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La militarità, coperta di Linus della GDF. i vertici non devono aver paura del nuovo
.:: Alfiero Grandi Pubblicato in data:  08/04/2008  10:21:37, in Ministero delle Finanze, letto 2179 volte

Intervista di Giuseppe Fortuna per Ficiesse.

"Un organismo con tanti giovani che credono nel loro lavoro, ma i vertici devono avere il coraggio di ripensarne il ruolo puntando tutto sulla professionalità e senza paura della smilitarizzazione"

Alfiero Grandi , sottosegretario di Stato all’Economia e alle Finanze, è un amico di vecchia data della nostra associazione. Fu lui, infatti, che nel 2002 all’indomani dell’emanazione della circolare del Comando generale Gdf che aveva considerato sindacato la nostra associazione presentò alla Camera, primo di 39 firmatari, l’interpellanza urgente grazie alla quale, sulla base della risposta ricevuta, Ficiesse riuscì a ripartire l’anno successivo. Fu ancora lui che sempre in quel momento di particolare difficoltà, primo tra 53 parlamentari, si iscrisse a Ficiesse, dimostrando con i fatti la sua completa fiducia nella legittimità e nella bontà del nostro progetto. Ed è stato ancora lui che circa un anno fa si è adoperato, da sottosegretario in carica, perché quella stessa circolare fosse formalmente abrogata dal Comando generale delle Fiamme gialle, come avvenne, con firma, d’ordine, del Capo di Stato maggiore. In questi tempi di turbolenza politica, con partiti che nascono, muoiono, si fondono e si trasformano, Grandi, proveniente dai Democratici di Sinistra, ha fondato Sinistra Democratica con Fabio Mussi, che tra breve confluirà nella Sinistra- Arcobaleno. Lo abbiamo intervistato pochi giorni fa nel suo ufficio di piazza Mastai, a Roma. E gli abbiamo chiesto subito per quale motivo il suo nome non c'è più tra quelli dei candidati della nuova formazione per le elezioni politiche che sono alle porte.

D. Sottosegretario Grandi, come mai non è candidato in queste elezioni? 

R. Perché non c’erano le condizioni nella Sinistra Arcobaleno e perché credo possa essere utile, in questo momento di riflessione, compiere un passo indietro e fare politica con responsabilità su altri versanti. 

D. Quali impegni per l’immediato futuro? 

R. Contribuire a creare una forza politica di sinistra che da formazione elettorale, qual è ora, dovrà diventare partito. 

D. Le quattro attuali componenti di Sinistra-Arcobaleno sono omogenee tra loro? 

R. Hanno certamente storie molto diverse. Ma mi sembra prevalente il desiderio comune di andare verso una direzione nuova. Personalmente sono ottimista, perché vedo due filoni culturali e politici che si incontrano, quello più propriamente “lavorista”, l’altro “ambientalista”. La sinistra inseguendo lo sviluppo non sempre ha avuto un orientamento ambientalista. E in passato le conseguenze ambientali di certi atti sono state sottovalutate dai lavoratori e dai sindacati. Ora bisogna ricomporre questi due filoni, amalgamarli e intrecciarli insieme. Il punto di snodo è certamente l’ambiente di lavoro e la salute nei luoghi di lavoro.

D. Proviamo a fare un breve bilancio di questi due anni di governo. Ha qualche rammarico?

R. La legislatura si è aperta con grande entusiasmo, dopo cinque anni difficili e tormentosi passati all’opposizione. Siamo partiti con nelle vele il vento di una grande speranza, quella di riuscire a fare molto in tema di riforme sui tanti problemi del paese. Poi però l’azione si è scontrata con due problemi concreti. Il primo la maggioranza ridottissima al Senato, dovuta a una legge elettorale assurda, definita infatti il “porcellum”. E quando hai soltanto due-tre senatori in più rispetto all’opposizione è davvero molto difficile andare avanti. Quindi, io credo che avremmo dovuto sopperire alla mancanza dei senatori cercando di ottenere sempre il massimo sostegno dei cittadini. In modo che nessuno si potesse permettere a Palazzo Madama di compiere gli atti che poi sono stati compiuti. Se l’opinione pubblica fosse stata a favore, fortemente a favore, sarebbe stato molto più difficile spaccarsi.

