La politica fiscale del governo verso il patrimonio immobiliare
Nel quadro dei provvedimenti adottati dal governo, nella legislatura appena iniziata, numerosi interventi hanno riguardato la fiscalità del settore immobiliare. E’ possibile ricondurre tali interventi ad una serie di finalità specifiche, che ne hanno costituito le linee guida. Una prima linea di intervento è indirizzata alla corretta determinazione della base imponibile relativa ai trasferimenti immobiliari, ai fini delle imposte indirette e dell’imposizione sul reddito. Con le norme del D.L. n. 223 del 2006, convertito dalla legge n. 248 del 4 agosto 2006, è stato stabilito, come principio di carattere generale valido ai fini dell’imposizione sui trasferimenti, che la base imponibile è costituita dal valore commerciale dell’immobile. In tal senso, sono state ridotte le ipotesi in cui è consentito determinare la base imponibile, ai fini delle imposte di registro e di quelle ipotecarie e catastali, attraverso meccanismi di valutazione automatica collegati ai dati catastali. Anche ai fini IVA, fermo restando il principio ricavabile dalla sesta direttiva secondo cui la base imponibile è data, in linea generale, dal corrispettivo pattuito tra le parti, sono state introdotte presunzioni, utilizzabili dall’amministrazione finanziaria in sede di accertamento, dirette a garantire che l’imposizione si applichi su importi corrispondenti al valore di mercato degli immobili. Tra l’altro, si è stabilito che tale valore, nel caso di acquisto assistito da un mutuo, non può essere inferiore all’importo finanziato. Questo criterio avrà effetti indiretti anche ai fini dell’imposta sul reddito, in quanto la determinazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione di immobili sarà influenzata dall’assunzione, come prezzo di vendita, di un valore prossimo a quello di mercato. In tema di fabbricati rurali che hanno perso i requisiti di ruralità, il D.L. n. 262 del 2006 (art. 4, comma 7) ha stabilito un termine entro cui i contribuenti devono provvedere alla revisione della qualificazione al fine di far emergere immobili addirittura non censiti dal catasto, ovvero di far acquisire al catasto fabbricati immobili (palazzi, ville etc…) ancora accatastati come fabbricati rurali ma oggi adibiti ad abitazioni, spesso di particolare pregio, soprattutto nelle località adiacenti alle aree metropolitane. Una seconda linea di intervento è finalizzata alla razionalizzazione dell’imposizione ai fini delle imposte indirette. Numerose norme contenute nel D.L. n. 223 del 2006, convertito dalla legge n. 248 del 4 agosto 2006, hanno perseguito un maggiore allineamento della tassazione indiretta applicabile in Italia ai trasferimenti ed alle locazioni, anche finanziarie, di fabbricati, alle disposizioni comunitarie vigenti in materia di imposta sul valore aggiunto. L’intervento, tenuto conto del fatto che la direttiva CEE n. 77/388 del 17 maggio 1977 (c.d. sesta direttiva CEE) prevede, a regime, il trattamento di esenzione dall’IVA per le operazioni richiamate, e consente agli Stati di assoggettarle al tributo solo in via transitoria, ha comportato in generale uno spostamento delle operazioni poste in essere nel settore immobiliare dal campo di applicazione dell’IVA a quello dell’imposta di registro. La manovra comporta, come ulteriore effetto, la riduzione dei rimborsi IVA spettanti agli operatori del settore, in ragione della esclusione o riduzione della detrazione dell’IVA pagata sugli acquisti, che si ricollega al fatto di effettuare, in tutto o in parte, operazioni attive esenti dal tributo. L’intervento, peraltro, ha salvaguardato situazioni in cui l’esclusione dall’assoggettamento ad IVA sarebbe illogica (es. cessioni di fabbricati nuovi da parte del costruttore) ed ha previsto trattamenti agevolati, ai fini dell’imposta di registro e delle imposte ipotecarie e catastali in relazione a particolari settori di attività, caratterizzati da tratti del tutto peculiari, quali quello del leasing immobiliari e quello dei fondi immobiliari. Una terza linea di intervento è indirizzata alla introduzione di adempimenti a carico dei contribuenti per contrastare l’evasione fiscale. Sono state introdotte particolari formalità collegate alle compravendite immobiliari, dirette a combattere