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Evitare che la crisi degeneri in tragedia
.:: Alfiero Grandi Pubblicato in data:  31/01/2008  14:35:21, in Economia, letto 1951 volte

Più passano i giorni più la crisi di governo si rivela una vera iattura per il paese. Un certo rincrescimento per le tante cose da fare e che, probabilmente, non saranno fatte o, ad essere molto ottimisti, lo saranno con enorme ritardo, si avverte,qualche volta, anche nei pronunciamenti di esponenti politici  e di organizzazioni sociali che, in passato, non hanno certo risparmiato critiche al governo Prodi. Certamente è tardi e la crisi sta generando tanti contraccolpi, però, anzitutto, va rimesso in sesto il giudizio sull’azione del governo Prodi. Sarebbe sciocco negare i problemi e in particolare il calo di consensi nell’opinione pubblica verso il Governo, ma questo non giustifica dichiarazioni autolesioniste di esponenti del centro sinistra che finiscono con il portare acqua al centro destra, sottovalutando e qualche volta addirittura negando i risultati ottenuti. Fin troppo facile per il Governo rivendicare i conti pubblici rimessi in ordine in poco tempo. Perfino alcuni osservatori internazionali, che erano stati benevoli verso la “finanza allegra” di Tremonti e invece sono stati, successivamente, molto severi con il centro sinistra, hanno dovuto ammettere che i risultati sono buoni e che l’Italia, sui conti pubblici, può ragionevolmente pensare di uscire tra qualche mese dalla condizione di sorvegliato speciale dell’Unione Europea. Condizione, ricordiamolo, in cui l’ha portata il centro destra due anni fa. Ma questo non è certo l’unico aspetto positivo dell’azione del Governo, basti pensare al ritiro dall’Iraq e alla ben diversa  missione di pace in Libano, e senza fare la lista completa si può ricordare che ci sono misure nella finanziaria 2008, proposte dalla sinistra della coalizione, che parlano di assunzioni al sud, di ambiente, di sviluppo di qualità. Per questo si può affermare ragionevolmente che il governo Prodi ha fatto molte cose buone ma per come le ha fatte e per la natura della discussione nella coalizione i risultati positivi hanno pesato troppo poco o comunque molto meno del necessario e comunque non sono stati percepiti nella giusta importanza dall’opinione pubblica. Poiché non si può cambiare l’opinione pubblica, è evidente che l’autocritica, da parte di chi avrebbe dovuto occuparsene in modo più adeguato, si impone. Tuttavia, c’è un punto politico che sovrasta gli altri e si tratta della “distrazione” dei due maggiori partiti della coalizione, DS e Margherita, che si sono dedicati dal primo giorno della vita del Governo alla costruzione del partito democratico, in nome della ricerca dell’egemonia nello schieramento di centro sinistra, senza rendersi conto che non era, e non è affatto scontato che lo schieramento fosse in grado di sopportare la tensione interna causata da questa ansia di costruire una modalità per l’egemonia anziché dedicarsi a costruire un rapporto positivo tra Governo e opinione pubblica. Dovrebbe essere chiaro che un governo da solo non è in grado di costruire un rapporto adeguato con l’opinione pubblica, anche quando fa cose buone. Solo l’iniziativa delle forze politiche può aiutare il governo a fare meglio e a costruire un rapporto forte con l’opinione pubblica, anche con critiche quando è necessario. Nella situazione del governo Prodi la cosa era poi tanto più vitale in quanto il margine di maggioranza al Senato è stato esiguo fin dall’inizio, finendo per poi logorarsi fino alla crisi. Dall’inizio il percorso parlamentare al Senato è stato accidentato e rischioso e solo un rapporto forte con l’opinione pubblica avrebbe potuto creare il clima necessario per sconsigliare e, quindi, scongiurare la crisi di governo. Questo rapporto forte non poteva essere solo compito del Governo, ma, anche immaginando il contrario, avrebbe dovuto essere, di fronte alle difficoltà, una responsabilità assunta direttamente dai partiti della coalizione e in particolare di quelli maggiori. In certi casi, invece, l’impegno dei due partiti maggiori è stato addirittura minore di quello di altri settori della maggioranza. Dedicarsi alla costruzione del partito democratico è una scelta in sé legittima, ma anche fuorviante. Pensiamo alle scelte compiute con l’ultima finanziaria. Molte sono a favore della redistribuzione e della riduzione della pressione fiscale: dalla prima casa ( riduzione Ici, detrazione affitti, finanziamenti per case in affitto a basso costo ) fino a tanti altri interventi, compresi quelli a sostegno delle imprese cosiddette marginali. Eppure Berlusconi parla, senza essere sbugiardato da una campagna di controinformazione di massa,   di 67 nuove tasse che vede solo lui perché non ci sono. La verità è che molti cittadini non sanno e pochi hanno cercato di farglielo sapere. Probabilmente ha molto influito anche l’idea che tanto ci sarebbero stati 5 anni per dimostrare la bontà delle scelte, sottovalutando sia la debolezza dei numeri al Senato, e quindi il rischio di imboscata che poi c’è stata, sia,nello stesso tempo – anche senza volerlo – finendo di nuovo nella politica dei due tempi: prima il risanamento, poi lo sviluppo, sottovalutando anche che una certa inversione di priorità tra sostegno alle imprese (cuneo fiscale) e sostegno ai redditi più in sofferenza (rinviato in larga misura al 2008) avrebbe dato spago alla martellante campagna dell’aumento delle tasse.  