D. E il secondo problema?

R. La politica del governo è stata molto forte nella lotta all’evasione, nel no assoluto ai condoni, nel recupero di basi imponibili. E sono stati ottenuti i risultati che hanno permesso il risanamento dei conti pubblici. Ma alla fine si è caduti, anche inconsapevolmente, nella politica “dei due tempi”: prima il risanamento, poi le politiche per lo sviluppo. A mio modo di vedere, per un governo questa politica è già un errore, perché c’è una frattura tra primo e secondo tempo. E l’esperienza già fatta nel ’98 avrebbe dovuto insegnare qualcosa. Ma molto più grande è l’errore nel momento in cui non hai una maggioranza parlamentare solida, e quindi non sei in grado di reggere con la forza necessaria i momenti di disagio dell’elettorato. I cittadini hanno percepito chiaramente il primo impegno: risanamento e lotta all’evasione. Molto meno il secondo: aiutare i lavoratori che non ce la fanno, fare le riforme sociali, destinare l’extragettito ai dipendenti e pensionati con i redditi più bassi.

D. Avreste potuto far qualcosa in più in questi ultimi mesi come forza di governo?

R. C’erano (e ci sono) i presupposti per dare una accelerazione alla seconda fase. Non credo alle tesi finanziarie iper-prudenti per il 2008. Sono convinto che avremo un aumento del prodotto interno lordo superiore allo 0,6 per cento. L’Ocse recentemente ci ha attribuito l’1,1. E uno 0,2 in più vuol dire avere sui tre miliardi di euro. La lotta all’evasione darà ulteriori risultati. Non si capisce perché non dovrebbe essere così. Sono previste assunzioni dell’Agenzia delle entrate per aumentare il recupero di basi imponibili. Nei mesi scorsi sono entrati in funzione nuovi strumenti per il contrasto all’evasione fiscale. Perché mai non dovrebbe esserci un aumento delle entrate fiscali sulla base della lotta all’evasione?

D. Allarmismi ingiustificati?

R. Esattamente. Penso che si potrebbe intervenire con provvedimenti immediati. Un decreto legge a favore dei redditi più bassi di lavoro e di pensione. Provvedimenti utili anche per dare un colpo di manovella anticiclico che sarebbe utilissimo per il rilancio della domanda interna e dell’economia del paese.

D. Veniamo al programma col quale l’Unione ha vinto le elezioni di due anni fa e agli impegni che non sono stati mantenuti.

R. Volentieri, anche perché farò dichiarazioni che non mi son potuto permettere fino a questo momento. E le farò per dimostrare che la Sinistra-Arcobaleno non è responsabile delle difficoltà di questo governo e di questa maggioranza. Con la quale - preciso - siamo sempre stati leali, pur non condividendo diversi passaggi. Quindi, quando sento Veltroni dire: “finalmente liberi!”, mi chiedo, ma liberi da che? La sinistra ha cercato soltanto di rivendicare l’attuazione di parti importanti che stavano scritte nel programma. E se una critica dobbiamo proprio farci, è che avremmo dovuto essere più determinati nel chiederne il rispetto. Certo, l’abbiamo fatto per lealtà, perché stavamo dentro un’alleanza. Un atteggiamento che, ad esempio, non ho trovato in Di Pietro. Il quale, stranamente, è stato ora sdoganato dal PD.

D. Quindi, ora che non ha più vincoli di maggioranza, può rispondere in piena libertà alle domande che più preoccupano i lettori del sito internet e della rivista di Ficiesse e che riguardano il futuro che si prospetta per la Guardia di finanza. Che prospettive ci sono per un Corpo stretto nella morsa di una gestione militare costosa, retorica e antiquata e la concorrenza di agenzie fiscali moderne, grintose e determinate? È un caso, ci si chiede, se la GDF è stata al centro di scontri istituzionali durissimi, con toni mai sentiti prima, come quello tra Visco e Speciale? E come è possibile che in una democrazia parlamentare evoluta un ministro si rifiuti di parlare con i legittimi rappresentanti di 64mila lavoratori, come ha fatto Padoa Schioppa lo scorso ottobre? Secondo lei, sono stati commessi degli errori dai vertici del Ministero in questi due anni?