l’evasione dall’imposta nei riguardi non solo delle parti contraenti, ma anche dei soggetti che rendono prestazioni di intermediazione. Il notaio, in veste di pubblico ufficiale, assume in questo quadro un ruolo di notevole rilevanza, in quanto è chiamato a dar conto, nel contratto o in atti collegati, non solo delle pattuizioni contrattuali, ma anche delle modalità attraverso le quali sono effettuati i pagamenti, nonché delle generalità dei soggetti che hanno favorito la conclusione del contratto e dei compensi ad essi corrisposti. Nel settore dell’IVA , al fine di scoraggiare le frodi poste in essere nella fase di realizzazione o di restauro degli immobili, ad opera di imprenditori edili di piccole dimensioni che operano in qualità di subappaltatori, sono state previste particolari modalità di fatturazione attraverso le quali viene individuato come debitore d’imposta l’imprenditore responsabile dell’appalto principale (c.d. meccanismo del reverse charge). E’ intenzione del governo estendere tale modalità di fatturazione, già con la finanziaria in corso di approvazione, anche alle cessioni di immobili strumentali imponibili ad IVA. Accanto a queste linee di intervento, che rientrano nel quadro più generale di impegno per l’emersione dell’imponibile e di lotta all’evasione vera e propria, non può essere trascurato, nel quadro della politica fiscale verso il patrimonio immobiliare, la questione del ripristino della tassa di successione per i grandi patrimoni. Dopo la prima versione dell’intervento contenuta nel decreto legge 262, il provvedimento che sta per essere convertito in legge conterrà la reintroduzione della tassa di successione solo sui grandi patrimoni. Dopo un acceso dibattito sui criteri di definizione della grandezza dei patrimoni, non ci può essere dubbio che la misura alla fine adottata – un milione di euro per erede – si attagli a questo tipo di definizione, soprattutto ove si consideri, per quanto riguarda il patrimonio immobiliare, il riferimento al valore catastale. Per arrivare però al punto centrale della politica fiscale del governo verso il patrimonio immobiliare occorre dare uno sguardo ad alcuni dati d’insieme. A quanto ammonta complessivamente la pressione fiscale che grava sul patrimonio immobiliare? Possiamo suddividere il gettito in tre gruppi: 1. l’imposizione sul valore o sull’incremento di valore degli immobili; 2. l’imposizione sui trasferimenti della proprietà; 3. l’imposizione sui redditi effettivi o figurativi derivanti dalla proprietà. Il primo gruppo ricomprende ormai soltanto l’ICI, essendo stata l’INVIM definitivamente soppressa, e corrisponde più o meno a 10 miliardi di euro; il secondo gruppo ricomprende IVA, imposta di registro, imposta ipotecaria e catastale e corrisponde a 11 miliardi di euro; il terzo gruppo ricomprende IRE e IRES e corrisponde a 7 miliardi di euro. Complessivamente quindi stiamo parlando di una cifra che si aggira sui 28 miliardi di euro, equivalenti al 7% del totale delle entrate tributarie. Di per sé dunque non stiamo parlando del problema più grave dal punto di vista della pressione fiscale complessiva, basti pensare a questioni come quella del cuneo fiscale, per misurarsi con ben altri numeri. Gli stessi interventi di riduzione portati avanti dai primi governi di centrosinistra hanno comportato riduzioni superiori complessivamente a tutto l’ammontare dell’ICI riscossa nel nostro paese. La particolare sensibilità rispetto alla pressione fiscale sul patrimonio immobiliare deriva dalla particolare situazione nel nostro paese, che vede una percentuale di proprietari della casa di abitazione molto al di sopra della media europea, qualcosa che si aggira ormai intorno al 75% (72,9% nel 2004, dati ISTAT) . Non solo, se guardiamo i dati sul credito immobiliare e sul volume dei mutui ipotecari accesi sulla casa, possiamo verificare che per buona parte delle famiglie la casa di proprietà non solo rappresenta l’unico patrimonio, ma spesso oltre che un patrimonio al tempo stesso rappresenta un ingente debito. Non a caso il candidato premier della coalizione di centrodestra ha usato come ultimo colpo di scena nella campagna elettorale la promessa di esenzione dall’ICI per la prima casa e sarebbe interessante sapere quanto questa mossa, a dir poco disinvolta