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Federalismo fiscale - pubblicato da Sinistra democratica News e Aprileonline il 10/09/08
.:: Alfiero Grandi Pubblicato in data:  10/09/2008  10:49:39, in Fisco, letto 2148 volte

Il costo del federalismo fiscale secondo l’orientamento prevalente nel Governo e fortemente voluto dalla Lega è molto rilevante. Più o meno 2 intere leggi finanziarie. Non bisogna farsi ingannare dalla disponibilità del Governo a raccogliere osservazioni. La Lega vuole realizzare ad ogni costo questo obiettivo che considera condizione per mantenere il suo appoggio al Governo Berlusconi e a questo fine è disponibile ad imbrogliare le carte, a fingere di dare ragione a tutti, pur di realizzare l’obiettivo. Del resto come interpretare altrimenti i clamorosi affermo-smentisco sull’IRPEF alle Regioni o sulla reintroduzione dell’ICI. Nel breve periodo l’unico versante politico che preoccupa il Presidente del Consiglio è non rompere con la Lega. La Lega ha mandato sotto il Governo in voti parlamentari importanti inviando così un messaggio esplicito a Berlusconi, che infatti cerca di dimostrare in ogni modo che è un alleato affidabile. Se lo fosse veramente tante assicurazioni sarebbero inutili. Non a caso Tremonti sta manifestando una prudenza sospetta sui conti pubblici. In realtà cerca in ogni modo di avere a disposizione le risorse finanziarie aggiuntive che saranno indispensabili per accontentare la Lega senza aprire una guerra con altre aree del paese che hanno premiato elettoralmente proprio la destra, come la Sicilia o Roma. Il costo ipotizzato del federalismo nella versione attuale va dai 43 ai 60 miliardi, avendo riguardo ai poteri che si pensa di decentrare e alle entrate fiscali da attribuire alle Regioni e agli Enti locali. Si è cercato di tacitare la CGIA di Mestre, ma la verità dei fatti è più forte della propaganda mielosa di Calderoli. Oggi le Regioni italiane dispongono di circa 116 miliardi di euro. Dopo la riforma federalista, pur minore delle pretese lombarde, alle Regioni andrebbero almeno altri 43 miliardi, con un totale di circa 160 miliardi di euro. Tenendo conto dei conti pubblici attuali e anche con le disponibilità finanziarie nascoste da Tremonti non si arriva a questa cifra e quindi è iniziata l’invenzione politica a cui seguirà la finanza creativa sui modi per realizzare l’obiettivo. Basta pensare ad alcune di queste “invenzioni”. Se le risorse attribuite alle Regioni aumentano anche il debito pubblico dello Stato deve essere condiviso con loro, come se questo gioco di prestigio lo facesse diminuire. Se non vengono trasferite le risorse corrispondenti ai compiti possono essere trasferiti pezzi del patrimonio dello stato che (ammesso che sia possibile) non è comunque distribuito nello stesso modo in cui sono necessarie le risorse. Le risorse da trasferire aprono seri problemi finanziari allo Stato perché debbono garantire alle Regioni “attive” una maggiore quantità di risorse e nello stesso tempo alle altre Regioni risorse almeno pari (se basterà) a quelle attuali. Quindi se non si vuole spendere di più occorre diminuire le risorse ad alcune Regioni (le più deboli) per lasciare maggiori risorse ad altre (le più forti). Oppure è inevitabile aumentare le risorse complessive trasferite alle Regioni. Questa è la spiegazione della discussione, solo apparentemente tecnica, se si debba seguire la spesa storica o ripartire le risorse sulla base di compiti standardizzati. La spesa storica tende a garantire le risorse ricevute fino ad ora mentre quella relativa ai compiti finanziariamente “garantiti” definisce un costo standard per ogni intervento e ogni Regione riceverà solo questo corrispettivo, senza riguardo se sia o meno sufficiente. Per di più i tempi previsti per realizzare gli obiettivi (3/5 anni) sono molto stretti. La differenza è tra la garanzia di un diritto che comunque va assicurato (ad esempio alla salute) e un diritto che può essere garantito solo nei limiti finanziari previsti e la cui mancata realizzazione ricade tutta sulle spalle del cittadino o come costi aggiuntivi o come minori diritti garantiti. Per essere chiari un conto è dire che un intervento per la salute può e deve costare X e prendere tutti i provvedimenti necessari per avvicinare in ogni parte del paese i costi allo standard prefissato, altro è dire che viene garantito X di costo e chi non ce la fa si arrangia. Ovviamente chi non ce la fa alla fine è il cittadino titolare del diritto che in questo modo viene garantito solo entro un limite finanziario dato. Del resto se fosse così semplice realizzare il costo standard dei servizi perché dopo decenni di tentativi siamo ancora così lontani dalla realizzazione dell’obiettivo ? Calderoli, con una certa abilità, ha cercato di dare una veste semplificata all’autonomia finanziaria delle Regioni e dei