R. Non credo di rivelare segreti di Stato se vi confido che sono intervenuto in più occasioni, in presenza di rapporti che erano chiaramente basati sulla incomunicabilità o su equivoci, per cercare di creare dei canali di comunicazione e di chiarimento. Il dialogo in questi casi è indispensabile, magari soltanto per evitare le guerre per errore. Detto questo, penso che gli errori di metodo risalgono  a un’impostazione sbagliata. Perché non si è riflettuto abbastanza sul ruolo della Guardia di finanza sotto il profilo fondante, strutturale. Dall’interno, le gerarchie del Corpo, non so quanto consapevolmente, mi sembra prendano un po’ troppo a riferimento l’organizzazione e il modello dei Carabinieri. Con tutte le conseguenze del caso: mare, terra, aria, eccetera. Dall’altra, molti politici, anche autorevoli, hanno pensato che la militarità fosse un collante per tenere insieme il Corpo. Paradossalmente, pur partendo da posizioni e opinioni diverse, tra la gerarchia e settori importanti del centrosinistra c’è stata una convergenza sul fatto che l’elemento militare potesse garantire il futuro dell’istituzione, inseguendo il “miraggio” costituito dall’Arma dei Carabinieri. Credo sia stato un errore politico serio. Sono convinto infatti che non ci sia alcun motivo per mantenere le stellette e che la Guardia di finanza debba essere smilitarizzata.

D. Previo scioglimento?

R. Smilitarizzata, non sciolta. Non ho condiviso, infatti, sebbene provenienti dalla coalizione di centrosinistra, alcune proposte di legge presentate nei mesi scorsi che partono appunto dallo scioglimento. Io penso sia necessario ridare fiducia al Corpo, ma facendo attenzione a non distruggerne l’identità. E ovviamente mantenendo il carattere di polizia, tributaria ed economica, perché bisogna saper usare la forza quando necessario. Sei di fronte alla mafia, alla criminalità organizzata, a tante situazioni che non si possono affrontare a mani nude. Quindi, migliorare, smilitarizzare, ma facendo attenzione a non disperdere le capacità e la professionalità acquisita in tanti anni di lavoro.

D. No, quindi, ai servizi che con la polizia economica e finanziaria hanno nulla a che vedere…

R. Non si deve proseguire nella logica per cui si fa servizio agli stadi, servizi di ordine pubblico e quant’altro. Questo è il mestiere di carabinieri e agenti della Polizia di Stato. Non dei finanzieri, mentre la parte di pronto intervento deve essere ricondotta all’interno della logica della polizia economica e finanziaria. E poi si deve assolutamente investire sulla professionalità. È la questione centrale. Magari meno unità di personale, ma molta più professionalità. La professionalità è la chiave di volta della crescita del Corpo. Nessuno in Italia è in grado di fare quello che fa la Guardia di finanza. Ricordo il caso Parmalat. Per capire cos’era successo in quel difficile universo fu impiegato un gruppo di finanzieri, che ebbero una crescita professionale straordinaria. È questo che bisogna fare: costruire e accrescere la professionalità.

D. Torniamo un attimo alle tensioni dei mesi scorsi, specialmente a quelle tra ministro e Cocer. Quindi, effettivamente c’è stato, se ho ben capito, un gap di comunicazione.

R. Certo che c’è stato. Dovuto secondo me a un rapporto troppo da vertice a vertice. Con una concezione che vedeva il lato militare come il lato prevalente e una conseguente grave sottovalutazione del ruolo del Cocer, come rappresentante del personale, come voce dal sen fuggita.

D. Quello che si contesta al vertice politico del ministero è che avrebbe dovuto avere un rapporto più diretto col Cocer. Facendo tesoro delle critiche al precedente ministro, Giulio Tremonti, che ha incontrato i delegati una volta sola in cinque anni. Invece, la stessa cosa si è verificata anche con il governo di centrosinistra. Che ha ugualmente negato la considerazione dovuta ai delegati del Consiglio centrale.

