Va dato atto a Fulvia Bandoli di avere posto con argomentazione e chiarezza il problema della prospettiva della sinistra dopo la sconfitta elettorale e in questo ambito cercando di individuare il ruolo che potrebbe svolgere Sinistra democratica. Qualche aspetto del ragionamento di Fulvia non mi convince, ma ho apprezzato la direzione di ricerca sulle questioni di fondo e ritengo necessario –data l’ora grave - che ci si confronti apertamente sui problemi aperti e sulle soluzioni possibili. Fulvia parte da un’analisi attenta e dettagliata della situazione che condivido e che, per comodità, non ripeto. Mi riferisco ai nodi di fondo del paese, dei lavoratori, dei cittadini. Riassumo il senso dei problemi richiamati da Fulvia, sperando di non forzarne il pensiero, sottolineando che è in atto un consolidamento – speriamo non definitivo – della destra che fino a questo momento sembra essere in grado di mantenere il consenso elettorale, e non solo, ricevuto in aprile. Pesa ovviamente non poco la rarefazione dell’opposizione, complice l’evidente impaccio del P.D. che sempre più conferma di essere una creatura più per governare che per opporsi. Mi ha colpito il recente accordo realizzato con la Libia. Una parte del PD ha rivendicato legittimamente il ruolo svolto in precedenza dal Governo Prodi per arrivare a questo accordo, l’altra parte ha parlato di accordo con il dittatore Gheddafi evidenziando così una confusione che si manifesta –purtroppo - ad ogni piè sospinto, basta ricordare la polemica tra alcuni Sindaci e il partito. La raccolta di firme organizzata dal PD è un’ulteriore conferma della difficoltà a trovare il passo giusto e Di Pietro ormai copre un’area di intervento politico molto più ampia di quella tradizionale. Infatti Di Pietro che si occupa dell’Alitalia è un’autentica novità e lo può fare solo perché il PD gli regala uno spazio politico enorme. La concorrenza politica dell’IdV al PD è ormai a tutto campo. Questo però conferma anche che lo spazio politico per prendere iniziative c’è. La sinistra avrebbe anch’essa notevoli possibilità di farsi sentire. Anche senza essere in parlamento, ma per ora non ci riesce. Per quali ragioni ? Anzitutto è reduce da una discussione sulla sconfitta elettorale che è arduo definire positiva. Ognuno dei soggetti ha discusso per conto suo e ha deciso, quando c’è riuscito, che la priorità è la sua sopravvivenza, come gruppo, come storia, ecc. Gli elettori, i cittadini possono aspettare. Facciamo pure la tara della maggiore forza mediatica di chi sta in parlamento, anche se noi potremmo comunque fare molto meglio. Hanno parlato di diritto di tribuna ? rivendichiamolo, pratichiamolo. Dobbiamo utilizzare tutti gli spazi possibili, mentre c’è chi, dopo la sconfitta, fa fatica a frequentare le Camere. Comunque resta il fatto che la sinistra complessivamente non si occupa, o almeno non a sufficienza e in modo credibile, dei problemi veri che attanagliano le persone reali. Quelli che ha ripercorso Fulvia, per intenderci. Il problema di fondo della sinistra (tutta) a mio avviso è che deve dare risposte qui ed ora ai problemi che mettono in ansia le persone in carne ed ossa. Partire dai problemi e non dalla sopravvivenza dei gruppi dirigenti mi sembra l’ottica con cui affrontare la situazione e la confusione immobilista che travaglia il PD è anche un po’ colpa nostra che non lo incalziamo con azioni precise cercando di smuoverlo, per quanto è possibile, nella direzione che ci sembra giusta. Un sogno ? Occorre dire basta a discussioni ed iniziative autoreferenziali. Bene una riflessione più di fondo perché quanto è accaduto con le elezioni di aprile è grave, epocale ma senza dimenticare il qui ed ora perché le persone reali hanno bisogno di risposte adesso. Non c’è un primo tempo per la riflessione e un secondo, successivo, per l’iniziativa perché le persone a quel punto si saranno semplicemente allontanate verso altri lidi. Non ci vuole poi molto. Ho provato qualche entusiasmo per il discorso di Obama. Nulla di trascendentale ma ha chiamato l’avversario per nome, cioè lo ha identificato, e ha detto cosa vuole fare per chi lavora, per chi sta peggio, per l’ambiente, per lo stato sociale, mettendo l’accento sul dialogo anzichè sulla guerra. Quindi Democratico non vuol