dal punto di vista del bilancio dello Stato, abbia contribuito a contenere la misura della sconfitta elettorale della coalizione di centrodestra. In questa situazione appare evidente quanto sia necessario che la politica fiscale che il governo intende portare avanti sia rappresentata nel modo più chiaro possibile, al fine di evitare di creare allarmi ingiustificati. Da questo punto di vista il punto centrale della politica fiscale di questo governo verso il patrimonio immobiliare sta scritto a chiare lettere nel programma di governo: “la riforma del catasto in modo da rendere coerenti i valori e le rendite con i valori di mercato dei cespiti immobiliari e la contestuale revisione delle aliquote al fine di non inasprire il prelievo complessivo, soprattutto sulla prima casa;”. Il motivo per cui viene individuato con chiarezza questo obiettivo centrale è di tutta evidenza: non è più rinviabile una riforma del catasto che così com’è, non può essere utilizzato per governare in maniera equa il prelievo fiscale sul patrimonio immobiliare. E non lo è ormai da troppo tempo: per dare una dimensione del problema, basti pensare che già quando fu varata la legge sull’equo canone, nel lontano 1978, volendo ancorare l’equità del canone al valore dell’immobile, venne considerata inutilizzabile la base dati catastale, per la obsolescenza delle rendite attribuite agli immobili e per l’iniqua stratificazione dal centro alla periferia senza alcun aggiornamento delle rendite attribuite in data anteriore rispetto a quelle attribuite più recentemente. Il risultato, quasi trent’anni dopo, è ancor più irrazionale è sperequato: il valore catastale attribuito ad una casa del centro storico, il cui valore a metro quadro supera di tre / quattro /cinque volte il valore di una casa di periferia, è inferiore a quello della casa di periferia. Il risultato, in termini concreti, una volta pagata l’ICI, è che i servizi di norma e di gran lunga migliori, in termini di arredo urbano, trasporti, pulizia delle strade del centro storico sono pagati dalle famiglie residenti nelle periferie. Ecco, con questa iniquità di enormi dimensioni, occorre una buona volta fare i conti e decidere se ci si vuol metter mano e superarla. Per far questo è necessario che sia sgombrato il campo dalla possibilità di strumentalizzare la massa delle famiglie che con grandi sacrifici hanno comprato la casa in cui abitano, alimentando spauracchi di aumenti devastanti delle imposte sui bilanci familiari. In questa direzione, il disegno di legge delega per la riforma del sistema estimativo catastale già contiene al suo interno la previsione del mantenimento dell’attuale pressione fiscale complessiva sul patrimonio immobiliare; andrà specificato ulteriormente il meccanismo di garanzia, soprattutto per i proprietari della casa di abitazione, eventualmente con una vera e propria “clausola di salvaguardia”. L’altro elemento di grande innovazione con il quale il governo intende portare avanti il processo di riforma del catasto, è il tema del decentramento. Previsto dalla legge delega del 1997 e dal decreto legislativo del 1998, il decentramento verso gli enti locali è stato bloccato per tutta la scorsa legislatura da una maggioranza che pure ha speso gran parte del suo tempo a scrivere una riforma costituzionale, basata sulla devolution, bocciata poi dagli italiani col referendum costituzionale. Già nella finanziaria sono previste specifiche norme per avviare finalmente questo processo di decentramento, chiarendo rispettive funzioni e modalità di interscambio tra enti locali e agenzia del territorio, con l’obiettivo di rendere finalmente aggiornata e più funzionale la preziosa base di dati catastale. E proprio questo processo di decentramento potrà alla fine dei conti rappresentare un ulteriore elemento di garanzia per il cittadino, per quel principio di sussidiarietà che sta alla base della riforma del titolo V della Costituzione. L’obiettivo di riforma del catasto, consistente, ripeto, in due distinti processi, quello di decentramento verso gli enti locali e quello di revisione del sistema estimativo, assume una rilevanza centrale nella politica fiscale del governo verso il patrimonio immobiliare e già questo da solo richiederà un impegno per tutta la durata della legislatura.