R. Il rapporto doveva essere costante. Ed essere un rapporto di ascolto. Anche quando avesse comportato una qualche contraddizione con la gerarchia del Corpo. Oggi c’è chi cerca di dipingere il mondo come un luogo dove tutti possono andare d’accordo. È una favola meravigliosa, ma nella realtà ci sono punti di vista diversi. Che devono essere messi in confronto dialettico ed essere democraticamente risolti. Cercando, se possibile, di mettere d’accordo tutti, altrimenti andando a risolvere almeno le cose principali.

D. Riprendiamo la questione della professionalità. Lei ha fatto l’esempio dei finanzieri che hanno indagato sul caso Parmalat. Noi vediamo un fortissimo rischio. Siamo convinti che la vera identità, il vero valore aggiunto della Guardia di finanza stia nel saper fare contemporaneamente il lavoro degli uffici finanziari e il lavoro della polizia giudiziaria. Il finanziere, a differenza del poliziotto o del carabiniere, non si spaventa di fronte alle carte contabili e, a differenza del funzionario delle imposte, riesce a scoprire durante le verifiche fiscali reati come il riciclaggio, le truffe, l’associazione mafiosa. Questo perché durante il suo percorso professionale gli hanno consentito di crescere utilizzando sia poteri previsti dalle leggi d'imposta, sia quelli previsti per la funzione giudiziaria acquisendo in questo persorso i “fondamentali” di entrambi i settori. Da qualche anno, però, l’impegno nel settore tributario si va fortemente riducendo e l’agenzia delle entrate ha ripreso a fare in proprio la ricerca dell’evasione,  erodendo spazio professionale vitale ai finanzieri. In più, non c’è alcuna sinergia tra le due organizzazioni né a livello centrale, né in quelli territoriali. È incredibile che anche nelle rispettive relazioni annuali Finanza e Agenzia delle entrate semplicemente si ignorino. E infatti in nessun passaggio l’una nomina l’altra. Due mondi separati e distanti. Quasi ostili. E l’impressione diffusa tra i finanzieri è che gli ultimi governi abbiano voluto investire fortemente soltanto nella componente civile per far chiudere i battenti a quella militare.

R. Prima di arrivare a questo, però, ci sono alcune cose che vanno chiarite. Pur essendo io convinto che la smilitarizzazione dovrebbe essere un problema all’ordine del giorno, il programma dell’Unione era già un passo avanti. Perché conteneva dei punti che possono essere considerati il massimo di respiro democratico all’interno della militarità: il diritto di associazione, ad esempio.

D. Il diritto di associazione stava soltanto nel programma dei D.S.

R. Anche in quello dell’Unione.

D. Nel documento “Per il bene dell’Italia” si parlava di “ripensamento” del sistema della rappresentanza militare, di Europa.

R. Europa vuol dire associazionismo e anche sindacato.

D. Comunque il riconoscimento esplicito stava nel programma dei D.S.

R. Perché era nelle idee della sinistra dei D.S. Come era nel programma di Rifondazione. Ma anche quello dell’Unione, alla fine, era un programma di democrazia. C’era qualcosa di importante. Io dissi allora, ad esempio, non insisto sulla militarità, posso prendere atto che la mediazione interna al centrosinistra attualmente non consente di arrivare dove si dovrebbe. Però diritto di associazione, sì. Vorrei sottolineare che grazie anche a un mio intervento, che qui rivendico, fatto personalmente, la circolare contro le associazioni è stata ritirata.

