- Pubblicato da Sinistra Democratica News il 20/04/09
Quando si è iniziato a comprendere la gravità della crisi economica generata dalla crisi finanziaria (dopo avere spergiurato, come ha fatto Berlusconi, che la crisi finanziaria non avrebbe coinvolto l’economia reale) non sono mancati sussiegosi impegni, a partire da Tremonti, a modificare drasticamente le regole (e i prodotti) dei mercati finanziari, definiti la peste del XXI secolo. Si è svolta sull’argomento anche una riunione del G20, ma i risultati sembrano francamente modesti . Non è neppure sicuro che la famosa black list dei paradisi fiscali (e legali) verrà ampliata come promesso perché la presenza di alcuni paesi è indubbiamente imbarazzante per l’Unione Europea e altri “paradisi” fanno troppo comodo, basta guardare alle sedi di filiali estere di grandi e stimati gruppi finanziari e bancari, anche italiani, per capire che cambiare non sarà facile. Quindi anziché provvedere a “disinquinare” i mercati finanziari sembra di capire che si alzeranno i limiti posti all’inquinamento finanziario. Se i “veleni finanziari” non vanno a Maometto, è Maometto che….Anche delle tanto proclamate intenzioni interventiste di Tremonti non resta granchè di concreto, almeno per ora. La teoria dei ragionamenti fin qui fatti dice che sarebbe necessario stabilire controlli ben più severi sui mercati finanziari e arrivare a proibire la circolazione di alcuni prodotti finanziari, che peraltro probabilmente sono in lista di attesa per dare a breve altri guai all’economia mondiale come gli hedge fund e alcuni titoli“derivati” che servono in realtà da veicolo alla speculazione. Per fare un esempio: non solo il falso in bilancio è ancora in attesa di essere reintrodotto come un reato punito con la necessaria severità, ma sono state tolte proprio dal Governo di cui Tremonti fa parte alcune barriere nei rapporti tra banca e impresa che erano state introdotte dopo la crisi del 1929 proprio per evitare i rapporti incestuosi tra finanza e impresa che sono stati all’origine di quella crisi. Dopo le roboanti affermazioni sulla peste del XXI secolo ci si aspettava che almeno in Italia ci fosse la svolta desiderata. Del resto altri paesi come Francia e Germania hanno premuto su Obama per convincere gli Stati Uniti che le regole più stringenti sui mercati finanziari non sono da stabilire dopo il superamento della crisi per la semplice ragione che la loro mancanza, o almeno insufficienza, è esattamente all’origine della crisi finanziaria ed economica. Molte dichiarazioni sono state fatte ma la realtà sembra molto simile a quello che c’era prima. Del resto dopo il primo shock è in atto un palese tentativo gattopardesco di sopravvivere alla crisi da parte dei responsabili. Anche il Sole 24 ore da qualche giorno dedica articoli di peso a contrastare, in nome del mercato, il presunto populismo di quanti vorrebbero mettere un limite, e un controllo, alle super retribuzioni dei manager della finanza. Peccato che le retribuzioni dei lavoratori tendano al basso e non solo perché non crescono ma anche perché l’aumento della cassa integrazione ovviamente abbassa la media retributiva. Peccato che proprio in queste ore si è saputo che un manager del gruppo Pirelli se n’è andato con ben14 milioni e non risultano critiche particolari a questa decisione da parte del Governo, che anzi si è ben guardato dall’introdurre una norma di stampo obamiano per definire tetti alle retribuzioni dei manager almeno nelle banche che chiedono l’intervento dello Stato a garanzia della loro solvibilità. Per Tremonti e c. basta un blando e generico appello ai manager a non esagerare e puntualmente, con la citata decisione della Pirelli, si è visto che questo appello non è stato particolarmente “efficace”. Nessuno pensa che in Italia si possano prendere decisioni che sono tipiche di sedi sopranazionali ma almeno si potrebbero prendere quelle che spettano ai singoli Stati e dichiarare un orientamento da sostenere nelle sedi internazionali. Per di più i margini di manovra non sono affatto diminuiti. Un esempio. Il Lussemburgo che sta a buon titolo tra i paradisi fiscali fa fatica a dotarsi di severe regole di trasparenza, ma l’Italia che non lo è (anche se qualcuno in anni recenti ci ha provato) e quindi potrebbe fare di questo un suo punto di forza per attrarre capitali in cerca di trasparenza e serietà di regole. Disinquinare il mercato finanziario italiano, renderlo trasparente potrebbe rivelarsi un punto di forza, in grado di rovesciare l’immagine e la sostanza dell’Italia e quindi di attrarre capitali che oggi, dopo la crisi, chiedono chiarezza perché lo chiedono i risparmiatori che altrimenti preferiscono il materasso. Invece no. Il Governo non sa che ripercorrere vecchie strade che sono coeve e insieme coerenti con la depenalizzazione del falso in bilancio. Mi riferisco alla ventilata reintroduzione dello scudo fiscale per fare rientrare i capitali dall’estero. Già visto. E’ una linea che si basa sul “principio” che pecunia non olet. Invece sappiamo, dalla drammatica esperienza di crisi finanziaria che stiamo vivendo, che in certi casi non solo pecunia olet ma puzza proprio, perché è marcia come lo sono i titoli spazzatura. Reintrodurre ora lo scudo fiscale non è solo ripercorrere un errore già fatto in passato, ma è anche un segnale nella direzione opposta a quella necessaria, perché è un “tana libera tutti” proprio quando sarebbe necessario definire un nuovo sistema di regole del mercato finanziario, tali da offrire garanzie ai risparmiatori, ai cittadini, al paese. Tanto più che a fronte dell’enorme debito pubblico italiano tutti decantano la ricchezza privata e quindi occorrerebbe creare le condizioni di sicurezza finanziaria per convincerla a impegnarsi nella ripresa economica. Altrimenti è evidente che i soldi resteranno sotto il mattone o finiranno di nuovo e solo nell’edilizia. In realtà le emergenze: economica, finanziaria, del terremoto vengono viste come occasioni per togliere vincoli, per allentare le regole. Del resto basta vedere empiricamente nell’esperienza quotidiana di ognuno di noi quello che sta accadendo con gli scontrini fiscali: la loro rarefazione è del tutto evidente ed è un processo in rapida crescita, chi doveva capire ha capito benissimo il segnale e infatti le entrate fiscali sono in caduta libera, ben oltre il rallentamento economico. Ai fini della cosiddetta peste del XXI secolo, le scelte del Governo ricordano i profumi che si credeva potessero proteggere dalla peste nei secoli passati, semplicemente sono inefficaci. Mentre la crisi potrebbe essere l’occasione di un cambiamento radicale, per portare il nostro paese all’avanguardia nelle regole nei mercati finanziari, ma forse questo non si può chiedere a questo Governo, che è anzitutto l’espressione dei ceti sociali che sono interessati a ripulire i loro capitali esportati illegalmente all’estero. Non va dimenticato che oltre la metà dei rientri di capitali dall’estero, grazie al precedente scudo fiscale, era concentrato in Lombardia. Quindi i proclami di Tremonti, le altisonanti dichiarazioni, le dichiarazioni che minacciano sfracelli nei mercati finanziari lasciano in realtà il posto ad una pratica molto più terra terra e fin troppo uguale a quella del passato, di qui la rispolverata allo scudo fiscale, di nuovo c’è solo la motivazione strumentale dell’emergenza.
Alfiero Grandi