dire essere moscio e anche chi sta più a sinistra può apprezzare le differenze di Obama dalla destra. In Italia non è così. La corsa a dire le stesse cose, o almeno a dire le più simili, è impressionante. Se Di Pietro vede lo spazio enorme di iniziativa che esiste, cosa impedisce alla sinistra di coprirlo per quanto è capace ? La sinistra del dopo congressi è forse più divisa di prima del voto, come reagire ? Qui c’è una diversità da Fulvia, se ho bene inteso il suo ragionamento. Non credo che la risposta verrà nel fare le stesse cose di altri alla rovescia. In altre parole se ora Rifondazione ha un gruppo dirigente che mette il suo partito avanti tutto non è una buona ragione per rassegnarci. A me sembra che l’idea di fare comparire sulla scheda delle prossime elezioni europee il simbolo della Costituente della Sinistra (a cui è prevedibile non aderiranno buona parte dei soggetti che diedero vita all’Arcobaleno) non sia una proposta in grado di fare superare le difficoltà, ma anzi paradossalmente sia troppo in difensiva rispetto alle chiusure di altri, troppo simile anche se rovesciata nella prospettiva. Poi che campagna elettorale sarebbe ? Ogni pezzo della sinistra sulla scheda per le elezioni europee verrebbe a trovarsi in concorrenza, per la sua sopravvivenza, con gli altri pezzi della sinistra. Immaginiamo che credibilità avrebbe una proposta unitaria dopo un’esperienza di questo tipo. Se l’Arcobaleno era poco credibile, qui saremmo ben oltre. Sinistra Democratica, che fu perfino definita biodegradabile, forse potrebbe immaginare di non partecipare a questa spietata concorrenza nelle elezioni europee, a meno che non ci sia una reale possibilità unitaria a sinistra, riservandosi invece un ruolo attivo nelle elezioni locali e regionali e acquisendo così una forza anche morale per sostenere a buon diritto la necessità-priorità di un percorso unitario a sinistra, a cui non vogliamo rinunciare e per il quale non ci accontentiamo di prendere atto dei no, espliciti o velati che siano. Poi c’è il problema di come condurre le battaglie politiche. La sinistra è fuori dal parlamento e anche il PD…. non si sente tanto bene. Quindi o si è in grado di mobilitare settori importanti di opinione pubblica oppure siamo a livello di raccolte di firme, peraltro più limitate del PD. Di Pietro, a modo suo e con uno stile discutibile, ha individuato nel referendum un’arma importante che l’opposizione può e deve usare. Se possibile con razionalità, e qui Di Pietro si allontana, ma senza partecipare delle ansie del PD che sembra non capire quanto bisogno ci sia di organizzare una risposta credibile alla destra. Ho già più volte parlato del nucleare, ora potrei farlo del lavoro, della precarietà, anche se in modo diverso da Ferrero che a mio avviso sbaglia ad insistere sulla sola legge 30, perché se referendum ci sarà sul lavoro dovrà essere anzitutto sui provvedimenti del Governo della destra, come del resto sul nucleare. Certo sono obiettivi complessi che vanno preparati sotto il profilo della battaglia scientifica, culturale, politica, prendendosi il tempo necessario, senza esagerare, perché occorre conquistare la maggioranza dell’opinione pubblica (i referendum non si promuovono per perderli) ma anche con il coraggio di indicare l’orizzonte di una sfida alta come appunto il referendum. Del resto solo alcune grandi battaglie di merito possono, forse, sbloccare la sedimentazione di gelosie, di burocrazie, di autoreferenzialità che blocca il processo unitario a sinistra e che per di più spinge settori particolarmente miopi del PD a scegliere chi coinvolgere e chi no all’interno della sinistra, contribuendo a dividerla. Se accedessimo a questo terreno per un processo unitario non ci sarebbero più speranze. Aggiungo che il dibattito nel PD, per quello che si capisce, mi sembra veramente difficile e a tratti perfino aspro. Siamo proprio sicuri che dobbiamo dare per scontato che questa invenzione politica chiamata PD regga, quando tanti suoi dirigenti si affannano a mettere in guardia il resto del PD sui rischi di una crisi del partito? Forse alcune battaglie referendarie potrebbero aiutare anche il dibattito nel PD, costringendolo ad essere più riconoscibile, più chiaro.
Alfiero Grandi, sottosegretario Governo Prodi