D. La circolare di aprile del 2002 che sosteneva che Ficiesse avesse una natura sindacale, poi abrogata nel 2007.

R. Esattamente. Andai dal comandante perché la causa era giusta e importante.

D. Un risultato certamente determinante non soltanto per Ficiesse, ma anche per tutto il movimento associativo.

R. Allora era il massimo che potevamo fare. Anche se dovevamo riuscire a fare molto più. Ma a questo punto, poiché la coalizione si è divisa, il governo è dimissionario e le Camere sono sciolte, possiamo parlare chiaro. Allora io dico che la Guardia di finanza non ha soltanto il problema della militarità. Ma anche un problema di natura strutturale, che poi è strettamente intrecciato alla militarità. C’è un insieme di piani gerarchici in cui ogni livello superiore vuole sapere tutto ed essere competente su tutto quello che fanno i livelli inferiori. Credo che questo sia un errore. Se dobbiamo andare verso la specialità e la professionalità è necessario modificare questa impostazione. È vero che ci sono finanzieri negli spazi doganali, ma è vero che non c’è una “filiera” della Guardia di finanza che faccia riferimento alle attività doganali. Come ci sono finanzieri che si occupano di giochi, ma non c’è una filiera che crei la professionalità, la consolidi e la trasmetta in materia di giochi. Filiera – intendo - che diventi l’interfaccia dei funzionari civili dell’amministrazione per le attività che richiedono l’intervento non di semplici pubblici ufficiali, ma di una forza di polizia. Quindi, una filiera che fa riferimento alle entrate, una che si riferisce alle dogane, una ai giochi, e così via. Poi va assicurato il transito del personale da un settore all’altro, ma in ciascuna filiera deve rimanere un livello di professionalità alto, altissimo. Non sto guardando a tante guardie di finanza separate, ma a reparti fortemente specializzati. E articolazioni fortemente specializzate consentono la sinergia tra personale civile e militare anche per la politica dei premi.

 

D. Siamo arrivati alla polemica sugli incentivi antievasione negati ai finanzieri?

 

R. Esattamente. Con strutture specializzate all’interno del Corpo questi problemi sarebbero facilmente risolvibili. E finirebbero anche le accuse degli uni che rivendicano la quantità dei controlli e degli altri che ribattono dicendo che non sono di livello qualitativo così elevato. Mentre invece bisognerebbe creare le condizioni perché le due braccia dell’amministrazione lavorino in completa sinergia. Avete ragione quando parlate di incomunicabilità. Quest’anno, poi, per le note vicende, gli obiettivi da realizzare non sono stati coordinati tra Guardia di finanza e agenzie, in particolare quella delle entrate. Ognuno pensa di essere un “universo”. Ignora l’altro. E cerca anche di farne il mestiere. Un errore gravissimo.

D. Ma il timore di molti finanzieri è che le scelte ormai siano fatte. A favore delle agenzie e in danno dei cugini militari. E questo spiega perché il Corpo viene lasciato cuocere nel brodo di una cultura e di un’organizzazione palesemente inadeguate per una polizia tributaria. Niente sindacato, niente associazionismo professionale, poca o nulla trasparenza interna, specialmente in materia di movimenti e avanzamenti, livelli gerarchici almeno doppi rispetto ai civili, una concezione della disciplina che sembra fatta apposta per nascondere contraddizioni, ambiguità e a volte anche incompetenza e inadeguatezza di qualche superiore. La logica della politica secondo molti finanzieri che intervengono nei nostri forum sarebbe questa: lasciamo cuocere i militari nelle loro contraddizioni, diamo tempo alle agenzie di crescere e di consolidarsi, poi quando la Finanza implode, risistemiamo il settore eliminando i militari.

R. Non è questo secondo me.

D. Ma i numeri parlano chiaro: 4mila unità di personale in meno per la Finanza rispetto agli organici, 3mila in più previste per l’Agenzia delle entrate. Un caso?

R. Non c’è alcuna volontà di far implodere il Corpo. Né di scioglierlo. E questa è un’opinione non soltanto mia ma di tutta la coalizione. La Guardia di finanza non deve essere sciolta ma è certo che va fortemente rinnovata, riformata in profondità. Va risistemata la natura stessa del Corpo. Questo è il punto. Il punto non sono 4mila militari in più o in meno. È averne anche di più, ma altamente professionalizzati. 

D. Se però i vertici militari si chiudono sul fronte dei diritti e impediscono qualunque innovazione verso una rappresentanza esterna ed autonoma dei lavoratori con le stellette, allora siamo di fronte a un bivio: o si smilitarizza o la Guardia di finanza muore.

