti del contribuente. Ci sono i sessanta giorni richiesti di rapporto tra l'emanazione del modulo e la domanda che il contribuente deve fare. La data del 15 aprile salvaguarda ampiamente i termini previsti dallo statuto dei diritti del contribuente. Certo, vi è una possibilità di distorsione per ciò che riguarda il sistema delle imprese; sono il modo in cui è stata emessa la sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee e le caratteristiche che la stessa introduce nel sistema dei bilanci delle imprese a provocare effettivamente una distorsione. È auspicabile che tale distorsione, anche grazie al sistema di forfettizzazione, venga largamente limitata. Vi è, poi, nel testo del decreto-legge in esame la possibilità di trovare non solo la risposta ai problemi finanziari, ma anche le condizioni per avere certezza che vi sia il pieno rispetto della sentenza: è un'indicazione molto chiara, di carattere quasi programmatico, che il Governo ha fatto con questo provvedimento. Vi è, inoltre, la garanzia che i conti pubblici, sia pregressi sia futuri, restino in ordine e, se l'Unione europea consentirà, con la norma di forfettizzazione, di garantire la via più semplice, sarà anche possibile avere contemporaneamente una garanzia di maggiore semplicità per le aziende e, nello stesso tempo, un beneficio per le finanze pubbliche, sia per il passato (perché il passato è debito dello Stato), sia per il corrente (perché il corrente è deficit pubblico). Di conseguenza, deve essere garantito un saldo zero tra le entrate e le uscite per l'applicazione di questa norma e contemporaneamente un rapporto tra il contribuente ed il sistema fiscale che sia assolutamente trasparente e semplice. Lo ripeto, qualcuno ha immaginato che vi fossero scatoloni di fatture che giravano per quanto riguarda le entrate. Nulla di tutto ciò. Soltanto nel caso in cui la richiesta non sia convincente vi sarà una richiesta dell'analitico, sempre che naturalmente non vi sia la possibilità di utilizzare il sistema forfettario. Ecco la ragione per cui credo che il Governo possa a buon titolo chiedere la conversione in legge definitiva di questo provvedimento, un decreto-legge che ha evitato una condizione molto difficile per le finanze pubbliche italiane, il cui finanziamento è previsto per la parte pregressa dal disegno di legge finanziaria e per la parte corrente attraverso i meccanismi contenuti nel decreto-legge in materia fiscale che consentono di far fronte ad una situazione che altrimenti sarebbe diventata molto delicata. Questa è una situazione che si poteva affrontare in precedenza. Il Governo precedente ha ritenuto di non doverla affrontare ed ha consegnato all'attuale esecutivo un problema. È orgoglio di questo Governo avervi fatto fronte, anche in nome delle mancanze di quello precedente.