Comuni indicando un unico tributo per ciascuna sede istituzionale, ma non tutti i tributi sono in realtà uguali. Ad esempio l’Irpef è una imposta decisiva sia in termini quantitativi che qualitativi ed essendo l’imposta diretta più importante è in grado di modificare la distribuzione del reddito contribuendo a renderla più o meno equa. Anche negli USA l’imposta sul reddito è federale e non a caso il reato di evasione fiscale è servito ad assicurare alla giustizia criminali pericolosi. Quindi l’IRPEF è uno strumento di politica economica nazionale e poichè non può che essere manovrato dallo Stato non si capisce dove sarebbe la cosiddetta autonomia impositiva delle Regioni, visto che si tratta di uno strumento deciso in sede nazionale, mentre le Regioni hanno avuto fino ad ora voce in capitolo solo per una limitata addizionale. Altro sarebbe dare certezza automatica del trasferimento alle Regioni delle risorse loro attribuite per i compiti che debbono svolgere e individuare quale imposta ( o sua parte) o tassa (o sua parte) possa essere manovrata come tassa di scopo decisa in reale autonomia dalla singola Regione e di cui deve rispondere agli elettori. In realtà la proposta di attribuire l’IRPEF alle Regioni avvia un percorso che non finisce con il federalismo fiscale perché in questo modo si insinua che il prelievo fiscale sia in realtà delle Regioni e da qui inviato a Roma. E’ il meccanismo che usò Eltsin in funzione anti Gorbaciov. Ci sono seri problemi anche nella ripartizione dei poteri: la sanità è affidata da anni alle Regioni, anche se non sempre con lode nei risultati, la scuola no e quindi si tratta di una novità sostanziale, con l’avvio di un percorso che potrebbe portare ad un indebolimento serio del ruolo dello Stato nell’istruzione pubblica. In ogni caso guardando solo alle risorse si pongono questi problemi. Se alle Regioni più deboli non vengono garantite almeno le risorse attuali non saranno in grado di garantire ai cittadini i servizi di cui dispongono oggi, che sono già in molti casi inferiori alle necessità. Vedi il deflusso sanitario dal Sud verso il Nord. Se alle Regioni vengono garantite le stesse risorse di oggi non si capisce dove sia l’autonomia impositiva. In pratica sarebbe una partita di giro più facilmente risolvibile, con maggiori garanzie per tutti, con una attribuzione certa ed automatica delle risorse, anche con compartecipazioni, sulla base di meccanismi finanziari stabiliti. In altre parole questo non è un problema fiscale ma di attribuzione di risorse certe e il risultato si può ottenere in modo migliore senza fingere un decentramento di poteri che in realtà non c’è. Per quanto riguarda la vera autonomia il problema si può risolvere solo definendo le voci di entrata veramente manovrabili dalle Regioni. Per quanto riguarda i Comuni il discorso è largamente simile. Le compartecipazioni sono solo un modo per assicurare risorse certe in tempi certi, perché troppe volte l’erogazione è rimasta nella tagliola dei tagli. Anche per i Comuni, come per le altre sedi istituzionali, si pone il problema di quanto è loro attribuito e della certezza dell’attribuzione delle risorse. L’autonomia finanziaria vera non può che essere trovata individuando le voci di entrata manovrabili in modo realmente autonomo da parte dei Comuni. Anche in questo caso è del tutto inutile affermare che hanno piena sovranità su voci di entrata decise da altri. A questo proposito poi c’è da sottolineare che incredibile è la confusione introdotta da Calderoli che ha parlato di 10 tasse sulla casa. 10 tasse non esistono, tanto è vero che per rafforzare il suo ragionamento ha resuscitato l’INVIM che è stata abolita 10 anni fa e ha confuso l’ICI che è certamente una tassazione su tutti gli immobili (che una parte sia esentata non cambia il ragionamento) con le tasse sulle compravendite che sono variabili e che sono diverse negli effetti da zona a zona, a seconda del valore degli immobili. Con questa confusione è ancora di più impossibile arrivare ad accettare una delega in bianco al Governo nella decisione degli strumenti fiscali da attribuire alle Regioni, ai Comuni, ecc. Potremmo avere sorprese amare e quindi sarebbe bene che sul federalismo fiscale si agisse consapevoli che si rischia seriamente di spaccare il paese in pezzi, di intaccare diritti costituzionali fondamentali e che può portare ad un aumento della spesa pubblica fuori controllo. Tremonti è consapevole del pericolo ma la sua preoccupazione è la tenuta del Governo ad ogni costo. Per questo sta mettendo quanto più fieno può in cascina, perché sa che il Governo sul federalismo può entrare in crisi e quindi sta tentando con ogni mezzo di prevenire questo pericolo, anche a costo di ritardare la ripresa economica, di rinviare gli investimenti pubblici necessari, ecc.

Alfiero Grandi, sottosegretario Governo Prodi