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OCSE conferma un futuro nero per l'Italia
.:: Alfiero Grandi Pubblicato in data:  17/06/2009  16:28:10, in Economia, letto 1791 volte
I dati e le previsioni dell’OCSE dicono ancora una volta che la crisi è tuttaltro che risolta come invece cerca di far credere la campagna inutilmente ottimistica - senza alcun fondamento- del Presidente del Consiglio . Ancora in questi giorni Berlusconi ha invitato (i disoccupati ? i lavoratori i cui salari sono fermi ?) a consumare e ha ribadito che per combattere la crisi occorre ottimismo.
La distanza tra le dichiarazioni di Berlusconi e la drammatica realtà dei fatti dipende solo dall’attenzione distratta dagli scandali e dalle nuove inchieste giudiziarie di cui si vocifera ? Non credo proprio.
Dipende certamente dalla diversità della vita reale di una parte importante del paese, di cui lui è all’apice, che non risente della crisi e che in questi anni si è intestata una parte crescente della ricchezza prodotta dal nostro paese, aumentando a dismisura le distanze sociali. Emblematico è il caso di quel tal Puri Negri che è stato liquidato qualche settimana fa con 14 milioni di euro, alla faccia di tutti i discorsi sulle retribuzioni troppo elevate e con uno schiaffo in faccia al numero crescente di lavoratori in cassa integrazione a 700 euro al mese.
Del resto l’OCSE prevede che alla fine del 2009 la disoccupazione in Italia sarà al 10% e crescerà ancora nel 2010. E’ stupefacente come il Governo, a partire da Tremonti, finga (smentito da tutte le altre previsioni, OCSE compresa) di credere alla ripresa economica a breve e quindi al superamento delle difficoltà, quasi per miracolo. Certo raddoppiare il periodo di cassa integrazione come vorrebbero i sindacati, estendere gli ammortizzatori sociali a chi non ne ha (fino ad ora troppo poco) crea qualche difesa in più contro la perdita di reddito, ma prima o poi l’onda d’urto dei licenziamenti può arrivare e quindi anche le percentuali della disoccupazione salirebbero, esercitando una pressione negativa anche sulle retribuzioni di chi lavora.
C’è poi la balla che da noi le cose andrebbero meglio. In realtà il Governo, oggi come nel periodo 2001-2006, punta tutto sulla possibilità di agganciare la ripresa internazionale, che peraltro nessuno sa quando e come ci sarà. Il Governo sembra dimenticare che per agganciarsi occorre avere delle carte da giocare, mentre l’OCSE prevede in Italia un crollo degli investimenti pubblici, in particolare degli Enti locali, e di quelli privati, quindi delle possibilità di agganciare un’eventuale futura ripresa.
Per di più gli unici investimenti di cui si parla come Ponte sullo stretto e Nucleare sono costosissimi, dannosi e rischiano di tagliare fuori l’Italia dall’impegno in investimenti nei settori più innovativi come le fonti energetiche rinnovabili, il risparmio energetico, una nuova mobilità, una riforma dei consumi, ecc.
Allo stato delle cose la previsione possibile è che la parte ricca del paese difenderà i suoi privilegi fino in fondo, tentando di scaricare le contraddizioni sulla parte meno abbiente, che già sopporta disoccupazione e diminuzione del reddito disponibile.
Non a caso sono tornate in ballo le pensioni e Confindustria spinge il Governo a rimetterci le mani.
Dimenticando che allungare l’età lavorativa è come dire ai giovani che debbono restare ancora di più fuori dal lavoro.
Dimenticando che ridurre il potere d’acquisto dei pensionati vuol dire dare un altro colpo alla domanda interna che già è in calo (secondo OCSE nel 2009 i consumi caleranno del 2,4%) per la riduzione di quello dei lavoratori.
La riduzione del potere d’acquisto dei lavoratori e dei pensionati perseguito nel corso degli ultimi 15 anni ha finito con il diventare una delle ragioni della crisi, un vincolo negativo, perché ha bloccato la domanda interna, mentre la ricchezza e il reddito concentrati in una parte del paese non la fa aumentare.
Per superare questa crisi occorre anzitutto programmare la crescita del reddito di chi lavora, altrimenti la domanda non riprenderà. Ci vorrebbe almeno un nuovo Ford che pensava alle auto da costruire ma anche a chi le avrebbe acquistate.
Del resto è aperto un problema enorme: la BCE ha quantificato le ulteriori sofferenze (titoli marci) delle banche europee in 240 miliardi di euro, che si aggiungono alle enormi risorse pompate in vari modi nel sistema creditizio in Europa e nel mondo. Chi pagherà queste risorse ? Ora l’urgenza va al superamento dell’emergenza crisi economica, ma è aperto anche il problema di chi ne pagherà i costi. Pensiamo all’Italia. Rientrare da un debito che tenderà al 120% del PIL e da un deficit al 6% (previsioni OCSE) pone drammaticamente il problema dei costi della crisi. La riduzione delle entrate fiscali non si giustifica solo con la crisi, ma anzitutto con una ripresa massiccia dell’evasione e per di più nulla è stato chiesto a chi ha di più, anzi sta arrivando il solito provvedimento proevasori sotto le parvenze di riportare in Italia i capitali esportati illegalmente.
In altri tempi si sarebbe detto che è aperto un problema di rapporti tra le classi. Si può dire anche oggi, visto che il conto della crisi sarà enorme, come se fossimo tornati indietro di almeno 15 anni.
Alfiero Grandi
17/6/2009