R. Ho già detto che sono per la smilitarizzazione e credo che si debba fare lo stesso percorso fatto a suo tempo per la Polizia di Stato. Anche se le condizioni oggi sono molto diverse. Quello che ha nuociuto a una prospettiva di civilizzazione del Corpo è stata innanzitutto la divisione dei sindacati. Il sindacato, in una fase di unità forte, è riuscito ad aiutare i poliziotti a smilitarizzare. Poi i sindacati si sono divisi ed è più difficile aiutare anche i finanzieri. Però una cosa devo dirla. Io ho girato molto per i reparti della Guardia di finanza, cercando sempre, in tutte queste occasioni, di incontrare e di parlare con il personale. La cosa che mi colpisce di più quando parlo con loro è che malgrado limiti del tutto evidenti, di retribuzione, sulle modalità di approntare gli spostamenti (che danno l’impressione di essere talvolta arbitrari), sulle modalità selezione per le progressioni interne (che non sempre premiano le migliori energie presenti nel Corpo), ebbene, malgrado tutti questi difetti, la Guardia di finanza continua ad avere nel personale, specialmente in quello più giovane, un humus molto importante e fecondo. E questo è un patrimonio dell’Italia, ed è un patrimonio che merita grande attenzione da parte di tutti. Ci sono tanti giovani che entrano nel Corpo perché ci credono, perché pensano che la lotta all’evasione e la lotta alla criminalità siano cose importanti e lo Stato regge perché ci sono queste forti convinzioni e questo approccio.

D. L’anno scorso Rifondazione Comunista ha presentato due progetti di legge, entrambi a firma dell’onorevole Deiana, che prevedono la costituzione della Polizia economico-finanziaria previo scioglimento del Corpo. Il 4 febbraio scorso, proprio nelle ultime ore della legislatura, tre deputati di Sinistra Democratica , primo firmatario l’onorevole Scotto, ne hanno presentato un altro che presenta una serie di innovazioni davvero molto interessanti in tema di organizzazione e di modalità di gestione, con maggiore enfasi per la prevenzione, il rapporto con i cittadini e il territorio, eccetera. Però viene confermata la struttura militare, sebbene unita a una forma di associazionismo professionale. Come si coniugheranno queste due diverse posizioni nel partito della Sinistra-Arcobaleno?

R. In un modo molto semplice. Io, come sottosegretario, mi espressi allora in modo contrario allo scioglimento del Corpo. Poi, come risulta agli atti parlamentari, ragionando con l’onorevole Deiana, la stessa parlamentare ha fatto un’apertura importante. Bisogna considerare questi progetti come un’apertura di gioco, si è voluta aprire una discussione. Considero un errore che le altre componenti della coalizione che ora si è divisa non abbiano presentato una loro proposta. Sarebbe stata estremamente utile, se non altro come dichiarazione di bandiera di quello che ciascuno intende fare. E questa assenza mi ha preoccupato, perché alla fine si sono limitate a un “lavoro di sponda” su quello che facevano gli altri. Considero quello dell’onorevole Scotto un buon disegno di legge. Soprattutto perché pone il problema della democrazia. Un problema che c’è comunque. Perché respirare democrazia all’interno del Corpo è utile: non si fa un organismo specializzato e professionale senza un vero respiro democratico all’interno. E in un contesto di maggiore democrazia un comandante generale proveniente dal Corpo può diventare una garanzia rispetto a un comandante militare prelevato dall’esterno. Il disegno di legge di Sinistra Democratica , perciò, risente del momento in cui è stato elaborato. All’epoca, la maggioranza c’era, il governo c’era, non era prevista la crisi. E un progetto di legge sulla questione smilitarizzazione era inevitabilmente ancora un po’ frenato dalle esigenze di coalizione.

D. E adesso che quella maggioranza non c’è più?

R. Siamo in una partita del tutto nuova. Ora la questione centrale e urgente da porre è quella della militarità. Ormai sembra la coperta di Linus. Ci si aggrappa alla militarità perché si ha paura del nuovo. E, in questo momento, nella gerarchia del Corpo non sono in molti quelli disposti ad esporsi. Ma bisogna avere il coraggio di cambiare, il coraggio di ripensare completamente il ruolo del Corpo. Se davvero si vuole il bene dell’istituzione.