In ogni caso, non sono state chieste adeguate contropartite alle imprese in termini di  nuovi investimenti, con particolare riguardo all’innovazione, alla competitività, alla qualità del lavoro. Il risultato paradossale è che una misura che vale miliardi di euro è stata incassata dal mondo delle imprese senza battere ciglio e senza assicurare reali contropartite in materia di impegno ad investire e a competere meglio sui mercati internazionali, mentre se si parla di ridurre la tasse ai lavoratori viene chiesto immediatamente di legare il tutto all’aumento della produttività e se si parla di ridurre le tasse alle imprese di contropartite non si parla e non si è parlato proprio. Il centro sinistra trascina non risolto, dal 1998, questo problema. In fondo la crisi di governo nel ‘98 avvenne proprio per lo scollamento tra la prima fase (per entrare nell’euro) e la seconda (sviluppo e redditi) che non arrivava e che in effetti non trovò soluzione nemmeno dopo, con i governi D’Alema e Amato. Cose buone tante, ma la svolta non ci fu e anche in questa nuova esperienza questo è stato il punto non risolto, tanto da lasciare l’amaro in bocca, come per le misure, ormai possibili, per sgravi fiscali a favore dei lavoratori dipendenti, come recita con precisione la finanziaria 2008, ma ormai rinviate ad un nuovo quadro politico. L’interrogativo è: era possibile accelerare di più? Mandare segnali più forti e veloci ai lavoratori? In ogni caso, si potevano prendere impegni più cogenti in modo da fare capire che questa era una strada certa? Ritengo che qualcosa di più si doveva e poteva fare, anche perché le entrate, come si vede, vanno bene. Il contrasto all’evasione e all’elusione sta dando risultati significativi e il contenimento delle spese aiuta perché lascia spazi maggiori di manovra e non c’è ragione di temere che le entrate non diano, anche con la trimestrale di marzo, risultati positivi, perché molte misure stanno entrando in vigore o lo faranno tra poco, come le assunzioni alle entrate e alle dogane a fronte di un numero crescente di controlli fiscali. O meglio un pericolo c’è ed è che arrivi un quadro politico tale da compromettere i risultati della lotta all’evasione e all’elusione. Questo fieno in cascina, cioè le maggiori entrate 2008 finalizzate ai lavoratori dipendenti, oggi non è più nella disponibilità del governo Prodi che pure ha consentito di raggiungere questo traguardo. Questa è la responsabilità di quanti, Mastella ed altri, hanno strappato il patto di centro sinistra stipulato con gli elettori, mettendo in crisi un quadro politico bisognoso di robusti miglioramenti ma nella direzione esattamente opposta.
Per quante giustificazioni siano state date e ancor più intuite non c’è dubbio che questo autentico trauma politico, dopo aver superato oltre 700 votazioni al Senato sulla finanziaria, colpisce perché liquida con un sol colpo i risultati e gli spazi di correzione e miglioramento dell’azione del Governo. Una lucida follia? Resta il fatto che ora sarebbe necessario non aggravare la situazione e anzi cercare di ridare fiducia ad una coalizione di centro sinistra e ad un elettorato che ne hanno sicuramente persa tanta. Insistere sull’andare da soli, da parte del PD, ad uno scontro elettorale che potrebbe rivelarsi in questo modo non solo una sconfitta, e già questo brucia, ma una rotta per un centro sinistra spaccato e polemico al suo interno, tanto più di fronte ad un centro destra che ha ricucito le sue vistose contraddizioni a grande velocità, è un errore. Anche la sinistra deve svoltare. Deve unirsi al più presto, partendo dall’appuntamento elettorale, ma andando ben oltre, quanto più è possibile. Solo così la sinistra arcobaleno può essere in grado di confrontarsi con il PD. Bisogna rilanciare una rinnovata alleanza di centro sinistra che è andata in difficoltà per il voto della diaspora centrista, provocata in buona misura dalla costruzione del Pd, ed è necessario predisporsi e organizzarsi nelle migliori condizioni ad una difficile campagna politica ed elettorale, qualora dovesse risultare, malauguratamente, impossibile portare il Pd a cambiare strada ed atteggiamento. Nei momenti più alti la sinistra è sempre stata capace di avere una strategia di allargamento, di alleanze. Non s’è mai vista una sinistra felice di perdere in solitudine. La sinistra non deve avere timore degli oneri del governo del paese, come non deve temere l’opposizione. Le forze politiche nascono per governare non per stare all’opposizione, poi possono non farcela. Anche il Pd che rivendica storie antiche dovrebbe guardare con più attenzione ai “lari e ai penati” e capire per tempo che perseguire l’illusione di fare tutto da soli o è l’anticamera non esplicitata di un cambio di asse politico o è, paradossalmente, una vocazione alla sconfitta.